La secessione strisciante distrugge i Comuni e un sano decentramento

Nelle stanze blindate del governo si programma, nel silenzio degli organi di stampa, il golpe con le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata”, nonostante il parere della Corte dei Conti che ha fatto presente le gravi disfunzioni che produrrebbe.
Il governo se ne frega e lo conferma anche con l’intesa Stato-Regioni del 4 agosto che assume nell’assistenza domiciliare i meccanismi della Lombardia: esternalizzazione dei servizi ai privati.
Non è bastata la malagestione della sanità, le migliaia di morti di covid – con il ministero della salute a fare da spettatore – e gli effetti disastrosi sull’economia e sulla convivenza sociale con la pretesa di decidere autonomamente norme e regole su sanità, scuola, trasporti?

Con la riforma del Titolo V, approvata dal Centro-Sinistra nel 2001, veniva ridotta la potestà legislativa dello Stato a favore di quella concorrente delle regioni, che tenderanno ad interpretarla come esclusiva. Nel nuovo testo spariscono il concetto di interesse nazionale e il richiamo a Mezzogiorno e Isole che erano presenti nel testo originario del 1948.
L’art. 116, 3 c. introduce la possibilità di poter accedere a forme particolari e ulteriori di autonomia subito richieste da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.
Le pre-intese chiedono di far passare alle Regioni quasi tutte le materie previste dall’art. 117, 3 c. precisamente 23 per Veneto e Lombardia, 15, ma consistenti, per Emilia Romagna: si tratta di materie strategiche ed importanti che coinvolgono profondamente la vita dei cittadini: scuola, università, ricerca, sanità, sicurezza sul lavoro, previdenza integrativa, ambiente, lavoro e contratti, professioni, infrastrutture, trasporti, energia, beni culturali etc.

Poi si sono aggiunte altre regioni per cui, se le richieste fossero approvate, si avrebbero 20 sistemi regionali completamente diversi, alcuni ricchi, altri poveri, ed uno Stato svuotato delle funzioni di indirizzo e governo: di fatto una frantumazione irreversibile delle strutture materiali ed immateriali alla base della collettività e dell’identità nazionale.

Le regioni, si finanzieranno trattenendo la maggior parte dei tributi erariali maturati nel proprio territorio, privando così lo Stato del fondo di solidarietà e perequazione, tratto dalle regioni più capienti, per compensare i territori meno ricchi e poveri, soprattutto al Sud. La spesa cioè non potrà cambiare stante l’obbligo dell’invarianza di spesa ai sensi dell’art. 81 della Costituzione.

Di fatto l’Autonomia Differenziata porta allo smantellamento dello Stato sociale e dei principi di uguaglianza e solidarietà, politica, economica e sociale previsti dall’art.2 della Costituzione, peraltro mai applicato. E si viola anche l’art. 5 della Costituzione per il quale i diritti devono essere universali su tutto il territorio nazionale, senza alcuna differenza di residenza, giacché la Repubblica è “una e indivisibile”.
Si sostituisce al centralismo dello stato il centralismo delle regioni, si frantuma il paese, si annullano e mortificano le autonomie dei Comuni e degli Enti di area vasta, inficiandone la possibilità e capacità di definire le politiche più adeguate alla specificità dei loro territori.

In questo quadro Sud e Isole rischiano una deriva irreversibile, perché partono da una situazione di svantaggio per il minor gettito fiscale e perché, soprattutto negli ultimi venti anni, a questi territori sono stati scientemente sottratti finanziamenti, si parla di 62 miliardi almeno, attraverso un iniquo calcolo della spesa storica pro-capite, calcolata sull’età media, che al Sud è più bassa, e sui servizi esistenti o zero esistenti anziché su quelli necessari.

Di fatto, i finanziamenti continuano ad essere distribuiti in base alla regola “tanto hai speso, tanto ti sarà dato”, generando il paradosso che chi meno ha, meno riceve, mentre chi più ha, più riceve. Ciò ha penalizzato soprattutto il sud e quindi, soprattutto negli ultimi 10 anni, quando la crisi era più forte, si è verificato un enorme travaso dal Sud al Nord di risorse finanziarie, ma anche di risorse umane qualificate.

Un esempio lampante è dato dalla sanità, il cui definanziamento, ancora maggiore al Sud, ha prodotto un progressivo aumento della mobilità sanitaria, che ha comportato per un milione di ricoveri il drenaggio verso il Nord di quasi 5 miliardi: utili a ripianare i bilanci e i debiti delle aziende ospedaliere del Nord. Altri dati che confermano il grande furto al Sud sono a piè pagina.

In sintesi, già ora i Comuni poveri ricevono solo il 43% del fabbisogno reale, perché i ricchi non partecipano alla perequazione e quindi lo stato riesce a coprire solo il 22.5% del fabbisogno.
Ciò significa che funzioni fondamentali e diritti costituzionali, come istruzione, servizi sociali, trasporto pubblico locale, asili nido, polizia locale, rifiuti, nel 50% dei 6700 comuni delle 15 regioni a statuto ordinario, non sono stati svolti o lo sono stati solo molto parzialmente.
Questa, in estrema sintesi, la situazione di spesa per il Sud: se passerà l’Autonomia Differenziata Sud e isole non saranno in grado di reggere.

Con la pandemia le disuguaglianze sono aumentate moltissimo anche a causa dell’autonomia delle Giunte regionali già in atto. Una sana politica governativa farebbe fare un passo indietro ai cosiddetti governatori e potenziare invece il ruolo dei Comuni.

Redazione Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di settembre del mensile

Versione interattiva https://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2021/
PDF http://PDF http://www.lavoroesalute.org/

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