Le carceri italiane sempre più piene di migranti.

Il rapporto Antigone. Mancano i servizi più elementari per una popolazione variegata per culture e religioni: non solo i mediatori, ma anche i luoghi di culto e gli alimenti adatti

Qual­che set­ti­mana fa il tri­bu­nale di Asti ha con­dan­nato due agenti del car­cere di Quarto per aver pic­chiato un dete­nuto bra­si­liano con­ver­tito all’Islam per­ché aveva rea­gito agli insulti rivolti da uno di loro a Mao­metto. Nes­suna atte­nuante gene­rica per la pic­cola squa­dretta vio­lenta per­ché, spiega il giu­dice nelle moti­va­zioni, i due si sareb­bero mac­chiati di «vili­pen­dio al

Pro­feta della reli­gione isla­mica» e di vio­la­zione dei diritti costi­tu­zio­nali. È solo un epi­so­dio e per veri­fi­carne la veri­di­cità dovremo atten­dere la sen­tenza defi­ni­tiva. Ma che in Ita­lia la cri­mi­na­liz­za­zione dell’immigrato, soprat­tutto musul­mano, abbia alte­rato in modo signi­fi­ca­tivo le per­cen­tuali etni­che della popo­la­zione peni­ten­zia­ria e poi, una volta riem­pite le car­ceri per un terzo di dete­nuti stra­nieri, si è finito per discri­mi­narli in modo strut­tu­rale con un sistema di regole peni­ten­zia­rie nate negli anni ’70 per un modello a misura di ita­liano, appare evi­dente scor­rendo i dati e le denunce con­te­nute nel rap­porto «Dete­nuti stra­nieri in Ita­lia» pre­sen­tato ieri a Roma dall’associazione Anti­gone e rea­liz­zato con il soste­gno di Open society foundation.

Se in media nelle car­ceri euro­pee la per­cen­tuale di stra­nieri si ferma al 21% del milione e 737 mila dete­nuti, l’Italia si atte­sta quarta nella clas­si­fica con il suo 32,56% (circa 17.500 stra­nieri su 53.800), subito dopo la Sviz­zera (74,2% è stra­niero), l’Austria (46,75%) e il Bel­gio (42,3%). Spiega Patri­zio Gon­nella pre­sen­tando il volume, che «fino al 1996 la quota di dete­nuti stra­nieri si man­tiene piut­to­sto bassa», ma dopo l’entrata in vigore del Trat­tato Unico sull’immigrazione e soprat­tutto dal 2002, con la legge Bossi-Fini,«si porta a com­pi­mento il pro­cesso di etni­ciz­za­zione del diritto penale».

Die­tro le sbarre ci sono soprat­tutto maroc­chini (16,9%), rumeni (16,2%), alba­nesi (14%) e tuni­sini (11%); a fronte di 30.794 cat­to­lici, 2.290 sono orto­dossi e 5.786 musul­mani. Il livello di alfa­be­tiz­za­zione è molto basso, ma il dato acco­muna ita­liani e stra­nieri. Nel com­plesso, la mag­gior parte dei migranti è in car­cere per reati minori, con con­danne fino a un anno per la metà di loro, men­tre tra i con­dan­nati a oltre 20 anni gli stra­nieri sono “solo” il 12%, con­tro l’88% dei nostri con­na­zio­nali. Più alto invece è il tasso di immi­grati in custo­dia cau­te­lare: il 28% di tutti coloro che subi­scono la car­ce­ra­zione pre­ven­tiva. Anche i dati sulle misure alter­na­tive al car­cere dimo­strano la minore fidu­cia sia dei magi­strati di sor­ve­glianza che dei ser­vizi sociali verso gli stra­nieri: que­sti rap­pre­sen­tano il 17% delle per­sone che frui­scono di una misura alter­na­tiva, con una per­cen­tuale molto più bassa (14 punti in meno) rispetto agli stra­nieri che scon­tano la loro pena die­tro le sbarre.

Una popo­la­zione, quella dei dete­nuti stra­nieri che viene con­si­de­rata una comu­nità indif­fe­ren­ziata. Fa notare Gon­nella che, mal­grado dal 1975, anno della riforma peni­ten­zia­ria, la situa­zione sia pro­fon­da­mente cam­biata, «oggi abbiamo ancora un sistema di norme e un’organizzazione peni­ten­zia­ria pen­sata per un dete­nuto ita­liano di altri tempi, un dete­nuto che ormai non esi­ste più».

Si pensi solo al fatto che i media­tori cul­tu­rali che in car­cere dovreb­bero fun­gere da tra­dut­tori sono tal­mente pochi (solo 379 in tutti i peni­ten­ziari ita­liani, ovvero 1,73 ogni 100 dete­nuti stra­nieri, molti dei quali lavo­rano come volon­tari; a Regina Coeli, per esem­pio, sono quat­tro per 450 car­ce­rati) da dover ricor­rere, nella nor­male vita quo­ti­diana e per le pra­ti­che buro­cra­ti­che, al ser­vi­zio on-line di Google.

E poi la man­canza di luo­ghi di culto per tutti, l’alimentazione indif­fe­ren­ziata, i col­lo­qui pre­vi­sti solo de visu anzi­ché per esem­pio via Skype, i corsi di for­ma­zione e l’avviamento al lavoro pen­sati solo e sol­tanto a misura di cit­ta­dino ita­liano, e altro ancora.

«Tutta que­sta situa­zione com­porta disa­gio — denun­cia Anti­gone — e il disa­gio genera con­flitti e liti­gio­sità. Il dete­nuto quindi per que­sto suo com­por­ta­mento starà più giorni in car­cere, e ciò com­por­terà un con­se­guente aumento dei costi». La pre­ven­zione del reato parte da qui. «In que­sto — con­clude Gon­nella — lo Stato deve essere un esem­pio di lega­lità». Pec­cato però che il nuovo pre­si­dente della Repub­blica, a dif­fe­renza del suo pre­de­ces­sore, non abbia voluto ricor­dare, ieri nel suo discorso di inse­dia­mento, che la civiltà di un Paese si misura dalle sue carceri.

Eleonora Martini

4/2/2015 www.ilmanifesto.it

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