L’assedio ai centri sociali romani

L’assedio amministrativo e politico contro i centri sociali romani si è arricchito di un nuovo capitolo:questa volta tocca a Esc, da diciassette anni «Atelier autogestito» nel cuore di San Lorenzo, a due passi dalla Stazione Termini. Qui l’ottusa creatività neoliberale ha assunto le sembianze di una vera e propria truffa: dopo quasi dieci anni di regolare pagamento del canone sociale, previsto dalla Delibera 16 del 1995, una sentenza della magistratura ha ricalcolato retroattivamente il costo della locazione, equiparandolo a un canone di mercato. Parliamo di circa 300 mila euro, che rischiano di pesare interamente sulle spalle, povere e precarie, dei rappresentanti legali dello spazio sociale.

È una storia surreale, degna di una sceneggiatura da film distopico, che prevede due universi paralleli. La prima realtà prende spunto dalla solerzia di alcuni vigili urbani che, nei loro verbali lisergici, trasformano un luogo di iniziativa politica e sociale in un’impresa commerciale che fa profitti. La seconda realtà assume le sembianze ipocrite di patrocini istituzionali, endorsement pubblici, pacche sulle spalle per le centinaia di eventi culturali, servizi mutualistici e progetti educativi promossi dalle esperienze autogestite e associative della città

Ma questo nuovo capitolo rappresenta un salto di qualità rispetto al passato: con la retorica consunta delle «occupazioni abusive» e mirando al solito target della «sinistra antagonista», si intende colpire quella città dal basso disegnata dalle reti solidali, dalle produzioni indipendenti, dallo sport popolare, dai nuovi movimenti femministi. Un processo di nuovo welfare e nuove «istituzioni» che coinvolge migliaia di abitanti della città consolidata e delle sue periferie, che definisce una mappa di resistenza nei confronti dei processi di cannibalizzazione immobiliare, svuotamento dei centri storici, speculazione neoliberista.

Non siamo più davanti ad avanguardie controculturali, avamposti di stili di vita alternativi, nicchie antagoniste, presidi di resistenza – come fu tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, quando si combatteva il riflusso dopo le conquiste degli anni Settanta – ma di fronte a un’esperienza sociale diffusa che si organizza nel tempo della crisi economica strutturale, della crisi ecologica, del lavoro precarizzato e impoverito, degli spazi urbani ridotti a parchi a tema per il turismo vorace, fondali per le scorrerie della rendita finanziaria. 

Questa è la posta in gioco nello scontro che si è aperto a San Lorenzo: l’offensiva delle politiche centrate sul valore di scambio contro gli spazi sociali del valore d’uso, come Cinema palazzo, Atletico San Lorenzo, Communia ed Esc. Poco in più in là, in un altro quartiere di Roma al centro di manovre speculative, lo spazio Scup si è visto recapitare la lettera di sfratto.

In questi anni, nel paradosso di questo mondo rovesciato, sono stati i centri sociali a garantire l’accesso alla cultura e ai servizi negati dalle politiche di austerità; allo stesso modo, sono stati i movimenti di lotta per l’abitare a rendere esigibile per migliaia di persone il diritto alla casa scritto nella Costituzione. Spesso, se questa città può ancora definirsi «capitale europea», lo può fare grazie al suo straordinario patrimonio di autorganizzazione sociale e culturale, più che per merito delle amministrazioni succedute al Campidoglio negli ultimi trent’anni. 

Ma è proprio in questo periodo segnato dalla pandemia e da una crisi economica pesantissima, che è emerso con più forza il ruolo pubblico degli spazi autogestiti, vere e proprie infrastrutture di umanità, in prima fila nella raccolta e nella distribuzione alimentare, nel sostegno sanitario e psicologico, nelle tantissime esperienze di mutuo aiuto che hanno consolidato comunità locali e reti di prossimità.

Ogni giorno migliaia di persone portano i propri figli in una palestra popolare, partecipano ai corsi gratuiti di sostegno scolastico, difendono i diritti del loro lavoro negli sportelli del sindacalismo sociale. Dentro le trasformazioni del lavoro contemporaneo, nella sua natura precaria, frammentata, intermittente e disseminata, nella riedizione di forme di sfruttamento schiavistiche che nasce l’esigenza di ripensare l’organizzazione sindacale; a partire dal mutualismo e dal territorio, riprendendo e innovando la suggestione delle prime camere del lavoro, che tra fine Ottocento e inizio Novecento, iniziarono il percorso di unificazione delle tante figure disperse e divise (migranti, donne, lavoratori poveri). 

Si tratta di comunità che recuperano posti abbandonati, accendono luci dove prima c’era buio, ridanno un’anima ai quartieri, ricostruiscono una grammatica urbana fatta di inclusione, educazione alla diversità, accoglienza. Un immaginario che proprio in questi giorni fa da sfondo ed esplode, inaspettato, su una delle più grandi piattaforme globali, grazie al talento, alla sensibilità e intelligenza di un figlio di questo mondo, che ha reso potente e comprensibile ai molti un universo spesso relegato, dal racconto mainstream, nei perimetri angusti della marginalità sociale e politica.

Lo scorso 25 novembre, un’assemblea affollata, ben oltre i confini militanti, ha abbracciato Esc nella sua lotta di resistenza, ponendo la vertenza dentro un piano politico più grande. La nuova giunta di centrosinistra si è imposta nel pieno di una diserzione e disaffezione politica di massa; il neosindaco Roberto Gualtieri insieme alle forze politiche di maggioranza hanno vinto la campagna elettorale promettendo discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni. 

Si tratta ora di fare scelte conseguenti, di ridurre la distanza con le istanze sociali, dimostrare che non si trattava solo di tattica elettorale, ma di un’idea diversa di gestione del patrimonio, dei servizi pubblici, dei beni comuni, anche sulla scia dell’esito positivo di alcune vertenze fortemente simboliche (la Casa internazionale delle donne, Lucha Y Siesta e il Laboratorio Puzzle).

Le richieste sono state chiare e precise: da una parte, l’apertura di un confronto politico che lavori a una sanatoria generalizzata e alla definizione di uno statuto dei beni comuni urbani che la faccia finita una volta per tutte con la logica del bando e della competizione liberista. Dall’altra, da subito, un tavolo operativo che tolga di mezzo la banalità della burocrazia neoliberale, fatta di trappole fiscali e amministrative che inchiodano la vita degli spazi sociali, mettendo a rischio attivisti e volontari su cui pendono ingiunzioni di pagamento, pignoramenti, vessazioni legali e penali. Si riparte da qui, per difendere Esc, San Lorenzo e tutta la città.

Emiliano Viccaro, romano, laureato in sociologia è giornalista pubblicista (ad Altremappe e Carta), progettista sociale part time, agitatore di spazi autogestiti a tempo pieno, collaboratore di DinamoPress, attivista delle Camere del Lavoro Autonomo e Precario di Roma.

7/12/2921 https://jacobinitalia.it

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