Le bombe non risolvono nulla

Naomi Klein discute con l’analista Omar Baddar della guerra a Gaza, del contesto storico e politico, del doppio standard applicato dai media e delle posizioni nel Congresso Usa

David Sirota a The Lever ha ospitato la giornalista e attivista canadese Naomi Klein e l’analista politico palestinese-americano Omar Baddar per discutere dei combattimenti tra Israele e Hamas e della crescente crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Hanno discusso del contesto storico e politico che ha portato a questo momento, del doppio standard applicato dai media nella loro copertura di Israele e Palestina e delle posizioni nel Congresso Usa. Hanno risposto anche alle domande del pubblico. Di seguito una trascrizione ridotta e modificata.

Sirota. Naomi, cosa sta succedendo e perché pensi che sia importante?

Klein. Direi solo che la solidarietà è una medicina di questi tempi. C’è stata una manifestazione per il cessate il fuoco, che chiedeva un cessate il fuoco e assistenza umanitaria immediata [organizzata da] Jewish Voice for Peace e If Not Now, che sono due organizzazioni guidate da ebrei e che porta davvero un prospettiva molto più giovane e progressista. È stata la più grande protesta guidata dagli ebrei in solidarietà con i palestinesi nella storia degli Stati uniti. C’erano migliaia e migliaia di persone davanti al Congresso.

Ancora più significativa è stata la disobbedienza civile: cinquecento persone sono entrate nella rotonda del Campidoglio e sono state arrestate, tra cui molti rabbini e molti, molti giovani. È stata una vera dimostrazione di solidarietà. Il messaggio era: «Ogni vita è preziosa». È stato un messaggio contro la decisione di prendere di mira i civili, indipendentemente da dove vivano. Al contrario, all’interno del Congresso risuona un doppio standard: «Assoluto orrore per il fatto che hanno preso di mira civili se israeliani (sì, sono d’accordo) ma poi bombardarli a morte indiscriminatamente se sono palestinesi». Credo davvero che sia stata una giornata storica. Sono stata onorata di essere lì.

Serviva anche a chiedere una risoluzione per il cessate il fuoco portata avanti da Cori Bush che ha ottenuto l’adesione di molti altri membri della cosiddetta Squad. Ho anche trascorso molto tempo con diversi membri del Congresso cercando di convincere più persone a firmare questa risoluzione sul cessate il fuoco, e sempre più persone hanno firmato. Quindi abbiamo davvero visto il potere della pressione. Ma è ancora troppo poco. E la sete di vendetta è molto, molto forte lì dentro. È stata una giornata emozionante.

Sirota. Omar, Naomi ha menzionato questo doppio standard riguardo alle vittime civili. Cosa prova la comunità palestinese-americana, i palestinesi che lo subiscono?

Baddar. Naomi, penso che tu stia mettendo il dito su un problema molto, molto serio che esiste da molto tempo, anche oltre questa crisi che abbiamo avuto, addirittura prima dell’attacco di Hamas.

Quest’anno sono stati uccisi 250 palestinesi, principalmente in Cisgiordania, a seguito delle azioni del governo israeliano e degli attacchi dei coloni. E non vi è quasi alcuna menzione di ciò nei discorsi dei media mainstream e quasi nessun commento al riguardo da parte di Washington. E poi abbiamo avuto questo attacco assolutamente orribile lanciato da Hamas. Di conseguenza vediamo, in loop, la profondità dell’umanità israeliana: abbiamo genitori intervistati a lungo, che danno testimonianze emotive su chi fossero i loro figli e quanto sia difficile perderli.

Ma il netto contrasto con il totale disprezzo che vediamo per la vita palestinese è, francamente, abbastanza grottesco. E ciò è continuato anche quando Israele ha iniziato a lanciare questo massiccio attacco in tutta la Striscia di Gaza, mentre stiamo descrivendo il bombardamento indiscriminato di aree civili. Stiamo parlando di crimini di guerra. E soprattutto, francamente, penso che la parola «terrorismo» sia quella corretta.

Ci sono stati molti, molti, molti bombardamenti di Gaza da parte di Israele in passato, e quando le organizzazioni per i diritti umani indagano su di essi, la conclusione a cui giungono è che Israele si è impegnato in bombardamenti sconsiderati e deliberati, e indiscriminati, di aree civili. In alcuni casi, anche quando c’è stata questa grande Marcia del Ritorno da Gaza nel 2018, i cecchini israeliani hanno preso di mira giornalisti, medici e attivisti che erano chiaramente disarmati. Abbiamo questo schema per cui Israele si comporta in un modo che evidenzia disprezzo per la vita umana palestinese.

Eppure la narrativa dominante è che quando i palestinesi uccidono i civili, è perché sono mostri barbari. E quando Israele lo fa, «Oh, deve davvero essere un incidente perché a Israele c’è gente troppo gentile e civile per fare qualcosa del genere apposta». Ciò trasmette un livello di razzismo e di disumanizzazione dei palestinesi che ritengo sia molto, molto grave per molte persone che guardano e, cosa più importante del semplice impatto emotivo, ci impedisce di perseguire politiche migliori e di muovere le cose in modo tempestivo verso una direzione migliore se crediamo che ci sia una disparità fondamentale di umanità da entrambe le parti.

Perché alla fine, al di là di questa crisi, non credo che troveremo una soluzione militare per qualsiasi cosa. Israele ha creduto per molti decenni che se solo avesse preso a pugni i palestinesi con sufficiente forza, e se solo li avesse spremuti e confinati con sufficiente rigore, avrebbe risolto questo problema, e allora Israele avrebbe potuto vivere felice e contenta. La lezione è stata, più volte, che questo approccio non funziona. Tutto ciò non fa altro che produrre quel tipo di disperazione da parte palestinese che poi porta a un’esplosione come quella che abbiamo appena visto.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un cambiamento nell’approccio di Israele. Ciò può essere raggiunto solo con la pressione statunitense affinché accetti che l’unica vera via d’uscita è quella in cui palestinesi e israeliani possano vivere in sicurezza, libertà e protezione. Ciò implica la fine dell’assedio di Israele, un sistema di occupazione e apartheid che ha reso la vita dei palestinesi davvero impossibile.

Sirota. Mettiamo da parte l’occupazione israeliana. Ma, per amor di discussione, avviene un attacco terroristico, e Israele sostiene che i terroristi che hanno commesso quell’attacco stanno deliberatamente muovendo i loro assalti dall’interno di strutture civili, dall’interno di ospedali, scuole, quartieri civili. E allora sorge la domanda: qual è una risposta di sicurezza umana e adeguata?

Klein. Non penso ci sia una risposta militare che possa andare alla radice di ciò che ha portato a quegli attacchi. Penso che Israele crei ogni giorno sempre più terroristi.

Ero a Gaza nel 2008. Ho incontrato tanti bambini tra le macerie. Ho incontrato ragazzi i cui corpi erano stati bruciati con il fosforo bianco. Quelli sono i giovani di oggi. Ho visto la stessa cosa in Iraq dopo l’invasione. Credo che i palestinesi abbiano diritto – che le persone sotto occupazione abbiano diritto – alla resistenza armata, ma non a prendere di mira i civili, perché ciò viola le Convenzioni di Ginevra, che sono l’eredità della Seconda guerra mondiale.

Disponiamo di un’architettura giuridica internazionale che rappresenta uno dei lasciti dell’Olocausto e degli altri orrori della Seconda guerra mondiale. E proprio adesso i funzionari israeliani vanno in televisione e si limitano a scrollare le spalle. Non si può ignorare il diritto internazionale la mattina e poi invocarlo nel pomeriggio quando è Israele a violarlo.

Ho parlato tutto il giorno dei crimini di guerra di Israele. Ma il problema dei crimini di guerra è che bisogna applicare gli standard, indipendentemente da chi li viola. Non si tratta di dire: «La mia squadra è ok. E la tua squadra no». Semplicemente non funziona in questo modo.

È un momento pericoloso. Ma ora tutti ripensano alla loro risposta agli attacchi dell’11 settembre con molto rammarico, giusto? Perché, in definitiva, si trattava di atti criminali a cui si sarebbe potuto rispondere come se fossero criminali e non attraverso queste guerre di massa che sono sostanzialmente senza fine, anche se i nostri governi non lo ammettono più.

Penso che stiamo ripetendo gli stessi errori ancora una volta. Penso anche che, come l’11 settembre, ci fossero persone nell’amministrazione George W. Bush che avevano un intero piano per ridisegnare la mappa del Medio Oriente, e hanno visto il loro momento. E dobbiamo ricordarcelo e pensare a persone come Benjamin Netanyahu, che ha un governo di estrema destra, che ha apertamente sposato idee genocide e ha affermato di non voler più avere a che fare con Gaza. Fondamentalmente chiedono la pulizia etnica. Vogliono prendere l’intera Cisgiordania e ora ne stanno approfittando.

Sirota. Scommetto che ci sono persone che ricordano quando, durante la campagna presidenziale del 2004, George W. Bush e i repubblicani accusarono John Kerry di aver detto che probabilmente sarebbe stata un’idea migliore affrontare l’11 settembre come una questione di applicazione della legge. Ricordo di aver pensato: sono tutti impazziti? Non sono un grande fan di John Kerry, ma quello che John Kerry stava dicendo, quando si tratta di reazione, ha perfettamente senso. E mi sono chiesto, in quest’ultima settimana: da quando la risposta all’11 settembre è diventata una guida piuttosto che un ammonimento?

Omar, se stabiliamo, solo per amor di discussione, che alcuni terroristi stanno concentrando le loro operazioni tra i civili, quale sarebbe la risposta umana da parte delle forze di sicurezza israeliane a una cosa del genere?

Baddar. Fa parte della sfida con ciò che di fatto equivale a un attacco suicida, quando si mandano militanti oltre confine con l’aspettativa che saranno lì per combattere e morire. Quando tutto sarà finito, avrai ucciso le persone che hanno perpetrato l’attacco. Ora vi chiedete fino a che punto volete approfondire la più ampia responsabilità di Hamas come organizzazione.

Ciò diventa assolutamente una questione di applicazione della legge, innanzitutto. La questione è cosa significa portare avanti un delicato processo giudiziario attraverso il quale ritenere responsabili i membri di Hamas: se stai cercando di far arrestare le persone, a chi ti rivolgi, chi può farlo? Tutto ciò rappresenta un fallimento per il governo israeliano, perché esiste un attacco come questo che fornisce ad Hamas un senso di potere. L’obiettivo, innanzitutto, non è perseguire la giustizia: è punirli per aver osato fare qualcosa del genere. Il che implica decimarli in ogni modo possibile.

Questo è l’approccio, e ovviamente non funzionerà. L’unico modo per eliminare l’esistenza di Hamas è commettere atrocità indicibili che radono letteralmente al suolo vaste zone di Gaza. Stai parlando di una pratica genocida per poter ottenere qualcosa del genere.

C’è una mancanza di sfumature nel modo in cui parliamo, che per me è molto, molto importante. I militanti che usano la guerriglia e le tattiche di guerriglia perché non hanno aerei e carri armati saranno, per necessità, incorporati in aree civili. Non si raduneranno in una parte deserta di Gaza e diranno: «Siamo tutti qui, stiamo lontani dai civili», perché poi un missile israeliano li farà fuori. C’è uno squilibrio di potere che lo rende impossibile.

Sirota. Parliamo della risposta degli Stati uniti. Naomi, nel tuo discorso di apertura, hai menzionato la risoluzione che alcune persone nell’ala progressista del Partito democratico stanno sostenendo. Mi è sembrata del tutto sensata, ma è anche un po’ l’affermazione più minimale che qualsiasi non sociopatico dovrebbe condividere. È solo una dichiarazione di «non uccidere, ma limitare, ridurre ed eliminare l’uccisione di civili palestinesi e israeliani». Eppure, per quanto ne so, ha solo cinquantacinque o sessanta firmatari.

Nel frattempo, separatamente, è circolata una lettera della quale sono rimasto sconvolto sia da parte di repubblicani che di democratici. Contiene anche questo passaggio: «Stiamo già cominciando a vedere in alcuni ambienti richieste di allentamento. Una prematura riduzione dell’escalation rappresenterebbe una vittoria per i terroristi e consentirebbe loro di continuare a minacciare i civili israeliani con futuri attacchi».

Ci sono relativamente poche adesioni per una risoluzione che dice semplicemente: «Smettiamo di uccidere i civili» e c’è sostegno a Capitol Hill per una risoluzione che dice che qualsiasi richiesta di allentamento della tensione ti rende di fatto un terrorista. Come lo spieghiamo?

Klein. Oggi ho sentito diversi membri del Congresso dire che il «Cessate il fuoco» è ormai considerato tossico. È visto come il contrario dello «Stare dalla parte di Israele». E ho visto molti cartelli nei corridoi che dicevano: «Stare con Israele», che è il codice per firmare un assegno in bianco. È la stessa cosa che fecero gli Stati uniti dopo l’11 settembre. Sei con noi o con i terroristi? È un vero e proprio test di lealtà.

È scandaloso, perché questi deputati statunitensi non dovrebbero schierarsi con Israele se ciò significa che non ci sono vincoli su nessuna delle armi, su nessuno degli aiuti. Dovrebbero sostenere il diritto internazionale. E quindi la domanda è: come è potuto accadere così in fretta?

Penso che ciò che il governo israeliano ha fatto molto abilmente, e molto rapidamente, è stato prendere un crimine di guerra e descriverlo sistematicamente e dall’esterno come un crimine d’odio, come l’attacco più mortale contro gli ebrei dai tempi dell’Olocausto e dei pogrom.

Non sto minimizzando. Penso che i crimini di guerra siano davvero un grosso problema. Penso che i massacri siano un grosso problema. Ma non è così che è stato descritto. È stato tolto dal suo contesto geopolitico e inserito in una narrazione di trauma ebraico primordiale e antisemitismo, intrinsecamente non è possibile ragionare all’interno di quella narrazione.

Questo è l’unico modo in cui posso spiegare perché le persone hanno così tanta paura di non stare dalla parte di Israele. E questa è comunicazione intelligente.

Vorrei aggiungere un’altra cosa che penso sia un fattore determinante, e cioè che i territori occupati sono un laboratorio per ciò che Israele chiama «Sicurezza senza pace». Ecco a cosa servono i muri, i posti di blocco e l’assedio. Fondamentalmente significa: «Non abbiamo bisogno della pace quando possiamo contenere».

Quando Hamas sfonda il checkpoint arabo, sfonda il muro e infligge questa quantità di perdite di vite umane tra i civili, l’intero modello sta fallendo. Ma non è solo il modello di Israele. Ogni potenza occidentale, più l’India, vuole la sicurezza senza la pace. Cosa pensi che stia accadendo ai nostri confini? Viviamo in un mondo incredibilmente diseguale che sta diventando sempre più militarizzato, sempre più sorvegliato. E gran parte di queste armi le compriamo da Israele.

Penso che ciò spieghi anche in parte la velocità con cui tutte le potenze occidentali sono scese a dire che proteggeremo l’Iron Dome. Siamo preoccupati per le nostre cupole di ferro. E bisogna ampliarlo oltre Israele e Palestina.

Baddar. Penso che il secondo aspetto sia la misura in cui i repubblicani usano costantemente Israele come un cuneo contro i democratici. I democratici continuano a inveire gli uni contro gli altri nel tentativo di dire: «No, no, no, non siamo anti-israeliani». Entrambi i partiti, nel complesso, sostengono in modo schiacciante Israele al punto da dire «sostegno incondizionato, fai quello che vuoi».

C’è una situazione in cui la politica israeliana si è spostata sempre più a destra. È diventato sempre più estrema. Si potrebbe pensare che ciò spezzi naturalmente questa dinamica negli Stati Uniti, ma non è così.

Se le Nazioni unite provassero a votare contro [Israele], noi interverremo e porremo il veto ogni volta. Se i palestinesi si rivolgono alla Corte penale internazionale per cercare di ottenere delle responsabilità, eserciteremo un’enorme pressione sulla corte penale affinché non presenti accuse contro i crimini di guerra israeliani. Hanno chiuso ogni possibile via politica pacifica affinché i palestinesi possano spingere per la loro libertà, spingendoci così verso una situazione di violenza, mentre la retorica politica israeliana è diventata sempre più di destra, brutalmente anti-palestinese – e tuttavia i democratici continuano a essere ulteriormente spinti e anche più a destra.

Quindi, quando accade un incidente come questo, non sorprende quasi che viviamo in un clima politico in cui tutti cadranno. Anche di fronte alla retorica letteralmente genocida e all’inizio di azioni genocide a cui stiamo assistendo attualmente a Gaza, siamo bloccati.

Onestamente è esasperante che non si verifichi un risveglio della coscienza politica in un momento come questo per dire: «Aspetta, capiamo che è un grosso problema. È davvero orribile. Ma tagliare il cibo, il carburante e l’acqua a un milione di bambini non va bene». Questo dovrebbe essere un senso fondamentale che sembra mancare al nostro establishment politico.

Penso che sia un clima estremamente inquietante e sono molto grato a gruppi come If Not Now e Jewish Voice for Peace che hanno dato voce a chi non ha voce e si sono fatti avanti. Ci sono ebrei americani progressisti che dicono: «Non utilizzate il nostro dolore come un’arma per commettere crimini contro altre persone».

E questo è il messaggio che spero crei una sorta di risveglio all’interno dell’establishment politico per iniziare a comprendere che siamo incanalati in una traiettoria profondamente brutta e inquietante, ci porterà al disastro più totale.

Naomi Klein è giornalista e attivista. I suoi ultimi libri sono Doppio. Il mio viaggio nel mondo specchio (La Nave di Teseo, 2023) e Il mondo in fiamme. Contro il capitalismo per salvare il clima (Felrinelli, 2019). Omar Baddar è analista politico e difensore dei diritti umani, vive a Washington. David Sirota è editor-at-large di Jacobin. Dirige The Lever e in precedenza è stato consigliere senior e autore di discorsi per la campagna presidenziale del 2020 di Bernie Sanders. Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

31/10/2023 https://jacobinitalia.it

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