Libertà per Öcalan, il leader curdo che ha sempre lottato per l’emancipazione delle donne

Il fondatore del Pkk è in carcere in Turchia dal febbraio 1999, in condizioni di detenzione inumane di totale isolamento. Intanto Erdogan torna a colpire i curdi e l’esperimento di confederazione democratica, ecologista e femminista del Rojava

Öcalan, leader del movimento nazionale curdo, è in carcere in Turchia dal febbraio 1999. Le condizioni di detenzione e di isolamento sull’isola di Imrali violano palesemente il divieto di sotto posizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti.

Ad Öcalan è impedito costantemente di incontrare i propri familiari ed i propri difensori, privandolo dello stesso diritto di difesa. In evidente contrasto innanzitutto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti della persona.

Milioni di persone nel mondo hanno firmato per chiedere la libertà per Öcalan e per i prigionieri politici in Turchia , affermando che «la libertà di Öcalan sarà una pietra miliare per la democratizzazione della Turchia e per la pace in Kurdistan».

Öcalan è temuto dalla Turchia e dai regimi arabi perché è il simbolo della democrazia diretta, del multiculturalismo, del meticciato, contro l’identità unica imposta dai regimi.

I Curdi hanno sconfitto l’Isis, hanno costruito un modello di società alternativo al califfato. Il cuore del loro progetto egualitario sono le donne. Le quali reggono questo splendido embrione di società, che abbiamo visto con emozione sei anni fa, quando come racconta Chiara Cruciati e come ha illustrato Zerocalcare nei suoi video «l’ingresso delle Forze della Siria democratica segnò la fine dell’occupazione dell’Isis, insieme alle donne che in strada si sfilarono di dosso le lunghe vesti nere che le coprivano da capo a piedi. Sotto quel velo le singole identità erano state annullate».

Oggi le donne, nell’esperienza rivoluzionaria del Rojava, sono all’interno del quartier generale delle unità curde di difesa del popolo e, nello stesso tempo, coordinano il lavoro delle biblioteche popolari nei villaggi, animano la società di un modello politico che sta penetrando nella mente e nel cuore dei movimenti delle donne in tutto il Medio Oriente. Non a caso “terra, libertà, dignità” non sono solo slogan ma principi ispiratori delle donne che, in Iran come in tutto il Medio Oriente, rischiano la vita contro la ferocia patriarcale delle religioni. Come le donne curde, mettono in gioco il proprio corpo, la propria intelligenza, la propria sensibilità sociale.

Di tutto questo si è discusso in un convegno, organizzato dall’Università Roma Tre e dall’ottavo Municipio a Roma, con molti importanti approfondimenti e la presenza di molte ragazze e ragazzi. A discutere di diritti civili e libertà politica nella Repubblica di Turchia c’erano Mauro Palma, Arturo Salerni, docenti universitari (il rettore Massimiliano Fiorucci ed Enrica Rigo), il  parlamentare Marco Grimaldi, il consigliere Claudio Marotta, il presidente del Municipio Amedeo Ciaccheri. Il convegno è stato arricchito dalla presenza di Zerocalcare , di Newroz Uysal Aslan (deputata Hedep in Turchia), di Faik Ozgur Erol (avvocato di Ocalan, di Zilan Diyar (del Movimento delle donne curde). Io sono intervenuto come portavoce italiano del Comitato libertà per Öcalan:

Non è, infatti, possibile discutere della “questione curda” senza entrare nelle contraddizioni della Turchia, un Paese sempre in guerra, interna ed esterna. Gli attentati, che si sono susseguiti numerosi dal 1980, servono per seminare paura in una popolazione molto politicizzata, che viene sottoposta ad una dura repressione. È dal 2019 che Erdogan attacca militarmente i Curdi in Siria, usando come mercenari i miliziani dell’Isis. I generali turchi permettono che vengano compiuti quotidiani crimini di guerra, mentre gran parte del gruppo dirigente dell’Hdp l’opposizione legale democratica è in carcere, accusata di rappresentare, in Parlamento e in centinaia di comuni, con persone elette con alti numeri di voti, la “questione curda”. Che l’autocrazia turca vuole cancellare, cancellando 18 milioni di persone.

Nelle prigioni turche vi sono trecentomila persone; quasi la metà, secondo Amnesty, per motivi politici e reati di opinione. La tortura è, purtroppo, spesso utilizzata negli interrogatori. Con precise documentazioni e riflessioni ne hanno parlato, al convegno, i nostri interlocutori stranieri e Mauro Palma , che è stato commissario europeo per la questione carceraria e che ha visitato tre volte il carcere di estrema sicurezza di Öcalan dove è rinchiuso da 23 anni. Il carcere di Imrali è in un’isola elevata a “zona militare”. Come accennavamo Öcalan può vedere i familiari una volta l’anno. Peggio, nel contesto attuale: dal marzo 2021 è stata permessa solo una telefonata con il fratello. L’ultimo incontro con gli avvocati è avvenuto otto anni fa. La Corte europea per i diritti umani, nel 2014, ha stabilito che non è ammissibile il carcere a vita. Ma nulla accade. Gli avvocati ci hanno chiesto di diffondere anche in Italia, come accade in altri paesi europei, Comitati per la libertà di Öcalan. L’obiettivo strategico del governo turco è di eliminare il Rojava.È un territorio democratico che, per l’autocrazia turca, rappresenta un pericolo doppio: da un lato dimostra la capacità curda nell’amministrazione democratica dei territori; dall’altro, è caratterizzato da leggi democratiche, laiche, multietniche. Erdogan teme uno stato democratico che assurge a modello alternativo per tutto il Medio Oriente. Che fonda sulla convivenza tra popoli.

È molto importante il passaggio, voluto e guidato da Öcalan, dal nazionalismo curdo al confederalismo democratico, che è ideologicamente alla base  del processo rivoluzionario anticapitalista ed antipatriarcale del Rojava. Come afferma Öcalan, la molteplicità etnica e confessionale non deve generare rivendicazioni nazionaliste ma superamento dello stato/nazione e forme di democrazia diretta. Il confederalismo democratico vive nella partecipazione, nell’autorganizzazione. «È uno sforzo storico: l’abolizione del patriarcato e del potere dalla mente dei popoli», come spiega Dilar Dirik, ricercatrice all’Università di Oxford. Questo è il messaggio di pace che Öcalan aveva voluto generosamente portare a Roma e in Europa. Ma l’Europa vigliacca fece prevalere il pensiero unico del mercato, gli accordi commerciali, industriali, militari con il regime turco. E lo consegnò nelle mani dei suoi carcerieri. Noi lottiamo per liberare Öcalan, per liberare la democrazia.

23/11/2023 http://uikionlus.org/

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