Le migrazioni e i muri dentro di noi

La vignetta di Vauro, pubblicata lo scorso 20 luglio sul Fatto Quotidiano, esprime con la brillante immediatezza del suo tratto di lapis, il sentimento degli italiani nei confronti di tutto ciò che li affligge nella loro vita quotidiana: passivi e rassegnati nei confronti di quasi tutto (povertà, disoccupazione, precarietà, corruzione, degrado ambientale, etc), tranne che la questione dei migranti dove qui scatta in loro  il massimo della reattività, dell’esasperazione e quindi dell’incazzatura.

Un sentimento, questo dell’insofferenza verso i migranti, che trova puntuale riscontro  nei sondaggi che rivelano che gli italiani sono sempre più preoccupati e impauriti. Infondere la paura degli stranieri a scopi elettorali è un classico della destra xenofoba, quando non dichiaratamente razzista. Le elezioni a sindaco di Roma, nel 2008, si giocarono sul tema della sicurezza e furono vinte – contro ogni pron

ostico – dal candidato della destra, Gianni Alemanno, favorito da una martellante campagna d’informazione che ogni giorno metteva in prima pagina uno stupro o una rapina in villa compiuti da stranieri.  Chiuse le urne, ottenuto il risultato, nessuno ne sentì più parlare.

Ma oggi è diverso.

È sopraggiunta la crisi e – come osservano Luigi Manconi e Federica Resta nel bel libro Non sono razzista, ma – “il peso della presenza straniera si è scaricato, quasi ovunque, sugli strati popolari più disagiati della società, quelli che maggiormente patiscono la crisi economico-sociale e che vedono ridursi, giorno dopo giorno, le proprie risorse materiali e immateriali. Nonostante che la concorrenza per il posto di lavoro tra italiani e nuovi arrivati sia stata finora limitata a settori circoscritti del sistema economico, è altrettanto vero che la competizione intorno a beni scarsi quali gli spazi, i trasporti e i servizi tende a intensificarsi. Soprattutto sulle prestazioni di welfare – che si pensano riservate ai cittadini italiani – si scarica una tensione xenofoba, dovuta soprattutto al bisogno di identificare un responsabile (meglio dire un capro espiatorio) della scarsità dei servizi a disposizione” (…) “Non solo i penultimi vedono gli ultimi come concorrenti e, quindi, nemici, ma ritengono che il fatto di soccorrere loro (gli ultimi) porti fatalmente a ridurre le risorse destinate ai soccorrere i penultimi. Sembra, cioè, non porsi in alcun modo la questione di una distribuzione diversa dei mezzi disponibili, in grado di soccorrere gli uni e gli altri – il che corrisponde, appunto, a una incondizionata sfiducia nella politica – ma solo la violenza di uno scontro intestino. Uno scontro dove la mia sopravvivenza (o un livello accettabile di esistenza) dipende in primo luogo dall’esclusione e dalla rovina di chi sta peggio di me. Un gioco a somma zero, insomma”.

Il paradosso è che le forze che lucrano elettoralmente sulla rabbia dei penultimi (“gli imprenditori politici della paura”), indicando negli ultimi (i migranti) il capro espiatorio, sono le stesse forze politiche che tolgono risorse al welfare (a danno degli ultimi e anche dei penultimi) e favoriscono con il taglio delle tasse i gruppi più ricchi della popolazione.

Ciò che è avvenuto in Italia nel campo delle politiche migratorie negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, è una storia indegna.

Si è ingigantito un allarme sociale, invece di governarlo. Anche perché ha fatto comodo, mentre si erodevano progressivamente i diritti sociali dei cittadini italiani, deviare il malcontento nella direzione dei migranti.  Negli ultimi anni sono sbarcati nei porti italiani circa 150-180 mila profughi l’anno (95 mila nei primi 7 mesi del 2017): una cifra considerevole, ma non impressionante, non certamente un’invasione, per un paese come il nostro di 60 milioni di abitanti che sta rapidamente invecchiando e progressivamente spopolandosi.

Quel che è peggio, quello che era un processo facilmente prevedibile e programmabile è stato gestito con una logica puramente emergenziale, senza un piano per favorire l’integrazione e l’inclusione (in primis l’apprendimento della lingua e la formazione al lavoro), per rendere produttiva e favorevole per tutti la presenza degli stranieri.  La logica emergenziale del giorno per giorno (ma durata anni), ha comportato la distribuzione casuale, autoritaria e per grandi aggregati dei profughi, senza un effettivo dialogo con i Comuni e le comunità locali, producendo contrasti e qualche rivolta. Anche in realtà come la Toscana, dove l’arrivo dei migranti è avvenuto civilmente, per piccoli gruppi e senza traumi, desta sconcerto lo spettacolo offerto dai giovani profughi africani che trascorrono intere giornate senza far niente, quasi ci fosse una regia occulta per rendere indesiderabili, perfino detestabili, quegli incolpevoli ragazzi.

“Prima si ingigantisce un allarme sociale, invece di governarlo – scrive Ezio Mauro. Poi i partiti si adeguano a quel clima, senza razionalizzarlo. Infine nascono le misure conseguenti, gregarie, con la politica che rinuncia a ogni sua autonomia di giudizio, di indirizzo e di responsabilità rispetto al senso comune dominante.”

Il “senso comune dominante” – prodotto dall’insieme degli elementi negativi che abbiamo sopra descritto – si rispecchia nei sondaggi che ci dicono che circa metà (46%) degli italiani ha timore dell’immigrazione (vedi Figure 1 e 2). Lo stesso sondaggio rivela un drastico cambiamento di umore degli italiani riguardo allo Ius soli avvenuto nell’ultimo anno: i favorevoli a dare la cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati in Italia erano il 70% nel febbraio 2017, sono calati al 57% nel giugno e al 52% a settembre.

Figura 1

 

Figura 2

 

Quello che è avvenuto negli ultimi mesi lo abbiamo descritto in un precedente post Se il sentimento umanitario finisce in minoranza. Abbiamo criminalizzato i soccorritori che salvavano chi stava morendo in mare.  Abbiamo fatto finire in minoranza il sentimento umanitario. Abbiamo eretto un muro nel Mediterraneo per impedire lo sbarco nei nostri porti  dei profughi dall’Africa. La legge che avrebbe dovuto dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri (800 mila giovani) quasi certamente non verrà approvata in questa legislatura ed è rinviata a un futuro indefinito.

La politica italiana si è rannicchiata – per una vigliacca convenienza –  in un pensiero unico xenofobo, si è sbriciolata.

“Naturalmente il venir meno della politica ha una conseguenza evidente nel sociale. Il primo effetto dell’indebolimento di governo è l’autorizzazione spontanea a pensare ognuno a sè stesso, liberi tutti. Si sta realizzando la profezia della Thatcher sulla società che non esiste, ma non attraverso l’affermazione dell’individuo, bensì col venir meno di ogni spontanea obbligazione di responsabilità generale, da cui nasce l’ultima forma di solitudine, con lo Stato e il cittadino indifferenti l’uno all’altro come una vecchia coppia in crisi, con ogni passione spenta. Ognuno sta solo sul suo pezzo di destino, esclusivamente individuale. In più il ricco per la prima volta può fare a meno del povero, che intanto è già diventato qualcos’altro in attesa di definizione, perché è finito fuori dalla scala sociale, da una autonoma condivisione d’orizzonte che teneva insieme i vincenti e gli sconfitti. Alla fine, sotto i nostri occhi sta mutando lo stesso concetto di libertà, che si privatizza in un nuovo egoismo sociale: sono libero non in quanto sono nel pieno esercizio dei miei diritti di cittadino, ma al contrario sono libero semplicemente perché liberato da ogni dovere sociale, da ogni vincolo con gli altri, da ogni prospettiva comune (Ezio Mauro Ius soli, la politica senza autonomia)”.

Gavino Maciocco, Gris Toscana.

 

Gavino Maciocco

28/9/2017 www.saluteinternazionale.info

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