La secolarizzazione avanza, ma in tv è sempre più Vaticanistan


Sembra proprio che i mezzi di comunicazione italiani non vogliano arrendersi a un’evidenza: il paese è incamminato verso la secolarizzazione, non a passi da gigante, forse, ma con costanza e già da qualche anno. Eppure in televisione si sprecano programmi di attualità e approfondimento dedicati alle confessioni religiose, in cui ovviamente la parte del leone la fa la Chiesa cattolica.

È il paradosso che emerge dall’analisi dei dati pubblicati sull’ultimo numero di Critica Liberale (n. 230) che ogni anno diffonde i risultati di tre rapporti di cui l’omonima Fondazione è promotrice: quello sulla secolarizzazione in Italia (all’XI edizione), quello su religioni e televisione (VI edizione) e quello relativo alla presenza confessionale nei telegiornali (VII).
L’Italia dipinta dal rapporto sulla secolarizzazione – che mette insieme dati statistici provenienti da diverse fonti, tra cui Istat, Ufficio Statistico del Vaticano, Cei, Ministero dell’Economia, Ministero della Salute eccetera – porta a concludere che per ora (i dati fanno riferimento al 2014) non c’è stato nessun «effetto Bergoglio» sulla propensione dei cittadini italiani a condizionare le proprie scelte di vita in base ai dettami della dottrina e della morale cattolica.

Lo si desume in primo luogo dal calo dei matrimoni concordatari: se nel 1994 superavano l’80% del totale (235mila su 291mila) nel 2014 si attestano al 56,9% (108mila su un totale di 189mila), con un calo anche rispetto al 2013 quando si erano fermati a quota 57,5%. Di contro sono progressivamente aumentati i matrimoni con rito civile: erano il 19,1% (55mila) nel 1994, superano il 43% (81mila) nel 2014 (e secondo gli ultimi dati Istat disponibili – oggetto del prossimo rapporto sulla secolarizzazione – nel 2015 sono saliti al 45,3%).

Cala anche il numero dei battezzati tra 0 e 7 anni sul totale dei nati vivi: un dato che in termini assoluti (-17mila, passando dai 395mila del 2013 ai 378mila del 2014) risente della generale diminuzione delle nascite ma che comunque registra un calo di tre punti in termini percentuali (dal 79,4% del 2013 al 76,6% del 2014). I battesimi oltre il settimo anno d’età, dopo la corsa che li ha visti triplicare tra il 2004 e il 2011 (passando da 3.620 a 10.724),  si mantengono sostanzialmente stabili: nel 2014 sono 10.731 (con un lieve calo rispetto al 2013 quando hanno toccato il picco di 11mila).

Alla diminuzione della natalità consegue quella del numero di studenti, scesi in un anno dell’1,2%: un fenomeno per ora concentrato nelle scuole d’infanzia (-2,3%) e medie (-2%), e più contenuto presso elementari e secondarie. Nell’ambito delle scuole cattoliche il numero di studenti  è diminuito più della media nazionale, registrando un -2,7%. Andando a leggere queste cifre nel dettaglio, salta all’occhio il drastico calo di studenti alle scuole secondarie (-6,6%), un terreno che, rileva Lorenzo Di Pietro commentando i dati su Critica Liberale, «è da tempo in abbandono da parte delle gerarchie ecclesiastiche, che hanno preferito concentrare le proprie risorse sull’educazione primaria». Ed è in questo settore che in effetti guadagnano un +3,5%, con 5.000 nuovi iscritti (mentre le scuole dell’infanzia cattoliche registrano un -3,7%). Ma se su questi dati può aver inciso anche la crisi economica, altrettanto non si può dire circa il numero degli studenti che sceglie di avvalersi della religione cattolica a scuola, numero che continua a diminuire, attestandosi nel 2014 all’87,8% (era il 94,4% nel 1994; l’88,5% nel 2013).

L’unico dato che può far tirare un parziale sospiro di sollievo alla Chiesa cattolica è quello relativo a catechisti, diaconi e missionari laici. I primi, in particolare, registrano una crescita costante, raggiungendo nel 2014 quota 258mila (erano quasi 76mila nel 1996). Lo stesso dicasi per i missionari laici, 2.497, mille in più rispetto a dieci anni prima, e per i diaconi che dal 1994 a oggi hanno quasi triplicato la loro consistenza numerica (da 1.500 a 4.300).

Paese reale e paese mediatico

Di tutto ciò sembra che la televisione italiana non riesca proprio a farsene una ragione. La Rai è ormai un feudo personale del Vaticano, come sottolinea il direttore di Critica Liberale, Enzo Marzo, commentando i dati del rapporto su confessioni religiose e tv. E le reti private non fanno eccezione.
Tra il settembre 2015 e l’agosto 2016 le trasmissioni televisive dedicate al religioso sono state 726 – di cui 524 incentrate sulla religione cattolica – per un totale di più di 500 ore di programmazione.

Ma non è finita qui. Nello stesso arco di tempo si registrano più di 600 presenze di soggetti confessionali in programmi di informazione/attualità (la ricerca si concentra su 15 trasmissioni): nel 77,9% dei casi si tratta di esponenti della Chiesa cattolica (seguono i musulmani con il 18,3%).

Cresce poi notevolmente il numero di fiction di argomento religioso e/o con protagonisti confessionali: se tra il 2010 e il 2011 erano 57, tra il 2015 e il 2016 se ne contano 901 per un totale di 912 ore di programmazione (nel 96,6% dei casi incentrate sulla religione cattolica).
Completano il quadretto anche 41 film e 18 documentari di argomento religioso (in cui la Chiesa cattolica è sempre preponderante).

Per quanto riguarda i telegiornali, si registra un’impennata dei tempi di parola del papa: se nel 2012 Benedetto XVI aveva totalizzato 16 ore, nel 2015 Bergoglio arriva a più di 96 ore. E soprattutto nei tempi di notizia: nel 2015 papa Francesco arriva a toccare quota 137 ore, contro il massimo (nel 2010) di 75 ore registrato da Benedetto XVI dall’inizio del monitoraggio (nel 2009).

«Che fare?», si chiede Enzo Marzo. «Due anni fa l’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti (Uaar) inviò un esposto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che ha (o dovrebbe) avere il dovere di far rispettare il pluralismo sociale nella Tv pubblica, per lamentare sulla base della nostra ricerca dell’epoca il prepotente dominio vaticano in tutto il palinsesto, ma ricevette una risposta ridicola, e anche un po’ offensiva. Noi stessi – prosegue Marzo – oltre che produrre la documentazione scientifica, ci siamo mossi con presentazioni e conferenze stampa, e siamo andati dal Presidente della Commissione di vigilanza Rai, Roberto Fico, che mostrò di scandalizzarsi delle cifre che gli esponevamo. Ma poi non prese alcuna iniziativa, e neppure informò la sua Commissione. Abbiamo dovuto prendere atto sconsolatamente che “così fan tutti”. E che in questo paese in vertiginoso declino in tutti i campi, la laicità non può non risentire della mediocrità, della tracotanza, delle esagerazioni, della sfacciataggine dei poteri e dei contropoteri».

Ingrid Colanicchia
1/6/2017 da MicroMega

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