L’appello dei sindaci pro MES è un abbaglio che pagheremo a caro prezzo.

Cari sindaci (e amministratori/amministratrici locali) che avete sottoscritto un appello pro MES: state prendendo un abbaglio, che rischia di essere pagato a caro prezzo. Che ci vogliano ingenti risorse da investire in sanità per contrastare questa seconda ondata della pandemia da Coronavirus è una verità. E servono alla svelta. Chi nega questo, o chi rimanda a strade di medio lungo periodo, sbaglia. Questo va detto subito e con chiarezza: siamo in emergenza dall’inizio del 2020 e a questa si devono dare risposte celeri. La domanda da porsi è se esistono risposte celeri ma non economicamente e socialmente suicide. E la risposta è sì, ci sono. Non è tra queste il ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità, acronimo MES.

Innanzitutto un bagno di realtà: stiamo parlando di circa 36 miliardi, che sono esattamente quelli tagliati nella sanità pubblica nazionale e locale dalle manovre dei vari governi negli ultimi 10 anni, in ossequio ai dettami europei di austerità e di bilancio. Adesso ci dovrebbero arrivare con uno strumento, creato dopo la crisi finanziaria del 2008 quindi in un altro “mondo”, che non è stato per nulla modificato. Chi afferma il contrario (cioè tutti i media mainstream) dice totalmente una balla. Del resto non poteva che essere così, nascendo e derivando da specifici trattati – da quello di Funzionamento della UE in giù – che costruiscono l’impalcatura tutta mercantilista e di primato del mercato su ogni altra priorità , figuriamoci la salute dei cittadini, della stessa UE e che avrebbero dovuto essere modificati, mettendo in discussione questo impianto medesimo.

Questo concretamente che significa? Che tutte le cosiddette “condizionalità” rimangono in piedi. Nella sostanza prima ci hanno imposto di tagliare sanità e welfare, poi ci presteranno soldi per sanità e welfare, e subito dopo ci chiederanno di tagliare – non certo a saldo zero – i medesimi se non peggio. Non sono ipotesi, lo dicono nero su bianco i meccanismi stabiliti di funzionamento del MES, affidati a uno strumento tecnocratico che non ha e non avrà nulla del controllo democratico, specialmente per i paesi ad alto tasso di indebitamento come il nostro a cui, con la previsione di un definito “memorandum”, saranno imposte condizioni ben peggiori che se ne usufruissero paesi cosiddetti virtuosi (sempre e solo su parametri di bilancio e debito pubblico, mai privato e tanto meno di bilancio sociale e ambientale, Grecia docet). Senza dimenticare che il patto di stabilità europeo – e il MES creerebbe ulteriore debito da restituire con le medesime regole pre crisi Covid – è solo sospeso, mentre il fiscal compact (ancorché non assurto a rango di trattato) non è definitivamente archiviato. Se il dubbio che i tempi del cosiddetto “RecoveryFound” (con fondi molto minori di quanto viene sbandierato, ma questo è altro tema) siano artatamente allungati perché si invochi il MES viene spontaneo, la questione da porre è se si vuole rispondere, velocemente, guardando al passato o al futuro. Se si voglia voltare pagina o no: siamo di fronte ad una svolta epocale, di cui la pandemia è solo il più vicino e più drammatico epifenomeno.

Qui ci sono tre macro temi, strettamente interconnessi. Il primo è la democrazia: stiamo parlando di strumenti, tutti quelli citati e non, che hanno un assente o molto limitato controllo democratico a livello di parlamenti europeo e nazionale, si pensi al ruolo centrale del Consiglio Europeo più che dell’assise di Strasburgo, zero a livello di regioni e comunità (e enti) locali. Va radicalmente modificato questo impianto, che è funzionale ad alimentare spinte egoiste da comunità chiusa, da lotta fra poveri che tentano di salvarsi dal virus e/o dalla crisi economica. Dire ciò significa affermare la necessità di una profonda riforma della UE, la cui vera natura emerge adesso, quando il primato del mercato sembra derubricarsi nella percezione degli europei, e essa non vuol mollare la presa: dalla trasformazione della BCE a banca di ultima istanza, alla sterilizzazione della speculazione finanziaria, da un prestito non condizionato e a lunghissima scadenza che funga da una sorta di Piano Marshall europeo, da una nuova centralità di un welfare state europeo, nazionale e locale che produca sicurezza sanitaria e sociale, oltre che nuovo lavoro.

Ma torniamo alla domanda e esigenza iniziale. Al posto del MES cosa? Le proposte in campo sono molte, e dimostrano che non c’è cinica ineluttabilità nel doversi sorbire lo strumento – tralasciando l’inerzia del governo su tante scelte che potevano ridurre sensibilmente il dilagare della seconda ondata pandemica, a cominciare dal tema trasporti e rafforzamento del sistema sanitario nazionale e locale durante questa estate – MES, c’è invece una scelta politica. Partendo dall’assunto – ed è il terzo piano di azione strettamente connesso ai primi due sopra citati, cioè le cose da poter fare subito, per rispondere all’emergenza – che la comunità nazionale è fatta da uno Stato centrale e dalle comunità ed enti locali (e che esse ed essi devono essere protagonisti armonizzati di questa risposta all’emergenza, altrimenti si procederà egoisticamente, inefficacemente, ed in ordine sparso) andrebbe immediatamente: totalmente ri-socializzata Cassa Depositi e Prestiti, al fine di rendere fruibili i centinaia di miliardi del risparmio postale, con garanzia statale, per rispondere all’emergenza (altro che 36 miliardi), cancellati – lo dice una recente sentenza giurisdizionale – i debiti da derivati degli enti locali (proprio 36 miliardi di euro!) e utilizzati con una cabina di regia pubblica nazionale e locale democraticamente controllata –  con garanzia dello Stato su ricorsi e esigibilità – per le necessità del welfare locale e potenziamento del SSN compresa quella famosa sanità territoriale che potrebbe aiutare a fare da “muro” nella divisione del percorso di individuazione e sostegno alla lotta contro il Covid  rispetto alle altre patologie (in primis quella della normale influenza, ma anche i controlli su tutto il resto che si stanno tralasciando perché non reggono attualmente le strutture).

Inoltre va colta l’occasione storica per una riforma di sistema, che non vada nella direzione che la parola “riforme” ha assunto in questi anni, cioè di restrizione di diritti primari sociali e di aumento delle disuguaglianze, con un forte appello al parlamento – e perché no, sostegno a proposte di legge di iniziativa popolare che già ci sono e a nuove che potrebbero velocemente essere messe in campo – per la cancellazione dei debiti inesigibili degli enti locali e per una riforma della fiscalità locale e nazionale ispirata a effettivi criteri di progressività e che includa finalmente e strutturalmente la fattispecie delle transazione finanziaria come elemento da tassare adeguatamente, senza dimenticare l’innominata tassazione dei grandi patrimoni. Precondizione per un nuovo modello di sviluppo che faccia della valorizzazione del valore d’uso e della socialità i perni della sua epocale novità. Come si vede vi sono proposte ben concrete e definite nell’immediato e nel medio termine. Non possiamo permetterci di perdere questa sfida.

Per questo facciamo appello a tutte le comunità, reti sociali, agli amministratori/amministratrici locali che (parzialmente) le rappresentano, a condividere con tutti coloro che ci stanno queste linee di fondo, e a non “abboccare” alla tesi del MES o barbarie, la quale non è solo sbagliata, ma che ci riporterà, a breve,  al punto di partenza, e al peggio. Non ce lo possiamo permettere nell’emergenza di oggi, e nella costruzione della prevenzione delle emergenze del domani e del loro devastante effetto moltiplicatore.

La Rete delle Città in Comune

20/10/2020 http://www.lecittaincomune.it

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