La sciagura dei lavori a distanza

Midjourney, “Mestieri moderni in un paesaggio di Bruegel”.

Con la pandemia, il lavoro a distanza ha conosciuto una accelerazione, e in qualche modo è stato sdoganato come la nuova normalità. Tuttavia, la crescita dei lavori erogati attraverso piattaforme digitali e di altre forme di lavoro alternativo è solo il sintomo di una trasformazione molto più profonda e duratura dei modelli di lavoro, che è iniziata molto prima della pandemia. La rivoluzione digitale ha infatti modificato radicalmente la struttura dell’impiego e delle competenze richieste, con conseguenze ancora poco note sulle condizioni dei lavoratori e sulla loro salute mentale. Questo è quanto emerge dallo studio The Hidden Inequalities of Digitalisation in the Post-Pandemic Context pubblicato dal think tank Bruegel.

Il lavoro digitale porta con sé una maggiore precarizzazione 

Il lavoro allocato attraverso piattaforme online, pensiamo per esempio alle consegne a domicilio o all’erogazione di altri servizi, noto anche come crowd-employment, si inserisce nel recente contesto della trasformazione digitale e dell’automazione. Nonostante questi tipi di lavoro siano relativamente nuovi, possono essere raggruppati sotto la categoria di lavoro non-standard (non-standard work NSW), che include i lavoratori autonomi, i contratti a tempo determinato e il lavoro part-time.
Il lavoro non-standard è aumentato notevolmente in Europa almeno dal 1995, una tendenza che si è verificata insieme a una chiara polarizzazione del mercato del lavoro, con il declino dei lavori di media qualificazione e l’aumento sia dei lavori altamente qualificati sia di quelli poco qualificati.
Sebbene i lavoratori che offrono prestazioni attraverso piattaforme online presentino alcune peculiarità, si inseriscono nell’ambito di una tendenza più ampia verso la precarizzazione del lavoro; in particolare quelli impegnati con più piattaforme hanno accordi contrattuali con più parti, il che rende difficile identificare chi sia il loro datore di lavoro sia ai fini della contrattazione collettiva sia del rispetto degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

La crescita del lavoro digitale a distanza, causata dalla pandemia, ha contribuito in parte ad accentuare tre tendenze: a livello globale la maggior parte dei lavoratori delle piattaforme online si concentra in Nord America, Europa e Asia meridionale; una seconda polarizzazione si osserva tra aree rurali e aree urbane, in queste ultime si concentra la maggior parte dei lavoratori delle piattaforme online; infine, c’è una chiara polarizzazione delle competenze: i lavoratori che possiedono competenze molto richieste guadagnano più degli altri lavoratori, che devono affrontare una concorrenza più ampia, il che provoca un abbassamento dei salari.

Le conseguenze negative del lavoro da remoto

Alcuni studiosi segnalano altri potenziali effetti negativi a lungo termine del lavoro da remoto.

  1. In primo luogo, la mancanza di interazioni faccia a faccia potrebbe portare alla perdita di un ambiente fertile per le idee creative, che sono al centro dell’innovazione.
  2. In secondo luogo, la perdita delle reti sociali e l’opportunità di scambiarsi idee in modo informale all’interno delle organizzazioni potrebbero portare a una perdita della ricchezza legata a queste reti, poiché da una parte questo capitale sociale esistente viene eroso, dall’altra non se ne forma di nuovo.

Un altro aspetto delle disuguaglianze legate alla digitalizzazione e al lavoro a distanza riguarda i loro effetti sulle condizioni dei lavoratori, che sono stati esacerbati dalla pandemia. In particolare, bisogna valutare gli effetti sulla salute mentale dell’isolamento e su come le nuove condizioni possono modellare le aspettative, i cambiamenti comportamentali e le dinamiche del mercato del lavoro. L’isolamento prodotto dai lockdown è molto specifico del contesto, tuttavia, può anche essere preso per analogia e confrontato con gli effetti di isolamento che il lavoro a distanza può produrre.
A questo fine gli autori della pubblicazione confrontano tre diversi studi condotti in Spagna, Italia e Regno Unito: uno studio valuta gli effetti del Covid-19 e del lockdown sulla salute mentale in senso lato; uno quello sulla capacità cognitiva e uno quello sulle aspettative e sui cambiamenti di comportamento. La percentuale della popolazione la cui salute mentale era risultata a rischio era del 46% in Spagna, del 41% in Italia e del 42% nel Regno Unito. Essere disoccupati, vivere con più persone, avere figli in età scolare a casa, vivere un evento stressante, come la perdita del lavoro e del guadagno aumentano lo stress psicologico e il suo impatto sulla salute mentale. Al contrario, avere un reddito familiare relativamente più alto, possedere una casa senza un mutuo da pagare, avere una zona giorno relativamente ampia e avere le risorse per pagare le bollette, riducono i livelli di stress. 
Non sorprende che coloro che nel campione manifestavano stress e depressione riferissero pessimismo sul futuro, paure e alcuni cambiamenti di comportamento dannosi.
A rendere evidente l’analogia tra il lockdown e il lavoro da remoto è un dato: quando agli intervistati è stato chiesto di confrontare alcuni comportamenti nelle quattro settimane precedenti il sondaggio con lo stesso comportamento prima dello scoppio della pandemia, il 47% ha riferito di avere avuto meno contatti con persone rilevanti per la carriera o per le future opportunità di trovare un lavoro. Questi ultimi sono quelli peggio posizionati nel mercato del lavoro. Ciò è in linea con l’argomentazione precedentemente citata sulla potenziale perdita della rete sociale, che potrebbe essere causata dall’isolamento derivante dal lavoro a distanza.
Mentre gli studi che si occupano degli effetti della digitalizzazione sull’occupazione hanno prodotto solidi risultati, manca uno sforzo sistematico per ideare politiche che affrontino i potenziali effetti collaterali.

La necessità di nuove tutele per i lavoratori da remoto e delle piattaforme digitali

Per rimanere competitivi nell’attuale mercato del lavoro, è necessario che i lavoratori acquisiscano una buona alfabetizzazione digitale. I lavoratori potrebbero non essere consapevoli di questa necessità o potrebbero non avere la possibilità di investire nella propria formazione. In tal caso – spiega il rapporto di Bruegel – è importante che i governi intraprendano politiche a sostegno delle competenze digitali dei lavoratori, per esempio con l’erogazione di contributi, o rendendo detraibili le spese per la formazione.
Nelle politiche per la sicurezza e la salute sul lavoro, sarebbe anche necessario integrare provvedimenti a tutela della salute mentale del lavoratore, per salvaguardarlo dalle nuove forme di stress legate alla digitalizzazione e alla maggiore instabilità del mondo del lavoro di oggi. 
Inoltre, i governi dovrebbero estendere le tutele sociali a tutti i cittadini a prescindere dallo stato occupazionale e dal tipo di contratto di lavoro, provvedendo a garantire una protezione sociale contro la disoccupazione e la fluttuazione del reddito caratteristica di alcune occupazioni atipiche.
Ma non bastano solo le iniziative dei governi. Le politiche dovrebbero contribuire a integrare il benessere dei lavoratori nella cultura aziendale, come l’offerta di controlli medici preventivi ad esempio per prevenire problemi di salute derivanti da una postura scorretta davanti al computer, o la formazione del personale per riconoscere e affrontare lo stress nei colleghi dovuto alla “stanchezza dei cambiamenti organizzativi” e alla digitalizzazione del posto di lavoro. 
Un focus sui problemi di salute mentale sembra particolarmente importante perché, a differenza di molte condizioni fisiche, queste tendono a essere negate da chi ne soffre sia a se stesso sia agli altri.

Riccardo Lo Bue

23/2/2023 https://www.scienzainrete.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *