LE CONSULENZE DI SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS!
COPERTURA INAIL IN CASO DI INFORTUNIO
Egregio ingegnere,
sono RLS di una azienda di igiene urbana.
Un mio collega durante la raccolta dei rifiuti, si è punto accidentalmente con una siringa posta dentro il sacchetto dei rifiuti. Dopo il servizio ha comunicato al proprio preposto l’accaduto è lo stesso lo ha fatto andare al Pronto Soccorso.
Il Pronto Soccorso dell’ospedale non ha ritenuto aprire l’infortunio, tanto è vero che il collega sta continuando a lavorare, ma gli ha prescritto una serie di analisi da fare per 4 volte (subito, poi dopo 30, 60, 90 giorni), con un costo di 46 euro di ticket per ogni prelievo.
Il dipendente, che non ha comunicato formalmente l’infortunio all’azienda, ha chiesto all’azienda stessa di farsi carico del costo delle analisi, quindi di essere posto sotto sorveglianza sanitaria, ma l’azienda si è rifiutata, dicendo che il rimborso delle analisi spetta all’INAIL.
Quindi alla luce di quanto esposto, le chiedo quali sono gli obblighi del datore di lavoro in merito a questo caso e in particolare e relativamente all’infortunio per puntura di siringa, il dipendente ha diritto al rimborso delle analisi che dovrà fare?
Grazie.
Cordiali Saluti.
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Ciao,
secondo il D.P.R. 1124/65 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, l’assicurazione INAIL copre (articolo 2):
“tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”.
Quindi la prima cosa da valutare è di quanti giorni è la prognosi del Pronto Soccorso, se fosse inferiore ai tre giorni non ci sarebbe in ogni caso nessun indennizzo da parte dell’INAIL.
Secondo me la prognosi è stata sicuramente inferiore ai tre giorni (visto l’entità di una ferita da puntura), tanto che il Pronto Soccorso, come tu hai scritto, non ha fatto denuncia di infortunio, come è invece obbligato a fare per infortuni superiori ai tre giorni.
L’articolo 52 del citato Decreto stabilisce poi che:
“L’assicurato [cioè il lavoratore] è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando l’assicurato abbia trascurato di ottemperare all’obbligo predetto ed il datore di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell’infortunio, non abbia fatto la denuncia ai termini dell’articolo successivo, non è corrisposta l’indennità per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio”.
Pertanto l’indennità dell’INAIL non viene concessa (indipendente dalla durata dell’assenza dal lavoro per infortunio) fino a che il lavoratore non informa il datore di lavoro dell’infortunio che gli è occorso.
Non è sufficiente che il datore di lavoro sappia che c’è stato l’infortunio, ma è necessario che sia il lavoratore a comunicarglielo formalmente, trasmettendogli il certificato medico del Pronto Soccorso.
Nel caso da te citato, poiché il Pronto Soccorso non ha formalizzato l’evento come infortunio e, in ogni caso, poiché il lavoratore non ha mai comunicato al datore di lavoro il suo infortunio, non gli compete nessuna indennità da parte dell’INAIL.
In generale, per infortuni superiori ai tre giorni, in merito al fatto che il datore di lavoro si debba fare carico, delle spese sostenute dal lavoratore a seguito dell’infortunio, la normativa vigente (il citato D.P.R. 1124/65 e il D.Lgs. 81/08 “Testo unico sulla sicurezza”) non prevede che tali spese siano a carico del datore di lavoro, ma solo a carico dell’INAIL.
Una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro, attraverso una condanna penale per lesioni od omicidio colposi, l’INAIL si rivarrà poi sul datore di lavoro delle spese sostenute.
A carico del datore di lavoro, secondo il D.Lgs. 81/08, sono invece tutti i costi relativi alla sorveglianza sanitaria, cioè l’insieme delle visite mediche e degli accertamenti diagnostici da eseguirsi periodicamente, per verificare l’idoneità fisica del lavoratore a eseguire la propria mansione, in relazione ai rischi per la sua salute.
Spero di essere stato esaustivo e rimango comunque a disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
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NORMATIVA SU RISCHIO BIOLOGICO
Ciao Marco ti chiedevo cortesemente se potevi mandare la normativa che regola il lavaggio degli autocompattatori della nettezza urbana oltre la verifica ermeticità sulla tenuta della perdita di pergolato quando il carico contiene l’umido.
Grazie sempre per il tuo volontario contributo.
ciao
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Ciao,
come ti ho accennato per telefono non esiste una normativa specifica per il lavaggio dei veicoli raccolta rifiuti, ma solo delle indicazioni di massima contenute nel D.Lgs. 81/08.
Innanzitutto il datore di lavoro deve eseguire una specifica valutazione dei rischi (articolo 271 del Decreto).
Sulla base di questa valutazione (che nel tuo caso presenta un elevato rischio di esposizione cutanea e respiratoria ad agenti biologici pericolosi), il datore di lavoro deve adottare misure di prevenzione e protezione al fine di eliminare o ridurre il rischio (articoli 272, 273, 278, 279).
Tra tali misure, nel tuo caso particolare, rientrano le seguenti:
– limitare al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici,
– adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia possibile evitare altrimenti l’esposizione,
– i lavoratori devono disporre dei servizi sanitari adeguati provvisti di docce con acqua calda e fredda, nonché, se del caso, di lavaggi oculari e antisettici per la pelle;
– i lavoratori devono avere in dotazione indumenti protettivi od altri indumenti idonei, da riporre in posti separati dagli abiti civili,
– i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), ove non siano mono uso, devono controllati, disinfettati e puliti dopo ogni utilizzazione,
– gli indumenti di lavoro e protettivi che possono essere contaminati da agenti biologici devono essere tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, conservati separatamente dagli altri indumenti, disinfettati, puliti (a carico del datore di lavoro) e, se necessario, distrutti;
– erogare ai lavoratori specifica informazione e formazione sul rischio biologico e sulle misure da adottare;
– sottoporre i lavoratori a specifica sorveglianza sanitaria i cui contenuti devono essere dal medico competente sulla base della valutazione del rischio e vaccinarli (ma solo se consenzienti).
In sostanza per il lavaggio dei veicoli raccolta rifiuti è necessario:
– effettuare il lavaggio in aree che garantiscano la raccolta delle acque da mandare a smaltimento;
– fornire ai lavoratori adeguati DPI (casco con visiera che copra occhi e bocca, mascherina FFP3, tuta in Tyvek, stivali impermeabili, guanti in gomma), da lavare e disinfettare a cura del datore di lavoro (a parte quelli monouso);
– informare e formare i lavoratori sul rischio biologico presenti nelle lavorazioni e come devono comportarsi;
– sottoporre i lavoratori a visita medica specifica per verificare la loro idoneità alla mansione ed eventuali patologie;
– vaccinare i lavoratori su base volontaria (secondo il Decreto la vaccinazione non è obbligatoria, ma il lavoratore può richiede di farla dopo essere stato informati dal medico competente di rischi e vantaggi della vaccinazione).
Ovviamente tutti gli interventi di cui sopra sono a totale carico del datore di lavoro.
Per quanto riguarda lo spandimento del percolato non è un problema per i lavoratori (se sono adottate le misure di cui sopra), ma ambientale.
Chiamami o scrivimi quando vuoi per ulteriori dubbi o chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
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COMPATIBILITA’ DI DPI DA USARSI CONTEMPORANEAMENTE
Ciao Marco,
ti segnalo il seguente problema.
In azienda esiste l’obbligo di utilizzo (tra l’altro) di cuffie antirumore e di casco.
Il problema è che indossare tutti e due contemporaneamente quelli che ci hanno forniti è praticamente oppure comporta un elevato disagio.
Abbiamo chiesto che ci diano quei caschi che hanno già l’alloggiamento per le cuffie, ma ci hanno risposto che i DPI sono già stati consegnati e che la legge non impone nulla in proposito.
Cosa mi sai dire.
Grazie
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Ciao,
il D.Lgs. 81/08 impone molto chiaramente la piena compatibilità tra DPI di diverso tipo.
Infatti, l’articolo 76 (“Requisiti dei DPI”), comma 3 del Decreto stabilisce che (obbligo a carico del datore dell’azienda utilizzatrice dei DPI):
“In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti”.
Ciò è pienamente confermato dal Regolamento (UE) 2016/425 sui Dispositivi di Protezione Individuale (obblighi a carico del costruttore dei DPI) che al punto 1.3.3 (“Compatibilità tra tipi diversi di DPI destinati ad essere utilizzati simultaneamente”) dell’Allegato I, stabilisce che:
“Se uno stesso fabbricante immette sul mercato diversi modelli di DPI di tipi diversi per assicurare simultaneamente la protezione di parti contigue del corpo, tali modelli devono essere compatibili”.
La vostra richiesta è pertanto più che legittima, sia nei confronti del datore di lavoro, sia relativamente al fabbricante dei DPI.
Un caro saluto.
Marco
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RISCHIO MICROCLIMATICO NEL LAVORO ALL’APERTO
Buongiorno Marco
Ho bisogno di un tuo parere tecnico su una questione importante.
Nella mia ditta facciamo lavoro all’aperto. L’azienda e i sindacati hanno firmato un nuovo accordo sull’orario di lavoro, secondo me piuttosto aberrante e negativo per noi lavoratori.
Fino ad oggi, l’orario di lavoro era dalla dalle 7:00 alle 14:00.
Secondo l’accordo esso passerà dalle 8.30 alle 17.00 con la possibilità piuttosto frequente di fare un’ora in più per coprire le eventuali assenze di un collega (e quindi uscire alle 18:00). Viene previsto anche un turno fisso pomeridiano, non rotabile con quello giornaliero diurno, dalle 13.30 alle 20:40.
La questione che ti pongo è questa. Fino ad oggi, il tempo effettivamente all’esterno varia solitamente dalle 9:30 alle 13:30. D’estate si suda e d’inverno si patisce il freddo. Comunque in maniera tollerabile.
Ora si peggiora: il tempo esterno varierà dalle 10:30 alle 15: d’estate molto caldo (soprattutto dovendo tenere il casco, naturalmente obbligatorio) e d’inverno il freddo pomeridiano si avvertirà in misura maggiore. Con inevitabili rischi. Non è mai stata prevista nessuna informazione sul rischio specifico, credo che almeno le pause per togliersi il casco e respirare d’estate o scaldarsi le mani nei mesi invernali, debba essere previsto, così come una sorveglianza sanitaria che al momento per noi non è assolutamente disposta.
Grazie, un abbraccio e buon lavoro.
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Ciao,
se hai letto il mio articolo sui fattori di rischio microclimatici, penso che sia inutile entrare nel dettaglio degli aspetti prettamente tecnici.
Analizzo invece la tua situazione.
Il lavoro all’aperto (e in particolare il lavoro che prevede anche, come il vostro, fattori di rischio aggiuntivi come indossare il casco) impone al datore di lavoro una specifica valutazione dei rischi.
Nel tuo caso i fattori di rischio per la salute (a parte quelli per la sicurezza) sono legati agli aspetti microclimatici (anzi, ad essere pignoli, macroclimatici): caldo di estate e freddo di inverno.
Questi rischi possono comportare. anzi comportano, come è ovvio, danni alla salute: malattie acute o croniche agli apparati respiratorio, cardiovascolare, muscolo-scheletrico, digerente.
Dove è presente un rischio per la salute è obbligo sanzionabile a carico del datore di lavoro, secondo il D.Lgs. 81/08 (“Decreto”) quello di eseguire una specifica valutazione per tale tipo di rischio (articolo 17, comma 1, lettera a) e articolo 28 del Decreto).
Tale valutazione (articolo 28, comma 2 del Decreto) non si può limitare a una semplice elencazione dei fattori di rischio e all’accettazione dello stato di fatto, ma deve contenere anche:
– le misure di prevenzione e protezione adottate o da adottare per ridurre o limitare il rischio;
– il programma temporale delle misure di prevenzione e protezione da adottare;
– le procedure di salute e sicurezza derivanti da tali misure;
– i soggetti aziendali che devono dare corso a tali procedure.
Tutto quanto sopra deve essere formalizzato nel documento di valutazione dei rischi aziendale.
Oltre a quanto sopra, ogni volta che vi sono dei cambiamenti significativi tecnico e/o organizzativi nelle attività lavorative (come nel tuo caso), il datore di lavoro deve modificare immediatamente le misure di prevenzione e protezione in relazione al cambiamento e ha poi 30 giorni di tempo per modificare il documento di valutazione dei rischi (articolo 29, comma 3 del Decreto).
Inoltre tra i “principi generali di tutela” previsti dal Decreto vi è quello di cui all’articolo 15, comma 1, lettera t): “la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.
Ciò significa che cambiamenti tecnici e/o organizzativi delle attività lavorative non possono comportare un peggioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, ma solo un miglioramento.
A seguito di quanto sopra, ti consiglio di:
– richiedere da subito alla tua azienda l’istituzione di specifica sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori per i quali sussistono evidenti rischi per la salute derivanti da agenti fisici (il microclima) secondo quanto disposto dall’articolo 185 del Decreto;
– richiedere di visualizzare l’attuale documento di valutazione dei rischi, con particolare riferimento ai fattori di rischio microclimatici e di conseguenza le misure di prevenzione e protezione adottate (ad esempio: d’estate soste all’ombra per togliersi il casco, asciugarsi il sudore, rinfrescarsi, bere acqua integrata con sali minerali e di inverno adeguati indumenti protettivi, soste per riscaldarsi, bere bevande calde, ecc.);
– fare presente che il nuovo orario comporterà un peggioramento delle condizioni di salute per i lavoratori e che questo è contrario allo spirito del Decreto;
– richiedere in ogni caso, non appena inizia il nuovo orario, ulteriori misure di prevenzione e protezione per fare fronte all’aumento dei rischi e l’aggiornamento entro 30 giorni del documento di valutazione dei rischi.
Non avendo riposta dall’azienda, l’unica strada rimane poi la denuncia all’Organo di Vigilanza (ASL) fatta dal RLS (articolo 50, comma 1, lettera o) del Decreto) e dai singoli lavoratori.
Ovviamente, al di là degli aspetti tecnici, ogni richiesta all’azienda o una eventuale denuncia all’ASL, per avere speranza di successo dovrà essere appoggiata dal maggior numero possibile di lavoratori.
A disposizione per ulteriori chiarimenti e un caro saluto.
Marco
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CONFORTEVOLEZZA DELLE SCARPE ANTINFORTUNISTICHE
Ciao Marco,
il problema è questo.
Prima dell’estate a noi RLS e ad alcuni lavoratori sono state in dotazione le nuove scarpe.
Il tempo di prova è stato molto breve e quasi tutti abbiamo dato parere favorevole per il confort.
Tornati al lavoro dopo un po’ sono cominciati i problemi: calcificazioni, dolori, tallonite, dolori ai ginocchi e alle anche.
Qualcuno si è arrangiato con quelle vecchie, altri sono andati a visita dall’ortopedico e medico competente.
Il problema è che l’azienda ha detto chiaramente che le scarpe sono quelle, perché ha avuto l’OK dagli RLS.
L’azienda, alla richiesta di qualche delegato sindacale che voleva sapere se i lavoratori se le potevano comprare, ha detto di sì e adesso in azienda c’è chi continua a stare male, chi sfoggia scarpe Nike antinfortunistiche (comprate da sé), chi quelle della sanitaria, chi quelle della manutenzione e chi quelle vecchie.
Oggi il medico competente mi ha detto che sono circa 300 i lavoratori che sono andati a lamentare un malessere dato da quelle scarpe e che altri ne arriveranno.
Cosa possiamo fare?
Grazie.
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Ciao,
ti riporto a seguire la lettera da inviare all’azienda, con i relativi riferimenti
normativi.
Un abbraccio.
Marco
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Spett.le XXXX
c.a. Datore di Lavoro
c.c. RSPP
OGGETTO: SCARPE ANTINFORTUNISTICHE
La presente per segnalare quanto segue.
Prima dell’estate a noi RLS e ad alcuni lavoratori sono state date in prove le nuove scarpe antinfortunistiche.
Il periodo di prova è stato però molto breve e non ha permesso di valutare, durante l’uso e per un tempo significativo, la rispondenza delle scarpe alle esigenze di confort, ma per quello che abbiamo potuto provare, abbiamo dato parere favorevole.
Successivamente le scarpe provate sono risultate però di pessima qualità relativamente alla loro durata nel tempo e hanno cominciato a cedere e a deformarsi sotto il peso del corpo, perdendo così le loro iniziali caratteristiche di confort.
Infatti dopo l’estate, iniziando a utilizzare in maniera continuativa le scarpe, sono cominciati a manifestarsi vari problemi ai lavoratori quali calcificazioni, dolori, tallonite, dolori alle ginocchia e alle anche.
Per fare fonte a queste problematiche, alcuni lavoratori si sono arrangiati tornando a utilizzare le vecchie scarpe, altri, su invito dell’azienda, si sono comprati (a proprio carico) altre scarpe, altri ancora sono andati in visita dal proprio ortopedico e/o al medico competente.
Secondo il medico competente, a oggi, risulta che almeno 300 lavoratori si siano lamentati per le scarpe e probabilmente tale numero aumenterà nell’immediato futuro.
E’ evidente che tale campione di lavoratori sia ampiamente significativo delle problematiche riscontrate nell’utilizzo delle scarpe, senza che queste siano imputabili a eventuali problemi di conformazione dei piedi od ortopedici di singoli lavoratori.
A fronte di quanto sopra richiediamo all’azienda quanto segue:
– di non invitare, in casi simili, i lavoratori a comprarsi autonomamente le scarpe (o i DPI in genere), sia perché questo è contrario alla normativa vigente (articoli 15, comma 2 e 77, comma 3 del D.Lgs. 81/08), sia perché in tal caso non è garantita la corrispondenza delle scarpe (o dei DPI in genere) acquistate ai requisiti e alle caratteristiche individuate dal datore di lavoro a seguito di specifica valutazione dei rischi (articolo 77, comma 1 del D. Lgs. 81/08);
– di valutare nella scelta dei DPI anche le caratteristiche di confort e di mantenimento nel tempo di tali requisiti (articoli 77, commi 1 e 2 del D.Lgs. 81/08);
– di richiedere ai fornitori dei DPI (e in particolare delle scarpe antinfortunistiche) la rispondenza degli obblighi a loro carico imposti dal Regolamento (EU) 2016/425, con particolare riferimento al mantenimento nel tempo delle caratteristiche di sicurezza e di confort dei DPI stessi;
– di prevedere nel futuro un adeguato tempo di prova dei DPI, con particolare riferimento alle scarpe antinfortunistiche, su un numero significativo di lavoratori, per valutare il mantenimento nel tempo delle caratteristiche originarie.
Rimaniamo in attesa di vostro riscontro.
Gli RLS
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Marco Spezia
22/9/2019 marcospezia@marcospezia.org
Mailing list Sicurezza sul Lavoro sicurezzasullavoro@marcospezia.org
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