L’apparato di disinformazione di Israele: un’arma chiave nel suo arsenale

La disinformazione viene prodotta su scala industriale da fonti ufficiali israeliane per giustificare il Genocidio in corso a Gaza.

Fonte: English version

Di Tariq Kenney-Shawa – 12 marzo 2024

Sintesi

La disinformazione viene prodotta su scala industriale da fonti ufficiali israeliane per giustificare il Genocidio in corso a Gaza. Giornalisti e analisti di ricerca, raccolta ed analisi di dati e di notizie d’interesse pubblico tratte da fonti aperte hanno solo aggiunto benzina a questo fuoco di disumanizzazione palestinese sostenendo le false notizie senza il necessario controllo. Nel suo ultimo rapporto politico, Tariq Kenney-Shawa approfondisce le tattiche di guerra dell’informazione di Israele, esplorando come questi sforzi abbiano contribuito al decadimento della verità e come ostacolino gli sforzi per organizzare una risposta globale. Offre raccomandazioni a giornalisti, analisti e al pubblico in generale per sfruttare strumenti liberi di indagine nelle ricerche per confutare la propaganda e la disinformazione israeliane dominanti.

introduzione

Durante le campagne di Genocidio e Pulizia Etnica, la disinformazione è un’arma potente: uno strumento per disumanizzare le vittime, giustificare la violenza di massa e, soprattutto, diffondere il dubbio per zittire le richieste di intervento. Quando l’informazione viene utilizzata come arma, la confusione e il dubbio non emergono più dalla “nebbia di guerra” come sintomo, ma vengono volutamente instillati ​​con intenzione esplicita.

Al momento in cui scrivo, le forze israeliane hanno ucciso oltre 30.000 palestinesi a Gaza e in Cisgiordania dall’ottobre 2023. Hanno preso di mira ospedali, scuole e civili in fuga dalle loro case. L’assalto di Israele è segnato non solo dalla portata storica della violenza inflitta ai palestinesi, ma anche dal flusso senza precedenti di disinformazione utilizzato per giustificarlo.

La propaganda e la disinformazione prodotte su scala industriale dal governo israeliano e da fonti militari vengono legittimate e potenziate da un’ampia rete di giornalisti e analisti di ricerca, raccolta ed analisi di dati e di notizie d’interesse pubblico tratte da fonti aperte di indagine nelle ricerche (OSINT), che hanno scartato ogni traccia di obiettività e rigore analitico nella loro copertura. Invece di testimoniare i Crimini di Guerra Israeliani e mettere in discussione le narrazioni portate avanti da un Regime impegnato in un Genocidio, ne sono diventati complici. Di conseguenza, le operazioni di informazione israeliane beneficiano di una rete di media che agisce non come corrispondenti imparziali, ma come facilitatori delle atrocità di massa israeliane.

Questo documento politico esplora le tattiche di guerra dell’informazione che Israele ha utilizzato per influenzare la percezione pubblica del Genocidio in corso a Gaza, come questi sforzi hanno contribuito all’offuscamento della verità e come ostacolano gli sforzi per organizzare una risposta globale. Spiega anche come giornalisti e analisti siano diventati facilitatori attivi dei Crimini di Guerra Israeliani agendo come canali acritici della propaganda israeliana. Infine, offre raccomandazioni a giornalisti, analisti e al pubblico in generale per sfruttare gli strumenti disponibili per confutare la propaganda e la disinformazione israeliane dominanti.

Hasbara: una strategia a lungo termine

Israele ha da tempo riconosciuto l’ambiente dell’informazione come un fronte di battaglia fondamentale per giustificare le perpetue strutture oppressive dell’Occupazione e dell’Apartheid. “Hasbara”, che in ebraico significa “Spiegare”, incarna da tempo questo riconoscimento. Radicato in concetti preesistenti di propaganda sponsorizzata dallo Stato: Agit-Prop* e guerra dell’informazione, l’Hasbara mira a modellare i parametri stessi di un dibattito accettabile. Ciò comporta uno sforzo coordinato sia da parte delle istituzioni statali che delle ONG per rafforzare l’unità interna israeliana, garantire il sostegno degli alleati e influenzare il modo in cui media, intellettuali e influencer discutono di Israele. (*Agit-Prop era il nome con il quale veniva chiamato il Dipartimento per l’agitazione e la propaganda del Comitato Centrale e dei Comitati Territoriali del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, in seguito rinominato “Dipartimento Ideologico”.)

Per anni, gli sforzi israeliani per l’Hasbara sono stati coordinati da enti governativi, come il Ministero degli Affari Strategici. Dopo la chiusura del Ministero nel 2021, il governo israeliano ha approvato un progetto da 100 milioni di Shekel (25 milioni di euro) volto ad adattare l’Hasbara israeliana a un pubblico globale in evoluzione. L’iniziativa, guidata dall’allora Ministro degli Esteri Yair Lapid, convogliava fondi indirettamente verso entità straniere, dagli influencer dei social media alle organizzazioni di controllo dei media, che avrebbero diffuso propaganda filo-israeliana nascondendo legami diretti con il governo israeliano. Questi sforzi concertati cercano di stabilire filtri cognitivi che convalidino gli interessi israeliani screditando al tempo stesso le narrazioni opposte sul colonialismo dei coloni israeliani e sulla sua violenza sistemica.

Adattandosi a un ambiente ricco di informazioni, gli hasbaristi non cercano solo di bloccare l’accesso alle informazioni, ma piuttosto guidano il pubblico verso un’interpretazione selettiva. Per oltre 75 anni hanno ritratto Israele come la vittima perpetua, nonostante il suo Dominio Militare e il suo ruolo di Occupante, e ora stanno impiegando le stesse tattiche per giustificare il Genocidio a Gaza. Accusando Hamas di usare i palestinesi a Gaza come “scudi umani”, dipingendo i gruppi di Resistenza palestinesi come minacce esistenziali simili ai Nazisti e all’ISIS, o diffamando le vittime degli attacchi aerei israeliani come “coinvolti”, l’Hasbara mira a giustificare l’ingiustificabile.

Seminare il dubbio

Prima dell’era digitale, era più facile per Israele screditare le rivendicazioni palestinesi negandole completamente. Ma l’avvento del ciclo di notizie 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e dei social media ha permesso che le immagini delle atrocità israeliane attraversassero il mondo alla velocità dell’informazione, costringendo gli hasbaristi israeliani a cambiare tattica.

Il 30 settembre 2000, il dodicenne Muhammad al-Durrah fu ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane durante uno scontro a fuoco tra soldati israeliani e forze di sicurezza palestinesi. Il momento della morte di Muhammad, ripresa dalle telecamere, ha segnato la nascita del termine Hasbara “Pallywood”, una calunnia razzista che accusa i palestinesi di aver commesso atrocità commesse invece dagli israeliani.

Incapaci di negare apertamente l’assassinio di Muhammed, i propagandisti israeliani sono ricorsi a delegittimare del tutto la fonte. Dopo che il filmato della morte di Muhammad è diventato virale, gli israeliani hanno insistito sul fatto che fosse un attore e che la sua morte fosse inscenata. Non importava che il padre di Muhammad avesse seppellito suo figlio con le proprie mani, né importava che l’omicidio fosse stato ripreso in video e confermato da testimoni oculari. Ciò che contava era che tutte le rivendicazioni palestinesi da quel momento in poi sarebbero state viziate da dubbi, sottoposte a un controllo più approfondito o screditate del tutto.

Negli anni successivi, la pratica di ritrarre le vittime palestinesi dei Crimini di Guerra israeliani come attori di scena si è evoluta da una tattica marginale cospiratoria a una strategia ufficiale del governo israeliano. Il 13 ottobre 2023, la pagina ufficiale X-Twitter dello Stato di Israele ha pubblicato il video di un bambino palestinese morto, avvolto in un sudario bianco, sostenendo che si trattasse di una bambola posizionata da Hamas. Solo dopo che l’autore originale del caricamento del video è stato rintracciato, il bambino identificato e condivise ulteriori prove, il post diffamatorio è stato cancellato senza spiegazioni ufficiali o ritrattazioni. A quel punto, la falsa notizia aveva già raccolto milioni di visualizzazioni e il danno era fatto. D’ora in poi, tutte le immagini di bambini palestinesi morti sarebbero state ignorate da un pubblico pronto a dubitare della loro autenticità.

Il mese successivo, un portavoce del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato denunciato per aver tentato di spacciare le riprese di un film libanese come prova che i palestinesi fingevano di essere feriti dagli attacchi israeliani. Il post è rimasto attivo per giorni, nonostante una nota della comunità di X-Twitter e una smentita della BBC. Le calunnie “pallywood” sono state rivolte anche agli influencer più famosi nel tentativo di screditarli. Ad esempio, post virali provenienti da pagine ufficiali dei social media israeliani affermavano che Saleh Aljafarawi, un popolare influencer che ha seguito l’assalto israeliano a Gaza, avrebbe inscenato finte ferite in un ospedale. Anche questo è stato successivamente smentito, poiché è stato dimostrato che il filmato riguardava invece Mohammed Zendiq, un giovane ferito durante un’incursione israeliana in Cisgiordania.

Naturalmente, le affermazioni israeliane di propaganda “Pallywood” non sono mai state concepite per superare un controllo e un esame accurato, anche blando. Ma in un’epoca in cui oltre il 50% degli adulti statunitensi riceve le notizie dai social media e un numero ancora più elevato non legge i titoli del passato, la disinformazione israeliana può radicarsi molto prima di essere smentita. Uno studio ha rilevato che l’86% delle persone non verifica le notizie che legge sui social media. Un altro studio ha rilevato che il volume dei post sui social media che citano Pallywood “è aumentato costantemente nei giorni successivi al 7 ottobre” e che il termine è stato menzionato oltre 146.000 volte tra il 7 e il 27 ottobre.

Gli obiettivi primari della disinformazione israeliana sono i due collegi elettorali che contano di più per i leader israeliani: il pubblico israeliano e il pubblico occidentale. In una battaglia per la simpatia, la verità raramente è un requisito. A volte basta un titolo che catturi l’attenzione e confermi i pregiudizi preesistenti.

Giustificare i Crimini di Guerra

Con un pubblico internazionale pronto a considerare le affermazioni palestinesi con scetticismo fin dall’inizio, le campagne di disinformazione sponsorizzate dallo Stato israeliano sono diventate uno strumento fondamentale per giustificare i Crimini di Guerra. Questa strategia è incentrata sul convincere i governi stranieri e l’opinione pubblica più ampia che i Gruppi di Resistenza Palestinesi utilizzano i civili come scudi umani e infrastrutture civili per scopi militari, rendendoli obiettivi legittimi. In nessun luogo ciò è stato più evidente che nell’assalto sistematico di Israele agli ospedali e alle infrastrutture sanitarie di Gaza dal 7 ottobre 2023.

Il 27 ottobre, la pagina X-Twitter ufficiale dell’esercito israeliano ha pubblicato una versione 3D di un elaborato labirinto di tunnel e bunker sotto l’Ospedale Al-Shifa, sostenendo che Hamas lo stesse usando come centro di comando. Le loro affermazioni erano specifiche: Al-Shifa era il “cuore pulsante” dell’infrastruttura di comando di Hamas, e diversi edifici ospedalieri si trovavano direttamente in cima a tunnel a cui si poteva accedere dai reparti ospedalieri. Israele non ha fornito prove a sostegno delle proprie affermazioni, ma ciò non ha impedito all’amministrazione Biden di ripetere inequivocabilmente la narrativa israeliana. Parlando ai giornalisti il ​​giorno prima che le forze israeliane facessero irruzione nell’ospedale, John Kirby, Portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, ha insistito sul fatto che non solo “Hamas e i membri della Jihad Islamica Palestinese gestiscono uno snodo di comando e controllo da Al-Shifa”, ma che stavano usando l’ospedale per “tenere ostaggi” ed erano “pronti a rispondere a un’operazione militare israeliana”. Come l’esercito israeliano, Kirby non ha presentato alcuna prova a sostegno della sua affermazione.

Il 15 novembre, le forze israeliane hanno preso d’assalto l’Ospedale Al-Shifa, poche ore dopo che l’amministrazione Biden aveva effettivamente dato loro il via libera. Ciò che hanno trovato è stato ben al di sotto delle loro radicali affermazioni. Sebbene le forze israeliane abbiano scoperto un tunnel che correva sotto un angolo del complesso ospedaliero, nessuno degli edifici ospedalieri era collegato alla rete di tunnel, che non mostrava segni di uso militare, e non c’erano prove di accesso dai reparti ospedalieri. I combattenti di Hamas non si sono mai mobilitati in massa per difendere la struttura dall’interno, come previsto dall’intelligence statunitense. Non c’erano tracce di ostaggi e, soprattutto, nessun centro di comando.

Sebbene l’Ospedale Al-Shifa rappresenti il caposaldo della campagna di disinformazione israeliana contro le infrastrutture sanitarie palestinesi, non è l’unico obiettivo. Dal 7 ottobre le forze israeliane hanno effettuato oltre 500 attacchi contro operatori sanitari e infrastrutture in tutta Gaza e in Cisgiordania, con una media di circa 7 attacchi al giorno. Questi numeri includono attacchi a ospedali e cliniche, personale sanitario, ambulanze, pazienti e stazioni di assistenza medica. Diffondendo l’idea, indipendentemente dalla sua veridicità, che Hamas e altri Gruppi di Resistenza potrebbero utilizzare gli ospedali per scopi militari, Israele getta un’ombra di dubbio sul fatto che l’intero sistema sanitario di Gaza goda delle protezioni offerte dal Diritto Umanitario Internazionale. Così facendo, Israele trasforma la percezione degli attacchi agli ospedali da una sfacciata violazione del Diritto Internazionale a una norma.

Giornalisti e analisti OSINT come abilitatori

Anche se gli ultimi tre mesi rivelano quanto siano insensibili e rozze le tattiche di manipolazione delle informazioni di Israele, non sono una novità. Infatti, molti dei punti di discussione israeliani che ci sono diventati così familiari oggi ricordano stranamente la retorica utilizzata dagli Stati Uniti per giustificare i massacri di civili in Vietnam. Ma mentre gran parte delle istituzioni politiche occidentali sono arrivate a condannare ampiamente le campagne di bombardamenti indiscriminati, l’uso di munizioni bandite a livello internazionale e la Punizione Collettiva dei civili da parte delle forze statunitensi in Vietnam, ora giustificano l’uso da parte di Israele della stessa tattica a Gaza.

Quando si tratta di opinione pubblica, gran parte della propensione ad eccezionalizzare i Crimini di Guerra Israeliani è dovuta all’incapacità dei giornalisti di analizzare criticamente le narrazioni israeliane nel contesto della storia di disinformazione di Israele, anche quando gli strumenti investigativi contraddicono prontamente le loro affermazioni. Infatti, le tattiche di disinformazione di Israele non avrebbero lo stesso successo senza la complicità di giornalisti e analisti dell’OSINT. Invece di verificare e confutare le false affermazioni, molti hanno abbandonato l’obiettività e il rigore giornalistico e si comportano invece come portavoce dell’esercito israeliano.

I giornalisti oggi godono di due vantaggi chiave che quelli che si occupavano della guerra del Vietnam non avevano: i benefici del senno di poi e gli strumenti di verifica forniti dall’analisi OSINT. Invece di trattare le affermazioni israeliane con scetticismo, i giornalisti esperti si stanno assoggettando alla censura e al controllo narrativo israeliani. A novembre, il corrispondente dalla Casa Bianca della CNN Jeremy Diamond si è unito a un piccolo numero di giornalisti, tra cui Ian Pannell della ABC e Trey Yingst di Fox News, nell’annunciare che avrebbero coperto la “guerra Israele-Hamas” dall’interno di Gaza, ma con serie limitazioni: “Come condizione per entrare a Gaza sotto scorta dell’IDF, i mezzi di comunicazione devono sottoporre tutto il materiale e i filmati all’analisi dell’esercito israeliano per la revisione prima della pubblicazione”, ha affermato Becky Anderson, che ha introdotto il rapporto di Diamond. Anche se non c’è nulla di nuovo nell’integrazione dei giornalisti al seguito delle forze armate, la supervisione e la censura dei resoconti richiesti da Israele si distinguono rispetto ad altri eserciti. Infatti, anche le forze armate statunitensi non hanno esplicitamente imposto ai giornalisti in servizio presso le sue forze in Iraq di sottoporre tutti i loro servizi per l’approvazione prima della pubblicazione, tranne in casi selezionati che coinvolgono informazioni riservate.

Un giornalismo efficace richiede verifica e controllo dei fatti costanti, alimentati da un istinto di scetticismo. Accettando gli onerosi termini di censura imposti da Israele a Gaza, i giornalisti stanno facendo più male che bene. Le informazioni che Israele consente che siano pubblicate sono attentamente selezionate per giustificare la caccia e l’uccisione di civili palestinesi, e riportando solo la narrativa approvata di un esercito attualmente impegnato in un Genocidio, i giornalisti stanno effettivamente fornendo una piattaforma per giustificare i Crimini di Guerra. Riportare acriticamente affermazioni non verificate fatte da un esercito con una storia di manipolazione delle informazioni nel mezzo di un Genocidio non è giornalismo; è stenografia.

Analisti OSINT non obiettivi

Mentre il giornalismo tradizionale fallisce la prova di obiettività, l’OSINT si ritrova ancora una volta sotto i riflettori. Negli ultimi anni, OSINT è emersa come una fonte affidabile di notizie e analisi obiettive in un contesto in cui la fiducia nelle istituzioni statali e nei media tradizionali è in calo. Ciò è dovuto in gran parte alla natura tracciabile e trasparente delle indagini ed analisi di dati e di notizie d’interesse pubblico tratte da fonti aperte, che ha reso gli analisti OSINT fonti popolari di notizie e analisi situazionali per giornalisti, legislatori e opinione pubblica.

Le indagini ed analisi di dati e di notizie d’interesse pubblico tratte da fonti aperte sono state fondamentali nel contrastare la disinformazione sponsorizzata dallo Stato israeliano. In un caso, un’indagine del New York Times ha confutato le affermazioni israeliane secondo cui un razzo palestinese mal lanciato avrebbe colpito il cortile dell’Ospedale Al-Shifa il 10 novembre, rivelando che il razzo era, in realtà, un proiettile di artiglieria israeliano. Ciò ha messo in luce non solo la responsabilità israeliana dell’attacco ma anche le sue tattiche ingannevoli, che sono arrivate fino a fornire un falso modello di dati radar per ingannare i media.

Mentre l’OSINT ha dimostrato ancora una volta di essere uno strumento fondamentale nelle indagini sui Crimini di Guerra aggirando la negazione dell’accesso da parte di Israele e smascherando la disinformazione, alcuni resoconti popolari dell’OSINT hanno abbandonato la loro facciata di obiettività. Sebbene ciò sia indicativo di tendenze più ampie nel deterioramento del contesto informativo sui social media, un numero crescente di popolari account OSINT stanno utilizzando le loro potenti piattaforme per diffondere disinformazione israeliana e persino coprire i Crimini di Guerra Israeliani.

Forse l’esempio più ovvio di ciò è una piattaforma X-Twitter chiamato OSINT Defender. OSINT Defender, che si autodefinisce “Monitoraggio dell’Intelligence Libero focalizzato sull’Europa e sui Conflitti nel Mondo”, ha guadagnato importanza coprendo la guerra in Ucraina. Recenti indagini hanno rivelato l’identità della persona dietro OSINT Defender come Simon Anderson, un membro delle forze armate statunitensi e residente nello Stato della Georgia. Dal 7 ottobre, la piattaforma si è guadagnata la reputazione di condividere la disinformazione israeliana, disumanizzare i palestinesi e giustificare i Crimini di Guerra Israeliani.

OSINT Defender ha condiviso le smentite affermazioni israeliane del presunto centro di comando di Hamas sotto l’Ospedale Al-Shifa e ha descritto centinaia di civili palestinesi rastrellati e torturati dalle forze israeliane come “terroristi di Hamas”. Lo stesso esercito israeliano ha poi ammesso che le persone arrestate erano effettivamente civili, ma l’OSINT Defender non ha mai ritirato le affermazioni iniziali. Ha anche alimentato i luoghi comuni razzisti di “Pallywood” e descrive abitualmente i manifestanti pacifici che chiedono un cessate il fuoco come violenti “sostenitori di Hamas”. Se ciò non bastasse, Anderson ha anche affermato che il gruppo di giornalisti uccisi dal proiettile di un carro armato israeliano nel Libano meridionale stava filmando “gli attuali scambi di fuoco”, quando in realtà non era in corso alcun combattimento attivo nel momento in cui sono stati presi di mira. In nessuno di questi casi OSINT Defender ha ritrattato o corretto pubblicamente le false affermazioni, anche se smentite.

Mentre analisti e giornalisti esperti potrebbero essere in grado di identificare la disinformazione e la ricerca di notorietà per cui sono note piattaforme come OSINT Defender, lo stesso non si può dire per il grande pubblico. La loro comprensione dell’assalto israeliano a Gaza continua ad essere modellata da analisti ritenuti obiettivi che, in realtà, agiscono come un’estensione della macchina della propaganda israeliana. Ad esempio, resoconti come Alephא e Israel Radar forniscono un’analisi più tecnica degli sviluppi in tutta la regione, ma non mettono mai in discussione le narrazioni militari israeliane né correggono la disinformazione israeliana, anche quando viene pubblicamente smentita. Controllano regolarmente i fatti su altre piattaforme per condividere disinformazione, ma danno all’esercito israeliano un lasciapassare per lo stesso processo di verifica. Ad esempio, mentre i resoconti pro-Israele si sono affrettati a condividere il modello di dati radar fabbricati da Israele secondo cui razzi palestinesi mal funzionati avevano colpito l’Ospedale Al-Shifa il 10 novembre, sono spariti quando le indagini successive lo hanno smentito.

Conclusione

La strategia di Israele a Gaza non si limita a disumanizzare i palestinesi e a giustificare i Crimini di Guerra con il pretesto dell’autodifesa. Oltre a saturare l’ambiente dell’informazione con un diluvio senza precedenti di disinformazione sponsorizzata dallo Stato, Israele ha ulteriormente isolato Gaza prendendo di mira e distruggendo deliberatamente le infrastrutture di comunicazione. I conseguenti oscuramenti delle comunicazioni hanno gettato Gaza ancor più nell’isolamento, rendendo sempre più difficile per i palestinesi condividere con il mondo esterno le prove dei Crimini di Guerra Israeliani. Di conseguenza, gli sforzi per respingere la disinformazione israeliana sono gravemente ostacolati e la propaganda israeliana può scatenarsi.

Il controllo quasi totale dell’ambiente informativo da parte di Israele è ulteriormente aggravato dalla rete globale di giornalisti e analisti dell’OSINT che, consapevolmente o inconsapevolmente, agiscono come canali acritici di narrazioni filo-israeliane e anti-palestinesi. Questo fenomeno sottolinea un precedente pericoloso, in cui la rapida diffusione delle informazioni, o della disinformazione, può modellare le percezioni internazionali in tempo reale prima che possano attivarsi verifiche approfondite o contro-narrazioni.

Inoltre, le tattiche di guerra dell’informazione di Israele, profondamente radicate nell’etica militare e politica della nazione, servono come un chiaro promemoria del potere del controllo narrativo nel facilitare le atrocità di massa. Il caso di Gaza presenta un microcosmo di una sfida globale più ampia: come orientarsi e contrastare la disinformazione sponsorizzata dallo Stato in un mondo iperconnesso.

Raccomandazioni:

• La società civile e le ONG dovrebbero collaborare per migliorare l’alfabetizzazione mediatica e offrire opportunità di formazione volte a educare il pubblico su come identificare la disinformazione e la propaganda. Sebbene ciò si applichi a tutte le forme di media, la formazione sui metodi di raccolta OSINT di base fornirebbe al pubblico gli strumenti di cui ha bisogno per verificare le informazioni man mano che escono in tempo reale. Ciò potrebbe includere la formazione sulla conduzione di ricerche inverse di immagini, sulla geolocalizzazione dei filmati condivisi in Rete e sul controllo incrociato delle informazioni su più fonti affidabili. Dovrebbero anche sostenere maggiori finanziamenti alle organizzazioni indipendenti di controllo dei fatti, come Al-Haq e Forensic Architecture.

• Le organizzazioni dei media e i giornalisti dovrebbero aderire a parametri giornalistici ed editoriali ampiamente riconosciuti quando si tratta di controllo dei fatti e di verifica delle fonti, soprattutto durante i conflitti caratterizzati da dilaganti abusi dei diritti umani e Crimini di Guerra. Le rivendicazioni avanzate da militari o gruppi armati dovrebbero essere trattate con maggiore attenzione. Alla luce delle limitazioni di accesso imposte da Israele, è imperativo che le organizzazioni dei media diano la priorità all’approvvigionamento di contenuti di notizie e aggiornamenti situazionali da fonti palestinesi e all’assunzione di giornalisti palestinesi ove possibile.

• Il Diritto Internazionale è tristemente impreparato ad affrontare la natura in evoluzione della disinformazione sponsorizzata dagli Stati nell’era digitale. Oltre a sviluppare quadri giuridici più ampi per affrontare la questione, le Nazioni Unite e altri organismi internazionali dovrebbero istituire un gruppo di lavoro per monitorare e documentare i casi di disinformazione sponsorizzata dallo Stato israeliano progettata per disumanizzare i palestinesi e giustificare le uccisioni di massa. Queste informazioni possono essere incluse come prova dell’Intento Genocida di Israele nelle indagini in corso e future.

• Le società di social media devono agire per analizzare il loro ruolo nel facilitare la diffusione della disinformazione e della propaganda che disumanizzano i palestinesi e giustificano i Crimini di Guerra. Ciò include l’implementazione di solidi meccanismi di verifica dei fatti, il miglioramento della trasparenza negli sforzi di moderazione dei contenuti, la collaborazione con verificatori di fatti indipendenti, il rafforzamento dei parametri comunitari e l’amplificazione delle voci palestinesi, anziché censurarle.

Tariq Kenney-Shawa è un collaboratore analista di politica statunitense di Al-Shabaka e co-conduttore della serie Policy Lab (Laboratorio di Politica) di Al-Shabaka. Ha conseguito un Dottorato in Affari Internazionali presso l’Università Columbia di New York. Le ricerche e gli scritti di Tariq hanno coperto una vasta gamma di argomenti, dal ruolo dell’analisi delle informazioni da fonti aperte nel denunciare i Crimini di Guerra di Israele all’analisi delle tattiche di liberazione palestinese. I suoi articoli sono apparsi, tra gli altri, su The Los Angeles Times, Foreign Policy e The Nation.

Traduzione di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

18/3/2024 https://www.invictapalestina.org/

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