Le dinamiche della Transizione: aspetti geopolitici, geoeconomici, geotecnologici e geospaziali

La fase aperta dalla crisi finanziaria del 2008, a cui sono succedute, in sequenza, la crisi pandemica e quella della guerra Russia-Ucraina, ha generato la fine del processo di globalizzazione. Nel dibattito politico, spesso ci si sofferma sulla dimensione finanziaria di tale processo, trascurando le forme delle nuove strutture e geografie economiche, le catene di approvvigionamento (materie prime, energia) necessarie alla “produzione distribuita”, i mercati di riferimento delle merci prodotte, l’accumulo di conoscenza che ne deriva (centri di ricerca pura e applicata) e le conseguenti forme di potere che ne derivano.

Il mondo, da un lato sta diventando “uno” e, dall’altro, produce differenti velocità (e qualità) di sviluppo derivanti da scelte politiche “nazionali” (o di area come accade per l’Europa), dalle culture, dalle diverse condizioni derivanti dal possesso di materie prime e strutture finanziarie. Dopo il 2008 era obbligatorio un adeguamento “strategico”. Quell’anno, infatti, evidenziò che la logica di funzionamento finanziaria (e l’allocazione geografica/nazionale di tale logica) doveva essere messa in discussione a favore dell’emersione di una logica “multi-polare” e “multi-logica”, un approccio che doveva riconoscere i nuovi punti di potere economico e sociale che la globalizzazione aveva generato, e anche il superamento della mera centralità monetaria e finanziaria di tale governo. Occorreva prendere atto almeno di due nuovi fattori che si erano imposti almeno come comprimari accanto alle logiche finanziarie: la potenza dei dati e la crisi sistemica ambientale. Questo processo necessitava di un ridimensionamento della centralità degli USA e la creazione di un sistema multipolare.

L’ONU avrebbe dovuto fare un salto di qualità.

Sappiamo, invece, che proprio la crisi apertasi nel 2008 ha accelerato il confronto per il mantenimento dell’egemonia del modello (occidentale) o la ricerca di nuove e diverse forme di relazioni (Cina). In sintesi, gli USA hanno tentato di consolidare le forme e le strutture di funzionamento della globalizzazione prodotte dopo la caduta del Muro di Berlino; la Cina ha perseguito la strategia di farsi partner di tutto il mondo “trascurato” dall’Occidente, attraverso una strategia di scambi commerciali in cui entrambi i soggetti ricavino il loro margine “esplicito”.

La differenza tra il modello USA e quello cinese è esemplificato dalla differenza tra Amazon e Alibaba. Mentre Amazon stringe un patto leonino con il produttore di merci – da cui acquista la produzione alle sue condizioni e poi la colloca sulla sua piattaforma al prezzo che decide gestendo il rapporto tra cliente e merce senza sviluppare un rapporto tra produttore e cliente finale, rimanendo proprietaria dei “dati” –, Alibaba si propone solo come intermediario tecnico operativo tra produttore e cliente, agevolando lo scambio e guadagnando sulla transazione, lasciando “liberi” i soggetti della produzione. Qui sta la differenza tra la logica di mercato statunitense e quella cinese che, infatti, è ben accolta dai paesi che, una volta, venivano chiamati “in via di sviluppo”.

La crisi in atto sta producendo vere e proprie faglie negli equilibri tra aree geografiche, nazioni e all’interno delle stesse. Quello che pochi riescono a mettere a fuoco è che il raggiungimento degli otto miliardi di esseri viventi sul pianeta deriva anche (ed è reso possibile) dal livello di movimentazione delle merci, un meccanismo che poggia, sostanzialmente, sul trasporto marittimo. Una riduzione di questa capacità di trasporto, o la rottura “politica” di questa possibilità, comporterebbe effetti sulla stessa sopravvivenza di milioni, forse miliardi, di persone. Soprattutto nel settore agroalimentare. Gli effetti politici nelle varie aree geografiche potrebbero essere incalcolabili. Non è un caso che le sanzioni USA contro la Russia sul mercato dei fertilizzanti siano durate solo una ventina di giorni!

La rottura delle linee di approvvigionamento

I mesi di anticipo con cui la Cina uscì dall’emergenza Covid determinò una perturbazione, nei flussi delle materie prime e dei beni prodotti, che stiamo pagando, oggi, in termini d’inflazione. La guerra in Ucraina, inoltre, non fa che peggiorare un processo di logoramento delle catene di approvvigionamento. La situazione ha costretto le aziende statunitensi a ripristinare scorte e magazzini. Si calcola che almeno i 3/4 dell’ultimo balzo del PIL statunitense non sia dovuto alla ripresa dei consumi ma alla rinata necessità di scorte e magazzini. Agli ingorghi dei porti americani di questi mesi (con un’attesa media di 14 giorni per l’attracco, lo stesso tempo necessario ad attraversare l’intero Oceano Pacifico) si sta sommando una nuova crisi sempre dovuta a un riaffacciarsi della pandemia, quella dei porti della Cina Meridionale (-40% dei container tra Cina e UE). Il colosso della logistica Kuehne+Nagel con la sua Seaexplorer, una piattaforma digitale produce un indicatore sullo stato della catena logistica (ancora una volta uno strumento digitale). Secondo la società, a gennaio, l’80% della distruzione di valore associata a questi problemi era causata dagli scali nordamericani (612 navi container ferme). Il fermo delle linee ferroviarie per la guerra Russia-Ucraina ha bloccato, a oggi, circa 1.000.000 di container tra Cina e UE. La catena di approvvigionamento si è inceppata.

 Le risorse energetiche

Sul piano strategico la Cina risulta avvantaggiata per il consolidamento delle forniture di energia russa, mentre lo smarcamento dei produttori di petrolio del mondo arabo dagli USA modifica ulteriormente il quadro. L’annuncio che Cina e Arabia Saudita stiano valutando di usare lo yuan cinese (probabilmente nella sua versione digitale) per il commercio del petrolio, rappresenta un salto di qualità non solo per la scelta di campo, ma per l’intero assetto monetario mondiale. Sarebbe l’alleanza tra il maggior importatore di petrolio, la Cina, con il più grande esportatore, l’Arabia Saudita, e il relativo passaggio dai “petrodollari” ai “petroyuan” (digitali). Questo “distacco” si è potuto misurare con la scelta di non rispondere al telefono di Biden da parte del Principe Mohammed bin Salman.

Il processo di De-dollarizzazione

Materie prime e dollaro sono strettamente legate. Inoltre, la possibilità di “stampare” moneta tiene in piedi la nazione con un debito pubblico che ha raggiunto i 30,3 trilioni di dollari (il 137% del PIL USA e un terzo del PIL mondiale). “Il mercato petrolifero, e per estensione l’intero mercato globale delle materie prime, è la polizza assicurativa dello status del dollaro come valuta di riserva” ha scritto Gal Luft, co-direttore dell’Istituto per l’analisi della sicurezza globale con sede a Washington e autore del libro De-dollarization: The revolt against the dollar and the rise of a new financial world order del 2019. “Se quel blocco viene rimosso dal muro, il muro inizierà a crollare” chiosa l’economista e, quel blocco è in via di rimozione o addirittura crollato. Questo quadro, inoltre, senza analizzare la paurosa e verticale spaccatura della società statunitense, una rottura che ha portato a ipotizzare una possibile nuova guerra civile americana o, addirittura, la torsione esplicitamente antidemocratica dell’intero stato. Il canadese Thomas Homer-Dixon, professore alla Royal Roads University e direttore esecutivo della Cascade Institute, ha scritto un lungo articolo e argomentato per il “The Globe and Mail” per dire che la democrazia americana potrebbe collassare entro il 2025 e che, nel giro di altri cinque anni, il paese potrebbe trasformarsi in una dittatura di estrema destra. Il Canada, avverte il professore che in passato fu anche consigliere di Al Gore, dovrebbe prepararsi. Secondo Homer-Dixon, le cause sociali della crisi della democrazia statunitense sarebbero racchiudibili in tre fattori. Il primo è di tipo economico. La stagnazione dei redditi della classe media ha prodotto un senso sociale d’insicurezza economica e, contemporaneamente, aumentato la disuguaglianza. Questo processo è innescato proprio dall’impatto della rivoluzione digitale, l’affermarsi del taylorismo digitale[1] nella produzione industriale e la conseguente  perdita di capacità del settore manifatturiero di distribuire salari (sia in termini numerici sia in termini di valore). A questo si affianca la crescente rilevanza del settore digitale (basato sul lavoro implicito[2]). I processi connessi hanno determinato sia il crollo degli occupati salariati a tempo indeterminato, la loro distribuzione geografica e concentrazione, sia la quantità di denaro distribuibile attraverso il lavoro salariato. Il secondo è associabile alla demografia: i processi migratori, i differenti tassi di natalità, i matrimoni misti (in poche parole l’aumento della diversità sociale) hanno contribuito a sviluppare nella popolazione bianca la sensazione che la loro etnia e la loro cultura stiano venendo cancellate e sostituite. Il terzo motivo, infine, riguarda le élite, che Homer-Dixon accusa di non essere disposte a pagare le tasse, a investire nei servizi pubblici e a stimolare la mobilità verticale, in proporzione all’aumento considerevole della ricchezza che queste fasce stanno ottenendo. La loro ricchezza, infatti, aumenta anch’essa in una sorta di meccanismo “esponenziale” poiché sfrutta non solo l’aumento progressivo della ricchezza prodotta dal sistema (di cui loro detengono già la fetta più rilevante) ma anche un aumento progressivo della loro percentuale.

Le rivoluzioni della tecno-scienza

In questi anni abbiamo assistito a un cambio sostanziale nel modello di ricerca scientifica che ha modificato anche i territori della ricerca e reso “più facile” una distribuzione diversa dei centri di elaborazione scientifica in ogni campo. Mentre solo cinque o sei decenni fa, a metà del ‘900, la ricerca teorica si svolgeva ancora con pochissimi supporti di capacità di calcolo e tutti concentrati in pochissime strutture – tutte collocate nel nord del mondo –, la diffusione enorme dei computer e la loro esponenziale capacità di calcolo hanno diffuso un modello di ricerca fortemente basato sui processi di “simulazione” al computer. Questo ha ridotto le necessità dell’affollamento dei laboratori “tradizionali” ove oggi arrivano “solo” le ipotesi già fortemente vagliate dai modelli matematici sviluppati al computer. Questo salto ha consentito (e consentirà sempre più in presenza di aumenti progressivi della capacità di calcolo e, quindi, dei processi di simulazione) una rottura di monopoli dei centri di ricerca ad alta concentrazione di capitale. Sviluppare simulazioni con dei potenti calcolatori, oggi, è molto più semplice e sta modificando la geografia della distribuzione della conoscenza e lo stesso indirizzo della ricerca.

Accanto a questa “rottura” si affianca un nuovo salto che deriva dalla capacità di individuare “logiche di funzionamento dei sistemi”, “leggi”, “regolarità” o “relazioni tra le parti” all’interno di masse enormi di dati che la rete (in primo luogo le comunicazioni prodotte nei social) mette a disposizione. Sono i famosi Big Data dai quali degli algoritmi estraggono relazioni senza neanche che esse siano ipotizzate dagli stessi ricercatori. Su tali processi, oggi, si fondano nuovi territori di ricerca e conoscenza che aprono strade inattese con ricadute nei settori industriali e commerciali che non erano neanche state ipotizzate.

I territori dei confronti strategici, quindi, si collocano proprio sui territori della conoscenza. Per questo è fondamentale partire da GRAIN. Genetica, Robotica, Artificial Intelligence, Nanotecnologie rappresentano i territori di ridefinizione del sapere, delle relazioni, delle economie e delle forme sociali. 

Le differenze tra le varie aree macroregionali nello sviluppo e nell’utilizzo delle conoscenze in questi territori stanno costruendo forme di relazione, del fare, di progettualità sociale e politica, molto diverse. È proprio la capacità e la possibilità di usare, attraverso l’ibridazione di conoscenze, le differenti conoscenze e le tecniche partendo da uno smisurato e crescente accumulo di saperi, a caratterizzare la ricerca e la consapevolezza di poter costruire forme innovative della società.

La Cina punta sulle STEM e sulla formazione ingegneristica

Nel 2018 in Cina l’insegnamento delle materie STEM ( sciencetechnologyengineering and mathematics) è diventato una priorità. Tutto il settore dell’educazione è stato orientato al rafforzamento delle materie legate allo sviluppo delle tecnoscienze di cui la Cina vuole chiaramente candidarsi come capofila mondiale. Secondo il nuovo modello cinese, il linguaggio computazionale deve diventare parte integrante dell’intera didattica. Fin dalla scuola primaria, i bambini iniziano l’apprendimento alla logica della programmazione attraverso il coding, sviluppando videogiochi, creando programmi per il disegno o applicazioni pratiche fino ai primi approcci alla creazione e alla gestione robotica. L’esperienza educativa digitale, infatti, non è la DAD!

La scelta di investire sulla formazione STEM è rafforzata dagli investimenti nel campo della formazione ingegneristica e sta iniziando a dare i suoi frutti strategici. Sia in termini quantitativi sia sotto il profilo qualitativo la produzione di ingegneri in Cina ha raggiunto un primato planetario. I laureati negli ambiti scientifici e ingegneristici sono, ormai, superiori a quelli americani, in particolare per le lauree triennali. Dal 2002 i fondi per la ricerca e lo sviluppo sono nettamente aumentati. La Cina, oggi, è il secondo più importante editore di pubblicazioni scientifiche, dopo gli Stati Uniti. Tra il 1982 e il 2010, la Cina ha prodotto un inseguimento costante della condizione statunitense. Nel 1982 la forza lavoro scientifico-ingegneristica cinese era di 1,2 milioni, mentre negli USA si contavano circa 1,8 milioni. Nel  2010 la Cina aveva raggiunto i 3,2 milioni di scienziati e ingegneri, rispetto ai 4,3 milioni americani. Una crescita complessiva simile anche se, in termini percentuali, in Cina gli scienziati rappresentavano lo 0,4% mentre negli USA il 3,1%. La crescita cinese, però, si è evidenziata tra il 2000 e il 2010, attribuibile alla espansione dell’istruzione superiore, iniziata alla fine degli anni ‘90. Quello che differenzia Cina e USA è il numero degli ingegneri all’interno della più ampia categoria degli scienziati. Nel 2010 in Cina si potevano contare 2,4 milioni di ingegneri contro 1,4 milioni presenti negli USA. Anche in termini di genere, la Cina sopravanza la condizione statunitense, con un circa 25% di donne ingegnere contro il 13% degli USA. Anche la condizione salariale contiene dinamiche differenti. Mentre negli USA la condizione economica degli scienziati risulta pressoché ferma, soprattutto rispetto a professioni come medici o avvocati. In Cina, se si escludono gli ingegneri, le professioni scientifiche percepiscono stipendi maggiori rispetto alle altre professioni. Negli USA, al contrario, sono inferiori. Gli ingegneri, invece, godono in entrambi i paesi di un vantaggio di circa il 25% in più rispetto agli scienziati. Mentre gli scienziati americani guadagnano il 7% meno rispetto ai sociologi, il 50% in meno rispetto ai dottori e il 34% meno rispetto agli avvocati, in Cina, gli scienziati sono pagati il 25% in più rispetto ai sociologi, il 13% in più rispetto ai dottori e il 5% rispetto agli avvocati.


Genetica 

La competizione tra Cina e Stati Uniti si gioca anche sul terreno delle biotecnologie, come dimostrano gli esperimenti di ingegneria genetica dello scienziato cinese He Jiankui sugli embrioni umani che furono condannati dalla Cina. Le differenti culture sociali, infatti, predispongono ad approcci diversi sui confini ciò che sia lecito o non lecito fare. La rottura dell’esperimento di He non è stato il primo indicatore di una potenziale faglia etica tra Cina e Occidente nell’ambito delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica. Già nel 2015, il primo grande tabù di intervento su embrioni umani fu abbattuto dal team di Huang Junjiu della Sun Yat-sen University. Con un lavoro inviato alla rivista “Nature” si affermò di aver manipolato embrioni umani, non impiantabili, usando la tecnologia CRISPR. Lo scopo era di correggere la mutazione della beta talassemia (conosciuta anche come anemia mediterranea). Rifiutata la pubblicazione per motivi etici, il lavoro trovò spazio su “Protein & Cell”, una pubblicazione open accessfinanziata da enti collegati a vario titolo con il Ministero dell’istruzione cinese.

Il dibattito aperto sull’uso delle tecniche di editing genetico su cellule o embrioni umani oscura, però, l’impetuosa avanzata delle ricerche e delle sperimentazioni nel mondo vegetale e animale.

Robotica

La Cina rappresenta il punto più alto nel processo di implementazione della robotica nel mondo. Milton Guerry, presidente della Federazione Internazionale di Robotica (IFR) ha affermato: “La Cina è di gran lunga il più grande mercato di robot nel mondo per quanto riguarda le vendite annuali e la base installata. I dati dell’IFR sulla densità dei robot sono un utile indicatore degli sviluppi dinamici della Cina: la densità di robot della Cina nell’industria manifatturiera è attualmente al 9° posto a livello globale (246 unità ogni 10.000 dipendenti) quando solo cinque anni fa erano al 25° (49 unità ogni 10.000 dipendenti)”. 

La più grande fabbrica del mondo, la FOXCONN, dove vengono assemblati, per esempio, gli I-Phone, già nel 2016 aveva sostituito 60.000 operai di linea con dei robot.

L’ambizione di Pechino è esplicita: diventare leader mondiale nel campo della robotica entro il 2025.

Intelligenza Artificiale

Legato allo sviluppo della robotica è il comparto dell’Intelligenza Artificiale. Sia la Cina che gli USA si contendono il dominio in questo campo. Il divario è soprattutto nel modello. La Cina ha affidato il suo intervento attraverso una pianificazione iniziata alla fine degli anni ’50, e lo stesso Pentagono, oggi, è costretto ad ammettere che non esiste alcuna possibilità di reggere la competizione sull’intelligenza artificiale. “La Cina ha vinto la battaglia dell’intelligenza artificiale con gli Stati Uniti e si sta dirigendo verso il dominio globale grazie ai suoi progressi tecnologici”, ha detto al Financial Times l’ex capo del software del Pentagono, Nicolas Chaillan.

Nanotecnologie

Le nanotecnologie rappresentano l’equivalente del calcolo informatico rispetto all’abaco. Non solo sono in grado di produrre “nuove materie prime” inesistenti in natura, necessarie allo sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate, ma sono in grado di intervenire sia nel campo dell’inorganico sia in quello organico e, solo negli ultimi anni, addirittura a livello atomico. I materiali “bi-dimensionali”, come per esempio il grafene, aprono prospettive uniche poiché la natura svela comportamenti inaspettati e “stravaganti” utili a produrre soluzioni inaspettate. 

Anche su questo terreno, la Cina ha investito enormemente inaugurando, nel 2018, il centro di ricerca più grande del mondo in questo settore. Il Nano X Research Facility, sorge a Suzhou, nella provincia orientale del Jiangsu. 

Telecomunicazioni

Lo scontro tra USA e Cina sullo standard 5G ha riguardato il tema del controllo della rete e dei dati. Gestire i server significa controllare i flussi di comunicazione. Gli Usa, per tutta la fase della prima globalizzazione, hanno detenuto il controllo di tutti gli scambi di comunicazione funzionanti sul protocollo di Internet (telefonia, fax, siti, mail, social, ecc…), accumulando vantaggi strategici sulla competizione economica globale, sul controllo interno al loro stato e su quello geopolitico. Con la concorrenza cinese, questo privilegio non esiste più e, anche se non è ancora chiaro il grado di controllo cinese sull’intera rete di comunicazione, da alcuni anni gli USA devono condividere informazioni con il loro principale avversario geostrategico. Le lotte contro il 5G (in generale e sulle tecnologie cinesi nello specifico), e il tentativo di accelerare il passaggio al 6G, partono dagli USA proprio per tentare di riconquistare il terreno perduto sul privilegio del controllo dei dati.

Spazio

Il confronto strategico tra Cina e USA si estende allo spazio. L’isolamento dal programma spaziale internazionale ha spinto la Cina verso la realizzazione di un programma nazionale che, oggi, sta generando un vantaggio strategico per il paese. I tempi di utilizzo dei moduli scientifici della Stazione Spaziale Internazionale, infatti, sono fortemente egemonizzati dalla NASA, ma la stazione spaziale cinese consente alla Cina un accumulo di possibilità che gli altri paesi non possono avere.

Calcolo Quantistico

Sul terreno dello sviluppo digitale il confronto s’incentra in particolare sul salto al calcolo quantistico. La rivoluzione di queste forme di calcolo aprirà una stagione completamente nuova in tutti i campi a partire dal livello dei processi di simulazione al computer. Dalle possibilità in campo medico a quelle della crittografia, passando per la progettazione ingegneristica e il salto possibile sull’intelligenza artificiale e la robotica, arrivare a governare quella che viene definita “supremazia quantistica” significa un vantaggio strategico e ipotizzare anche un momento di “rottura” degli equilibri esistenti. La Cina possiede la rete di comunicazione quantistica più estesa al mondo (2000 Km tra Pechino e Shanghai) ed è cinese il primo satellite dotato di comunicazione quantistica in grado di collegare luoghi distanti migliaia di Km e in maniera flessibile. Gli USA sviluppano processori quantistici (con colossi come IBM, Microsoft, Google) mentre accrescono la loro Entity list (aziende soggette a restrizioni) per impedire l’esportazione di hardware e software legati al quantum computing verso la Cina.

Missili ipersonici

Sul terreno degli armamenti, la novità assoluta è rappresentata dai missili ipersonici che viaggiano a velocità non raggiungibili dai sistemi anti-missile. Questi missili, inoltre, possono essere “guidati” e non devono sottostare ai vincoli balistici (con traiettorie prevedibili) e possono raggiungere ogni angolo della terra. Cina e Russia (forse anche la Corea del Nord) sono al momento gli unici paesi ad essere in possesso di tali tecnologie. Gli USA hanno fallito il loro test nel mese di ottobre. La Cina ha sperimentato per l’ultima volta il suo missile nel novembre scorso, mentre la Russia ne ha usati alcuni nella guerra in Ucraina. Questa novità tecnologica mette i possessori in un vantaggio strategico fondamentale. Francia, Regno Unito e India detengono programmi di sviluppo.

La Transizione passa per il confronto tra modelli sociali, aree geopolitiche, nazioni, apparati militari e di sicurezza, e la dimensione complessa non può essere ignorata a meno di non ritornare a una logica hegeliana, quella in cui la storia segue i dettami della ragione, smarrendo l’idea di storia come movimento dialettico mosso dalla vita materiale del genere umano. La storia, infatti, è storia del modo di produzione e degli antagonismi che esso genera, come Marx ci ha svelato.


[1] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Taylorismo_digitale

[2] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Lavoro_implicito

Sergio Bellucci

Sergio Bellucci, giornalista, saggista è stato dirigente sindacale della FILIS-CGIL negli anni ’80 e dirigente del Partito della Rifondazione Comunista dal 1993 al 2008. Presidente di Liberazione dal 2005 al 2008 è tra i fondatori con Marcello Cini, Stefano Rodotà, Sandro Curzi di Net Left di cui oggi è presidente.

www.sulatesta.net

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