L’estrattivismo uccide

La storia sociale delle Alpi Apuane rivela lo scontro tra salute e lavoro attorno alle cave del marmo. Un conflitto che si ripropone ancora oggi

Siamo sulle Alpi Apuane. Tira aria fresca, non è strano lassù tra i 1.000 e i (quasi) 2.000 metri di altitudine. A una decina di chilometri dal mare soffia spesso vento fresco, quasi tutto l’anno, ma non durante i torridi mesi estivi, quando il lavoro in cava diventa sempre più duro e pericoloso.

Le Alpi Apuane sono una catena montuosa situata nel nord ovest della Toscana, un complesso di rocce che si estende dalla Lunigiana all’alta Versilia, casa di oltre 36 endemismi (specie autoctone) tra flora e fauna e uno dei più grandi bacini estrattivi di marmo bianco del pianeta.

Dalle Apuane si estrae marmo da migliaia di anni, ma le dinamiche, le pratiche e le quantità sono variate enormemente nei secoli, fino ad arrivare ai 4 milioni di tonnellate l’anno che vengono estratti oggi.

Quello delle Apuane è un contesto complesso. Queste montagne affacciano su molti territori differenti: sulle città di Massa, Carrara e Pietrasanta da nord-ovest a sud-est, ma anche sulle Aree Interne e in via di spopolamento della Garfagnana e della Lunigiana da nord a nord-est. Diversi i territori, diverse le relazioni con il settore del marmo, diverse le ricadute e le dinamiche che ne conseguono. 

Il sapore della paura

Siamo con Guido, figlio di cavatore e abitante di Resceto, che ci racconta di sé, della sua giovinezza trascorsa lì fra i monti. Guido nasce a Resceto, paesino arroccato in una gola delle Apuane, subito alle spalle della città di Massa. Un tempo a Resceto c’erano molte cave, ci racconta, ormai però sono tutte chiuse. I versanti sono troppo scoscesi per poter scavare il marmo con i grossi mezzi di oggi, sarebbero troppe le infrastrutture da dover costruire perché la commercializzazione di quel marmo possa essere redditizia. Guido però ci racconta anche di un tempo in cui i mezzi erano altri, in cui suo padre costruiva la via lizza, un sentiero di pietra  che permetteva di trasportare con braccia, corde e molta fatica un blocco di marmo dal monte a valle. Un giorno però accadde un incidente: «il babbo l’ho sentito urlare mentre ero a funghi con mia mamma. A un certo punto arriva un compagno di mio padre e ci dice le cose… mio padre si fece male nell’estrazione di un blocco». «Queste cose succedevano spesso – ci racconta – fino a che poi succedono a te, e hai paura».

Guido racconta dei controversi sentimenti suoi e della sua famiglia: «Le cave ci aiutavano ad andare avanti, a mangiare, ad andare a scuola, ma hanno fatto soffrire mio babbo». 

Questa storia ha avuto fortunatamente un lieto fine, sono però moltissime quelle che finiscono con gravi incidenti, mutilazioni e morti inaspettate. «La mia vita l’ho passata qui, per boschi e funghi, sulle vie di lizza con la nonna a vedere questi uomini tutti intorno come formiche che scendevano con il blocco e arrivati giù si abbracciavano, per il lavoro ben fatto e la paga assicurata. Dal Padulello scendeva in 2 giorni mio padre, con il blocco. E se si rompeva non venivano pagati». Se qualcuno gridava, seguiva un rumore assordante e infine il silenzio, erano di certo brutte notizie dal monte. Sentimenti controversi producono la storia di questi luoghi. Allo stesso modo «Quanti morti…» ripete quasi come fosse una cantilena un’anziana signora, moglie di un cavatore, a Gorfigliano.

L’estrazione di marmo in questo territorio esiste da migliaia di anni, ma negli ultimi cento ha cambiato forma, diventando un processo estrattivo con un impatto sempre maggiore. La rivoluzione industriale prima e la globalizzazione dei mercati poi hanno progressivamente trasformato questo territorio in un distretto minerario. «Oramai si estrae con le macchine, non con l’occhio dell’uomo. Lo zio di mio babbo che era capo cava guardava la montagna, per trovarne i difetti e tirare fuori il blocco migliore» racconta Guido. Il cavatore è una figura che ancora oggi presenta un velo di mitologia e i più anziani sono depositari di una tradizione e di un sapere che ormai è in via d’estinzione.

I lavoratori del settore sono diminuiti di oltre l’80% dal dopoguerra a oggi ed è calato quindi il loro potere contrattuale. Quando qualcuno moriva in cava veniva indetto uno sciopero, si chiamavano tutti a raccolta per ricordare al «padrone» che questo non doveva succedere. Un tempo, racconta Guido, «non si estraevano migliaia di tonnellate al giorno, adesso […] guadagnano solo 30 famiglie e gli altri che ci lavorano rischiano la vita, ma non per il lavoro, che è più sicuro di quando c’era mio padre, ma per la voglia del padrone di estrarre sempre di più». La corsa all’oro bianco non ha più limiti né fisici né tecnologici. Tanto meno legali.

Cento anni di sindacalismo

Le Alpi Apuane sono state teatro di importantissime battaglie sul lavoro, le più significative si sono svolte dal 1911 fino all’avvento del fascismo. In quel periodo la Camera del Lavoro di Carrara era a «trazione anarchica» e il segretario camerale, dal 1911 al 1922, è stato Alberto Meschi. Fu Meschi che, grazie all’appoggio dei lavoratori del marmo, cavatori e scalpellini ornatisti, lizzatori e altri, riuscì a ottenere, già nel 1911, la giornata lavorativa a 6 ore e mezza; conquista che per l’epoca, così come per oggi, era rivoluzionaria. Fra le ore di lavoro veniva conteggiata anche una parte del tragitto per raggiungere la cava e veniva pagato anche il quarto piovoso. Il potere contrattuale dei lavoratori del marmo era altissimo in quel periodo, erano infatti oltre 20.000 lavoratori sul territorio carrarese e il lavoro sindacale dell’epoca aveva molto chiaro chi fosse il nemico e quali fossero i diritti essenziali di un lavoratore: la vita, la salute e un compenso degno. Molte delle conquiste ottenute con quelle battaglie si sono perse: oggi in cava come ovunque si lavora oltre 8 ore al giorno e spesso anche il sabato.

Morti e infortuni in cava sono sempre avvenuti anche per via delle difficili condizioni di lavoro a cui venivano sottoposti gli operai. La modernizzazione dei mezzi di estrazione ha prodotto un iniziale miglioramento delle condizioni di lavoro che però si è pian piano assestato su un innalzamento della capacità produttiva, una riorganizzazione del lavoro e una riduzione del numero di impiegati, con conseguente e progressiva diminuzione del potere contrattuale del lavoratore e quindi della sua capacità di migliorare le proprie condizioni di lavoro. Nei decenni si sono sempre mantenuti altissimi i i numeri di morti e infortuni, più alti delle medie nazionali.  

Le lotte sindacali sono state condotte in particolare dai sindacati di base, che hanno avuto quasi sempre terreno fertile, dall’Usi (Unione Sindacale Italiana) di Meschi ai Cobas di Petrazzi, che hanno portato avanti scioperi anche di 15 giorni. È nel solco di questa storia che nasce nel 2016, in seguito a una grave tragedia avvenuta a Cava Gioia, l’attuale Lega dei cavatori, un’associazione per la tutela delle condizioni lavorative e della sicurezza sul lavoro.

Lotte sindacali oggi

Nel Luglio

Nel luglio 2022 è iniziata una nuova ondata di scioperi, i lavoratori del marmo hanno bloccato l’accesso al monte per 5 giorni senza permettere di passare ai camion per il trasporto a valle di blocchi e scarti. Lo sciopero era dovuto a due principali questioni relative al rinnovo del contratto provinciale del lapideo: un ridicolo aumento salariale e la proposta di Confindustria che quello fosse l’ultimo rinnovo del contratto provinciale passando alle contrattazioni azienda per azienda e riducendo così ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori. Un nutrito e agguerrito gruppo di lavoratori legati alla Lega dei Cavatori, con l’appoggio della sezione locale di Usa (Unione Sindacale di Base), ha invece portato un’innovativa proposta sintetizzata dallo slogan «riduzione di orario di lavoro a parità di salario», appoggiati in parte anche dalla sezione locale della Fillea Cgil. Questi lavoratori stanno costruendo un immaginario rivoluzionario proponendo una riduzione delle quantità escavate a parità di salario, un piccolo passo verso la costruzione di uno spazio di dialogo che cerchi di unire le realtà presenti oggi in Apuane su alcune necessarie riflessioni socio-ecologiche. 

In seguito ai diversi gravissimi incidenti (alcuni dei quali mortali) avvenuti in cava negli ultimi mesi e alla morte di un uomo di 55 anni travolto da un blocco di marmo il 13 maggio 2023, la Lega dei Cavatori e l’Usb Marmo hanno indetto un’assemblea per riprendere in mano i percorsi iniziati nei mesi precedenti. Proporre la riduzione dell’orario di lavoro e quindi una riduzione delle quantità escavate equivale alla lenta costruzione di un nuovo paradigma. La convergenza delle lotte sembra prendere piede a partire da proposte politiche come quelle del collettivo di fabbrica della Gkn e di molti altri soggetti che l’hanno resa possibile. I lavoratori del lapideo aprono il loro comunicato dello scorso maggio con un pezzo della storia recente di Carrara: «Nel 1920 c’erano 20.000 lavoratori al monte, oggi ne restano solo 800, mentre le quantità di estratto sono decuplicate. La città è in rovina, si sta spopolando, mentre gli incidenti e le morti in cava continuano. Il profitto del padrone aumenta a discapito del nostro futuro». I dati usciti nei mesi successivi non hanno che confermato questa tendenza: dal monitoraggio del piano regionale cave emerge che dal 2021 al 2022 gli addetti al lavoro in cava sono passati da oltre 800 a 658, con 42 casi denunciati in infortuni nel 2022, a fronte di un aumento costante delle quantità escavate. Questo è proprio il racconto di una città soggetta a processi estrattivisti, abbandonata e relegata a essere un distretto minerario. 

Questa è però anche la storia di una città che non si lascia schiacciare dallo sfruttamento padronale. È la storia di un territorio che lotta per i propri diritti da secoli e che di certo non smetterà.

Chiara Braucher dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Sociali di Trento, laureata in Ingegneria Civile e Ambientale. Abita e fa attivismo in provincia di Massa Carrara.

2/10/2023 https://jacobinitalia.it/

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