La scomparsa della medicina territoriale

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Si è detto che la pandemia abbia fatto esplodere la “medicina del territorio”, ma in realtà ha reso solo palesi le contraddizioni e gli errori di questo mondo poco conosciuto, tranne a chi vi lavora e a pochi studiosi.
La salute e la sanità sono argomenti complessi da conoscere e descrivere,più o meno come il nucleare.
Come per le lotte contro le centrali e per ben due referendum, il movimento dovette appropriarsi di conoscenze anche scientifiche,per non basarsi solo sui sentimenti di paura che l’incidente di Chernobyl determinò nel 1986,così per la salute e la sanità non è sufficiente basarsi solo sui bisogni soggettivi insoddisfatti della popolazione.
A favore del nucleare si mobilitarono tecnici e università, industria, giornali e televisioni che, per essere contrastati, ebbero bisogno di altri altri tecnici, università, attivisti, associazioni, controinformazione e mobilitazione popolare.
Quindi è necessario per il movimento per la salute riappropriarsi di strumenti di conoscenza anche attraverso una collaborazione dal basso tra operatori socio-sanitari,tecnici, ricercatori,attivisti e cittadini, contestando il ruolo delle università e degli organi di informazione, spesso subalterni alle dinamiche socio economiche dominanti e dei centri del pensiero unico neo-liberale.

Dopo la sconfitta dei movimenti anticapitalisti del secolo scorso e il fallimento dei paesi del “socialismo reale” e del capitalismo di stato con l’adesione della Cina al modello di produzione capitalista, su cui la sinistra post e neo marxista, con i suoi errori, non apre una riflessione, il pensiero liberale trionfa incontrastato (Fisher,Realismo capitalista,2009).
Non bisogna inoltre sottovalutare la presa che il pensiero neoliberale,con il suo immaginario e narrazione, ha sulle organizzazioni del movimento operaio e democratico e sulle classsi sociali subalterne.
Da ciò deriva un analfabetsimo relativo nei più giovani e di ritorno nei più anziani.
Dunque bisogna conoscere e contrastre il pensiero neo-liberale diffuso e non solo il liberismo.
Liberismo fu un termine che B. Croce,filosofo liberale, individuò per distinguere il liberalismo dalle conseguenze economiche negative che esso aveva;ma Croce fu anche il senatore del Regno d’Italia, che non esitò a votare per il Governo Mussolini dopo l’omicidio per mano fascista del deputato socialista Matteotti.

Come nei miei precedenti articoli su “Salute e lavoro” di novembre 2021 e febbraio 2022, proviamo a costruire le conoscenze e un punto di vista di critica sociale radicale sulla salute e la sanità del territorio
Qiundi una prima domanda: cosa sono la salute,la sanità e medicina territoriale?

Iniziando con una definizione: “sanità pubblica” non è la sanità di proprietà “pubblica” verso quella “privata”,ma ,mutuando il termine dalla public health degli autori anglosassoni è “la scienza e l’arte di promuovere la salute, di prevenire le malattie e di prolungare la vita attraverso sforzi organizzati della società” (Organizzazione Mondiale della Sanita?-OMS Health Promotion Glossary, 1998). Dunque non una branca della medicina,come spesso è considerata in Italia, ma un campo interdisciplinare a cui oltre a medici e operatori sanitari contribuiscono statistici, sociologi, economisti, ingegneri, architetti, biologi, chimici, antropologi, psicologi,ecc.

L’ospedale è invece una istituzione ben definita, di tradizione più che millenaria,in occidente, in oriente e nella società islamica. Nasce nell’antichità, dai templi greci alle infermerie militari romane, non accessibili ai civili, passando poi per gli ospedali romano-barbarici,contigui ai monasteri.
L’ospedale si rafforza con le Crociate, luogo di riposo per soldati e pellegrini in viaggio da e per Gerusalemme. Spesso gestito da ordini monastici e guerrieri di cui rimangono vestigia militari e religiose nella terminologia (reparti,divisioni),nell’aspetto (divise degli operartoi ma anche dei malati:camici e pigiami), nell’organizzzazione (gerachia), nei simboli (sacerdoti, suore, simboli cristiani). Luogo di riposo e ricovero che incontrerà nei secoli successivi la medicina moderna su basi scientifiche pur permanendo il segno dell’istituzione “totale” come carcere,scuola, caserma,manicomio ( E. Goffmann,1922-1982; Asylums 1961), autosufficiente e autoreferenziale su cui gli operatori sanitari e le sinistra non hanno mai voluto elaborare un pensiero critico con l’eccezione di F. Basaglia (1924-1980) per l’ospedale psichiatrico (F. Basaglia, L’Istituzione negata.1968; F. Basaglia, Che cos’è la psichiatria.1973).
Lopsedale è oggi concentrato di alta teconogla e professionalità, dove sicuramente si trova ad ogni ora una risposta al problema di salute con il pronto soccorso, come matraccio in cui finiscono i problemi che la società non sa o non vuole risolvere in altro modo: incidenti stradali, infortuni sul lavoro e domestici,overdose e astinenza da sostanze di abuso, sofferenze psichiche acute, violenza di genere, malattie evitabili, ecc.

Ma l’ospedale è anche un luogo di grandi investimenti e profitti.

Se dobbiamo pensare al territorio ,tranne le primordiali istituzioni di sanità pubblica costituite per far fronte alle pestilenze dal 1400 (G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità pubblca in Italia,1987),non è facile trovare riferimenti così potenti come l’ospedale.
Il medico era una figura per le persone ricche comunque lontano da conoscenze scientifiche che si affermarono solo dal 1600 e il suo ruolo evolse lentamente (G. Cosmacini, Il mestiere di medico. Storia di una professione. 2000).
Bisogna arrivare al 1800 per tovare la figura di un medico anche per persone più povere e,in Italia, la figura del “medico condotto” dopo l’Unità con il Testo Unico delle Leggi Sanitarie (1888-1934).
Mentre cresceva una sanità pubblica fondata su una concezione autoritaria e centralistiica dello Stato tipica della monarchia sabuada e del fascismo.
La Direzione di Sanità pubblica era infatti collocata nel Ministero degli interni (il Ministero della sanità vedrà la luce solo nel 1958 da una costola di questo,con tutti i funzionari provenienti da quel Minsitero e quindi da quella cultura).
A livello provinciale la Sanità pubblica era collocata sotto il Prefetto con il Medico provinciale e l’ufficiale sanitario. Il medico condotto come Ufficiale sanitario nel Comune aveva una doppia afferenza:il Sindaco (poi Podestà con il fascismo) e il Medico provinciale/Prefetto con un dualismo,a volte contraddittorio e conflittuale, che durò a lungo.
Con le mutue si mìse mano all’assistenza secondo un modello Bismarck (1815-1898) il cancelliere prussiano che comprese che il movimento operaio non poteva eser affrontato solo con le fucilate e il carcere e istituiì i primi fondamenti dello “Stato sociale”. Tuttavia non un beneffatore dell’umanità ma un poliico accorto che aveva a cuore i propri interessi politico sociali e il modo migliore per difenderli.Ispirato più da convenienze politiche che da filantropia, Bismarck attuò tra il 1881 e il 1889 il primo sistema previdenziale al mondo, che servì da modello per tutti gli altri paesi. Nel 1883 istituì l’assicurazione contro le malattie e nel 1884 quella contro gli infortuni. Nel 1889, infine, realizzò un progetto di assicurazione per la vecchiaia. Si gettarono, quindi, nel continente europeo le fondamenta del moderno welfare state.

Le cosiddette Casse Mutue, gli enti assicurativi che garantivano l’accesso alle cure, affondavano le radici nelle società operaie dell’800 (anzi, se vogliamo,nelle corporazioni medievali degli artigiani).
In una fase storica caratterizzata, da una generale assenza di protezioni sociali, chi poteva permetterselo pagava per avere un’assistenza adeguata, per i più poveri non restava altro che affidarsi alle Opere Pie e alla beneficenza borghese. I lavoratori salariati iniziarono così ad associarsi e a mettere in comune risorse per assicurarsi dai rischi dell’esistenza (disoccupazione, malattia, infortunio, vecchiaia, ecc.) generando un esteso e capillare tessuto di società mutualistiche: un vero e proprio welfare dal basso.
Nella prima metà del ‘900, le Società di Mutuo Soccorso pur perdendo la loro centralità all’interno del movimento operaio, cedendo il passo alle emergenti organizzazioni di massa sindacali e politiche, riuscirono comunque a sopravvivere. Fu il fascismo a dare un deciso colpo di grazia al mutualismo operaio, riportando le associazioni sotto il rigido controllo dello stato e del regime. L’idea era non solo quella di irreggimentare le mutue esistenti, ma di farle confluire all’interno di alcuni macro-enti. L’ultimo tentativo di portare a termine questo compito avvenne nel 1943, proprio poco prima del crollo della dittatura, quando si cercò di accorpare il fitto reticolo di casse, istituti ed enti di assicurazione sanitaria dell’Ente Mutualità Fascista – Istituto per l’Assistenza di Malattia ai Lavoratori.
Da prodotto del fervore delle classi subalterne, gli enti mutualistici divennero così la spina dorsale di un nascente welfare burocratico e corporativo-assicurativo che, anziché promuovere l’estensione dei diritti sociali, cristallizzava le disuguaglianze fornendo a ciascuno una protezione commisurata ai contributi versati e alla posizione ricoperta nel mercato del lavoro.
La sanità così impostata prevedeva dunque, non solo una copertura parziale della popolazione (lavoratori e familiari a carico), ma anche forti sperequazioni tra i beneficiari in quanto le quote contributive versate alle assicurazione variavano in base al tipo di lavoro svolto ed in questo modo si aveva accesso a diversi livelli qualitativi di assistenza.
Uno dei paradossi che si veniva a creare era, per esempio, che i soggetti più vulnerabili e maggiormente esposti a malattie e rischi sociali, come disoccupati e lavoratori a basso reddito (ed i loro familiari), avevano possibilità ridotte di accedere a cure ed assistenza adeguate.

Questo sistema entrò in crisi sia perchè le mutue erano in grave dissesto economico (F. Terannova,Sanità e in sanità pubblica nell’Italia neoliberista.2016),sia perchè le profonde mutazioni dell’Italia nel dopoguerra con il passaggio da un’economia ancora prevalentemente agricola ad una industrializzata con una forte accumulazione di capitale,le migrazioni dal sud al nord,l’inurbamento, l’esplosione dei fattori di rischio in ambienti di vita e di lavoro,la scolarità di massa, furono alla base dei forti movimenti di lotta operai e studenteschi del lungo Sessantotto italiano che portarono a numerose riforme sociali (E. Turi,Per una criica dell’economia poliica in sanità. Quaderni di inchiesta sociale. 2016).
La Riforma sanitaria con L. n. 833/1978 istituendo il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) pose fine a questo assetto (medico provinciale, medico condotto, ufficiale sanitario, mutue, ospedali sperati dal territorio) ma non definitivamente (G. Beringuer. Lamilza di Davide. 1994).
Come il Ministro della sanità del Governo Atlee, Bevan, minatore e sindacalista, che realizzò il National Health Service britannico, non siuscì a internalizzare i medici di famiglia, così non ci riuscì la Riforma sanitaria in Italia nel 1978. Con gli arrt. 25 e 26 essi rimasero convezionati con il SSN come le strutture sanitarie convenzionate esistenti.
Una “bomba a orologeria” collocata dagli avversari della Riforma sanitaria,anche a sinistra, che ha poi portato alla situazione attuale per cui la spesa sanitaria va per il 50% su media nazionale al privato convenzionato accreditato e all’ esternalizzato, tra cui i medici di medicina generale (MMG) i pediatri di libera scelta (PLS) e gli specialisti ambulatoriali convenzionati che nei bilanci di Regioni e Aziende sanitarie (AS) compaiono non sotto la voce personale ma sotto quella di “acquisizione di beni e servizi”.
Una “rimutualizzazione” del SSN.
La L. n. 833/1978 prevedeva Unità Sanitarie Locali (USL) da 50.000 a 200.000 abitanti, articolate in Distretti, senza dare però di questi una definzione che troviamo in nuce nelle elaborazioni del medico igienista A. Giovanardi (1904-2003): già quando la guerra sta per finire nasce quel primo Progetto di riforma dell’ordinamento sanitario italiano, elaborato dalla Consulta Veneta di Sanità operante in seno al Comitato di Liberazione Nazionale, che reca la data della primavera del 1945 e che reca la sua firma.
G. A. Maccacaro (1924-1977 ) nel suo articolo “L’Unità saniraia locale come sistema” (1972), descrive il Distretto e, nell’ambito di questo,la Casa della salute comne luogo di partecipazione popolare.

L’aumento spesa sanitaria dovuto alla maggore durata della vita della popolazione per le migliorate condizioni sociali e sanitarie e il conseguente maggiore consumo di assistanza sanitaria, farmaci e diagnostica negli ultimi anni di vita (mentre l’industria sfornava sempre maggiori e più costosi prodotti biomedici), la crisi della politica istituzionale culminata con gli espiodi di corruzione con Tangentopoli (1992), spingono gli avversari della Riforma sanitaria ad una prima controriforma con il D.Lgs. n. 502/1992 (Ministro De Lorenzo,del Partito Liberale Italiano, unico che aveva votatoto contro la Riforma sanitaria,e poi arrestato per corruzione) con l’aziendalizzzaione, il vincolo del pareggio di bilancio e la figura del Direttore Generale, nominato dal Presidente della Regione, che sostituisce i Comitati di gestione delle USL – formati dai Comuni- e i grandi ospedali che vengono scorporarti dalle AS territoriali formando AS autonome.
La sinistra raccolse le firme per un Referendum abrogativo, ma rimasero nel cassetto perchè con il D.Lgs. n. 517/1993 la ministra M. P. Garavaglia (Democrazia Crisitiana oggi Partito Democratico) ammorbìdì il D.Lgs. n. 502/1992, rendendolo accettabile per la sinistra che governava la sanità in alcune importanti Regioni.
Con i D.Lgs. n.502/1995 e n. 517/1993 il Distretto diventò di minimo di 60.000 abitanti aprendo la strada alle mega AS e ai mega Distreti attuali, contro lo spirito di decentremento amminisrativio che aveva da sempre caratterizzato le politiche della sinistra.
Gli operatori del SSN in vario modo impegnati a sinistra si attivarono invano per consentire un’ applicazione democratica della nuova normativa per preservare le conquiste della L. n. 833/1978.
Le Regioni a loro volta legiferarono in maniere disomogenea sul piano nazionale senza che il Ministero esercitasse nessun ruolo di prorgammazione e coordinamento, mentre i Comuni si sottrassero progressivamente ad ogni responsabilità, pur prevista dalla normativa, limitandosi a difese localistiche o pratiche clientelari.
Negli anni ‘80 del XX secolo a spinta di tasformazione sociale e politica del lungo Sessantotto italiano si stava spegnendo con la controffensiva conservatrice mondiale (Reagan, Tatcher), l’esaurirsi del periodo economicamente espansivo seguito al secondo conflitto mondiale e dello spauracchio rappresentato per le classi dominanti delle rivoluzioni sociali, del socialismo reale e dei paesi decolonizzati che aveva portato al compromesso socialdemocratico e al welfare nei paesi industrializzati.
A ciò si sono accompagnate politiche moderate e di compromesso sociale delle sinistre in Italia,che hanno dilapidato il patrimonio di due decenni di lotte del movimento operaio e democratico,senza dargli uno sbocco di governo, con il corollario del terrorismo e del craxismo-berlusconismo,variante italiana delle spinta conservatrice mondiale.

Nel territorio l’aziendalizzazione si accompagnò al Referendum voluto dal Partito radicale, ma appoggiato anche da settori ambientalisti,per sotrarre le competenze ambientali al SSN,sicuramente responsabile di scarsa attenzione alla tematica ai suoi vari livelli (Ministero, Regioni, AS). Ciò detrerminò una spinta difensiva dei Servizi di prevenzione che si batterono per il Dipartimento di prevenzione con conseguente proliferazione corporativa di strutture dirigenziali.
Così il Distretto,che già con fatica sopportava gli accorpamenti,si trovò sempre più a gestire strutture ambulatoriali, l’assistenza domiciliare, la medicina legale mentre altri servizi come i Consultori, istituiti con la L.1975 e i Servizi per le dipendenze tentavano vie autonome (Dipartimenti) e il Dipartimento di salute mentale già navigava per legge per proprio conto.
Come l’ospedale ,ma senza le risorse umane e tecnologiche, il Distretto diventa il passino in cui finisce tutto ciò che non va in ospedale o ne esce e su cui si riversano gli effetti di politiche sociali e sanitarie restrittive.In particolare il mancato siluppo di politiche per migliorare i determinanti di salute: inquinamento di acqua, aria e suolo, rifiuti, reddito, lavoro, casa istruzione, trasporti, servizi,e cc. (M. Marmott, salute diseguale.2016).
Le spinte innovative pur presenti all’inizio nella medicina del lavoro e nella salute mentale si sono con il tempo appassite.
La Ministra R. Bindi con il D.Lgs n. 229/1999 nel primo Governo di R. Prodi con Rifondazione comunista nelle compagine governativa (per la prima volta i Comunisti e gli ex Comunisti al Governo nazionale dopo il Governo F. Parri nel 1945) operò una definizione del Distretto,ma dentro un provvedimento insufficiente che pose sullo stesso piano pubblico e privato, soprattutto il privato sociale, ponendo le basi normative del Sistema a posto del Servizio, in cui il SSN propriamente detto e il privato collaborano per fare “Sistema”.

E utile ricordare due degli art. del D.Lgs. n.229/1999
2. Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attivita’ sanitarie e sociosanitarie di cui all’ articolo 3-quinquies, nonche’ il coordinamento delle proprie attivita’ con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente nel Programma delle attivita’ territoriali. Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell’ambito delle risorse assegnate, il distretto e’ dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilita’ separata all’interno del bilancio della unita’ sanitaria locale.

3. Il Programma delle attivita' territoriali, basato sul principio della intersettorialita' degli interventi cui concorrono le diverse strutture operative:

a) prevede la localizzazione dei servizi di cui all’articolo 3-quinquies;
b) determina le risorse per l’integrazione socio-sanitaria di cui all’articolo 3-septies e le quote rispettivamente a carico dell’unita’ sanitaria locale e dei comuni, nonche’ la localizzazione dei presidi per il territorio di competenza;
c) e’ proposto, sulla base delle risorse assegnate e previo parere del Comitato dei sindaci di distretto, dal direttore di distretto ed e’ approvato dal direttore generale, d’intesa, limitatamente alle attivita’ sociosanitarie, con il Comitato medesimo e tenuto conto delle priorita’ stabilite a livello regionale.

  1. Il Comitato dei sindaci di distretto, la cui organizzazione e il cui funzionamento sono disciplinati dalla regione, concorre alla verifica del raggiungimento dei risultati di salute definiti dal Programma delle attivita’ territoriali. Nei comuni la cui ampiezza territoriale coincide con quella dell’unita’ sanitaria locale o la supera il Comitato dei sindaci di distretto e’ sostituito dal Comitato dei presidenti di circoscrizione.

L’ Università Bocconi con il suo CERGAS sin dall’inizio ha dimostrato non a caso un grande interesse per i Distretti del SSN con particolare riferimento alla gestione delle risosrse (F.Longo, 1999).

Per una panoramica della situazione dei Distretti del SSN si rimanda all’unica pubblicazione ufficiale (8° Supplemento al n. 27 di Monitor 2011) dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari- AGENAS (Agenzia gestita dal Ministero della salute e dalle Regioni), Ministero della salute, Università Cattolica e CARD (Associazione dei Distretti):

”Il Distretto ha subito nel corso degli anni un’evoluzione che lo ha portato ad essere configurato come un “sistema integrato di unità organizzative che interagiscono per realizzare le finalità dell’assistenza primaria” – recita l’introduzione – “Tale evoluzione nasce dalla necessità di offrire una risposta più adeguata a un bisogno di salute in una fase di profonda trasformazione, in cui il baricentro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si va spostando sempre più dall’ospedale al territorio. Con il D. Lgs. n. 229/1999, il Distretto ha assunto il ruolo di struttura operativa dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) deputata a contribuire alla garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) riferibili al sistema della primary health care, che si traduce principalmente nella proposizione, attuazione e verifica del processo organizzativo di presa in carico istituzionale e nella realizzazione della continuità assistenziale per pazienti cronici e con bisogni assistenziali complessi.
Al fine di comprendere meglio l’evoluzione del Distretto e in seguito all’indagine effettuata negli anni 2005-2006, l’Agenas nel 2010 ha effettuato – in collaborazione con l’Università Cattolica del S. Cuore di Roma, la Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto (CARD) e i referenti di ciascuna Regione e Provincia Autonoma – una nuova indagine, con l’obiettivo di ottenere una fotografia aggiornata della rete distrettuale, affrontando alcuni aspetti organizzativi connessi ad un’organizzazione complessa formata da un’articolata rete di professionisti e servizi.
681 Distretti sanitari sul totale dei 711 attivati al 31.12.2009 nelle Regioni e Province Autonome hanno partecipato alla rilevazione, con un’adesione quasi totale (96%), consentendo di ottenere informazioni su:
caratteristiche generali dei Distretti (contesto territoriale e caratteristiche organizzative);
– programmazione e integrazione sociosanitaria nel Distretto;
– centralità del cittadino e della comunità nel Distretto
– funzioni del Distretto nell’accesso dei cittadini ai servizi e attori fondamentali dell’assistenza primaria;
– analisi delle relazioni tra alcuni aspetti salienti dell’indagine.
Lo strumento adottato per la ricognizione di tipo censuario è stato un questionario elaborato con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, successivamente validato da un team di esperti in materia di assistenza territoriale. Le domande del questionario sono state strutturate sulla base di quattro indicatori di collaborazione tra professionisti all’interno di organizzazioni sanitarie, secondo il modello D’Amour et al (BMC Health Service Research 2008; 8:188): governance, rapporti formali, obiettivi condivisi e vision, rapporti interni.
I risultati sono stati presentati in occasione del Convegno “La rete dei Distretti sanitari in Italia” tenutosi a Roma il 30 marzo 2011, e sono stati pubblicati in un numero monografico di Monitor (op. cit).contenente, oltre al report finale dell’Indagine, anche contributi di esperti e di referenti regionali”.

Cosa emerge da quella ricerca e rimane oggi?

Il Direttore di Distretto fa parte di quello spoil ystem (sistema delle spoglie:chi vince prende tutto) che caratterizza il SSN dal Direttore Generale in giù attraverso un “manuale Cencelli” (dal nome del funzionario democristino che nel 1967 diede nome alla lottizzazione delle cariche pubbliche,senza forse aver letto di M.Weber “Il lavoro politico come professione”,1921), aggravato dal fatto che raramente si accede a tale ruolo per concorso pubblico, e lo stesso D.Lgs. n. 229/199 allargava a dirigenti non medici e a MMG. Un’ impostazione che privilegia la fidelizzazione fiduciaria e l’attitudine o formazione “gestionale” più che le competenza tecnica (in cui rientra la professionalità gestionale ma non il contrario).

Il blocco delle assunzioni di personale dipendente non sembra emergere come grave problema (infatti non c’è una dato sul personale dei Distretti nè sulle prestazioni erogate) cosa invece drammatica che ha minato profondammente il territorio con le conseguenti esternalizzazioni e accreditamenti nonché il precariato nei rappori di lavoro.

Le grandi dimensioni territoriali dei Distretti (da minimo 60.000 a ben oltre i 200.000 abitanti!) è considerato un fatto positivo di “semplificazione“ del sistema.

Le cure primarie basate sul ruolo di indirizzo e coordinamento della medicina di base convenzionata (MMG, PLS, specialisti ambulatoriali,continuità assitenziale-guardia medica) non viene mai visto come critico mentre è noto come,soprattutto nei Distretti urbani e metropolitani sia motivo di insoddidfazione per MMG/PLS e assistiti. Si sorvola sul tema delle liste di attesa. Come si fanno a seguire 1000-1500 assistiti per MMG? Se pure si applicassro criteri di stratificazione della popolazione (Chronic Care Model o CREG della Lombardia) per 1000 assititi si avrebbero almeno un 30% di cronici di cui alcuni con più di 2 patologie, numerosi farmaci, non deambulazione,ecc..

Come si fa con questi numeri a fare il “case manager” o il “desease management”? Che poi è la presa in carico del paziente quando un’anamnesi ben fatta e una vistita medica accurata richiedono almeno 20-30 minuti?. Come si fa se la “medicina di gruppo“(UCP) e le Case della salute sono poco più di un ambulatorio dalle 10,00 alle 19,00 con una segretaria dove si fanno soprattutto prescrizioni o prestazioni in urgenza?

L’“infermiere di comunità” non avrebbe analoghi problemi anche se supportato da strumenti informatici? Ancora oggi l’assistito non viene inviato da solo a prenotare visite ed eami diagnostici tutto in un’ottica prestazionale? Che dire di giovani MMG cui viene chiesto dai MMG anziani una buonuscita basata sul numero degli assititi fino a 30-40.000 Euro? Come fare se MMG e PLS chiedono emolumenti economici per ogni prestazione in più (vaccinazioni, PDTA) o si possono rifiutare di farle? Che dire della formazione attraverso corsi triennali gestiti dalle Regioni tramite i sindacati dei MMg o gli Ordini dei medci e non dall’Università? In queste condizioni è possibile una “medicina di prossimità” anche se sviluppata su microaree (Forum diseguaglianze e diversità,2019)?

Pur essendo già intervenuta la normativa nazionale (2005) sulle Case della salute non vi si fa alcun cenno neanche nei capitoli scritti dalla Regione Toscana,a dove l’esperienza è partita nel 2000 come risposta ai primi grandi accorpamenti delle AS e grandi Distretti (Benigni,2000). E’ paradigmatico osservare come spesso questa esperienza sia stata ed è ancora sbandierarta dalla sinistra, oggi aggiornata come Casa della comunità (Firenze-Le Piagge,e altri due casi),mentre la pubblicazione del Servizio studi del Parlamento (2020) ne dà un quadro impietoso:quanto è riproducibile a livello nazionale in tutti i contesti in queste condizioni?

Si propone, come soluzione per la complessità della presa in carico dell’assitito nei vari percorsi in cui il SSN lo lascia da solo (dimissione dall’ospedale, percorsi diagnosrico terapeutici assistenziali,visite specialistiche, riabilitazione, ecc.), il ruolo del Distretto come “committenza” che lo separa da quello di “produzione” di servizi che sembrava già prefigurare un ruolo di “smistamento” della domanda tra erogatori di prestazioni prevalentemente privati accreditati.
Come si fa a fare prevenzione primaria e promozione della salute se il Dipartimento di prevenzione è fuori dal Distretto?

Così il Distretto ha in carico tutta la fragilità (anziani, disabili, dipendenze) ma le filiere clicniche sono in Dipartimenti ospedalieri e territoriali che agiscono separatamente anche nei contesti distrettuali e nessuno dei modelli adottati ha risolto questi problemi. Nè Il Distretto “filiale” dell’AS, nè il Distretto “matrice” che organizza in modo orizzontale sul territorio le competenze funzionali verticali dei Dipartimenti o delle Unità Oprative cliniche,nè il Distretto “committenza”. Forse sarebbe utile un’attività di valutazione delle poltiche adottate dalle Regioni e dalle AS.

In questo contesto esplode l’epidemia da Covid-19 travolgendo le fragili strutture territoriali e riversando sugli ospedali la domanda dei pazienti mettendo in crisi le Regioni dove la sanità territoriale è più fragile (Lombardia, Calabria), ma anche altre che hanno visto riversarsi su Distretti e MMG/PLS tutto ciò che l’ospedale non era in grado di affrontare, mentre le Regioni hanno bloccato l’attività ospedaliera d’elezione e ambulatoriale rinviabile.

Uno stress test che rientra appieno nella shock economy (N. Klein,2007) per cui il disastro “naturale” (terremoto, alluvione, epidemia) è usato dalle forze poliche ed economiche dominanti per introdurre modifiche permanenti a loro favore.

Così nasce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (2021) dove la Casa della comunità sostituisce quelle della salute senza spiegare perchè il cambiamento di nome (E. Turi, Lavoro e salute,11/2021;il manifesto 15/11/2021) e la Centrale Operativa Territoriale (COT),questa sconosciuta, sembra diventare un call center informatizzato gestito da infermieri che indirizzano la domanda verso l’erogatore, più che attuare la presa in carico della stess,mentre il Distretto,relegato alla committenza, acquista prestazioni prevalentemente dal privato accreditato. L’ Ospedale di comunità sarà sicuramente nel privato accreditato.

Il PNRR contiene molte parti relative alla sanità, non solo nella Missione 6, ma per ristrutturazioni di edifici pubblici , tecnologie sanitarie e informatica: ma nulla per il personale che sarà prevalentemente esternalizzato,convenzionato, accreditato e del privato sociale. Un “riformar facendo” ad invarianza normativa e di sistema,troppo rischiosa in questo momento.

Il Distretto formalmente rimarrà ma sarà spazzato via come struttura e funzione di prossimità dalle profonde trasformazioni e dalla rivoluzione digitale in atto in cui i cittadini sempre più “esigenti” e “informatizzati”, chiederanno modalità di gestione diverse della decodifica e della presa in carico della domanda, in un’ottica prevalentemente prestazionale, e gli operatori delle AS se non contratteranno e governeranno questi processi ne saranno travolti, aumentando precarietà e alienazione.

La “web economy“ e il capitalismo delle piattaforme stanno entrando a gamba tesa nella salute e nella sanità attraverso la dittatura dell’algoritmo (J. G. Sanchez, Documentario,2021; M. Mezza, Il contagio dell’algoritmo. 2022)

La sinistra moderata e radicale, le organizzazioni che derivano dal patrimonio del movimento operaio e democratico, i sindacati confederali e di base,da grandi agenti ideatori di trasformazioni sociali profonde, sembrano da tempo incapaci di ogni elaborazione e iniziativa che non sia subalterna al pensiero unico dominante, più spesso appiattite sulla gestione tecnocratica dell’esistente o nella riproposizione di slogan forse giusti ma inefficaci .

I movimenti di lotta per la salute in questo momento appaiono deboli, frammentari e privi di una piattaforma unificante: Dico 32, Società della cura, Congresso nazionale per la salute, più numerose esperienze locali.

Contrattare dal basso il PNNR, co-progettare le Case della Comunità con AS,Comuni/Municipi e comunità locali, rivendicare un ruolo attivo sulla salute e la sanità dei Sindaci e degli Assessori al sociale e dei Municipi. Bloccare le convenzioni con il privato e l’accredittato chiedendone la reinternalizzazione ad iniziare da MMG/PLS/guardia medica e specialisti ambulatoriali convenzionati. Una riduzione degli assistiti per MMG/PLS. Un piano straordinario di assunzioni nel SSN con concorsi regionali pubblici con modalità uniformi in tutte le Regioni per profili e specializzazioni e graduatorie a scorrimento. Un Contratto unico per la sanità. Il superamento del numero chiuso a medicina e per le professioni sanitarie con una specializzazione per il MMG. Negoziare l’ informatizazione della sanità. Il superamento della figura monocratica e anacronistica del Direttore Generale delle AS, la sua contrattualizzazione con concorso su base nazionale e la creazione di contrappesi democratici nelle AS.

Forse non basta, ma non sarebbe poco.

Edoardo Turi

Medico, Direttore di Distretto ASL , attivista di Medicina Democratica e del Forum per il Diritto alla salute

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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