L’incertezza e le sue insidie. Pandemia e decisioni razionali

Da quando il mondo è flagellato dalla pandemia di Covid-19 si assiste a un rincorrersi di commenti, suggerimenti e regole spesso contrastanti quando non incomprensibili. Medici e ricercatori – per non dire di livelli diversi di Governo – che esprimono opinioni diverse, in molti casi opposte. Il risultato è che tutti appaiono disorientati, confusi ma anche convinti di poter giustificare qualsiasi comportamento o argomento. Sembriamo incapaci di comportarci razionalmente e di gestire al meglio una simile sciagura sanitaria, economica e sociale.

Quale sarebbe una decisione razionale (non necessariamente unica) in questo flagello? E cosa c’è alla base di tanta varietà di posizioni? Per rispondere forse è utile porre il problema come si farebbe in un contesto di scelta razionale di politica economica. Siamo di fronte a una pluralità di obiettivi (salute, economia e anche libertà), per ipotesi (da verificare, però) tra loro in conflitto. Occorre anzitutto trovare indicatori adeguati a ciascun obiettivo: numero di morti o di contagi da minimizzare? Caduta del PIL da limitare? Ore della giornata in cui si può fare ciò che si vuole? Occorre poi attribuire un peso a ognuno di essi, cioè decidere il loro ‘valore’ relativo –gli economisti parlano di saggio marginale di sostituzione, cioè quanto si è disposti a sacrificare di un obiettivo per averne più di un altro. Siamo, dunque, nel campo delle preferenze che, naturalmente, possono essere molto diverse e quando si tratta di decisioni collettive bisognerebbe fare in modo che esse riflettano quelle dei membri della collettività o, almeno, che chi rappresenta quest’ultima sia accountable per le preferenze che adotta.

Ma oltre alle preferenze occorre conoscere i vincoli, ciò che è concretamente realizzabile. Non a quanto si è disposti a rinunciare in termini di un obiettivo per averne più di un altro ma a quanto si deve rinunciare, date le compatibilità. E qui entra in gioco un aspetto decisivo della pandemia: l’incertezza. Prima di occuparcene conviene richiamare l’attenzione su un punto cruciale: le differenze di opinioni su cosa fare possono dipendere da diversità sia nelle preferenze sia nella valutazione di ciò che è realizzabile. Più esplicitamente: si può divergere perché pur facendo le stesse ipotesi su cosa capita alla salute quando si ‘restringe’ l’economia si attribuisce un peso diverso all’economia rispetto alla salute; oppure perché si assumono costi diversi in termini di salute delle medesime ‘restrizioni’ nell’economia o della libertà. Questa nota si concentra su quest’ultimo problema e intende, da un lato, mettere in guardia contro il pericolo di sottovalutare quelli che possiamo chiamare i costi per la salute e, dall’altro, sollecitare l’utilizzo dei metodi e delle competenze migliori per valutare questi costi e la loro reattività a diverse misure di ‘restrizione’.

Il punto di partenza è che siamo di fronte a un evento dalle potenziali conseguenze catastrofiche mai osservato prima e quindi incerto. Gli esseri umani sono abituati a scommettere ai dadi, al blackjack o al superenalotto, e il gioco d’azzardo è dalla notte dei tempi uno dei nostri passatempi preferiti, senza scomodare Dostoevskij o Landolfi, ma l’incertezza non può essere quantificata con una scommessa perché è caratterizzata da probabilità, appunto, incerte, sfumate e non uniche;  nel caso di eventi estremi, come la pandemia, sono anche molto piccole e a esse possono associarsi eventi dalle conseguenze catastrofiche. Può, dunque, accadere che ci si comporti sulla base di probabilità sottostimate degli eventi estremi e di loro conseguenze negative, altrettanto sottostimate. Questo sembra essere accaduto nella pandemia in corso.

Un confronto con alcune tragiche vicende del passato permette di illustrare il rischio di sottostima. L’ultima grande pandemia, l’Influenza Spagnola (1918-1922), ha causato tra 50 e 100 milioni di morti su una popolazione mondiale di 1.9 miliardi. Il case fatality ratio, il rapporto tra morti e contagiati, fu del 2,5%, lo stesso del Covid-19 a livello mondiale, anche se sull’attendibilità di questo dato si può nutrire qualche dubbio visto che in Europa il valore è di circa il 4%. Poiché la popolazione mondiale oggi sfiora gli 8 miliardi, se quel rapporto non cambia rischiamo più di 200 milioni di morti. Inoltre, sono oltre 53.000 i morti con il Covid-19 in Italia in 9 mesi, sembrano pochi ad alcuni, ma è utile ricordare che nei sei anni (1940-1945) della Seconda Guerra Mondiale i morti civili sono stati 153.000. E in USA muoiono di Covid-19 più di 2000 persone al giorno mentre il numero corrispondente nella Guerra Civile, l’evento più cruento della storia americana, fu 449.

Vi sono poi affermazioni e convinzioni che sembrano basarsi su fragilissime fondamenta e che se sono frutto di bias cognitivi ci vorrebbe poco per correggerli. Molti, inclusi i esperti e medici, sostengono che i decessi attribuiti al Covid-19 sono in realtà dovuti ad altre patologie. Nel rapporto sull’ Andamento della mortalità giornaliera nelle città italiane in relazione all’epidemia di Covid-19 quello relativo al periodo 1 settembre – 3 novembre pubblicato dal Ministero della Salute, si legge che: “l’andamento della mortalità giornaliera negli ultimi cinque anni….evidenzia il forte incremento nella mortalità osservata in concomitanza con la prima fase dell’epidemia di Covid-19, la successiva riduzione che ha riportato la mortalità in linea coi valori di riferimento a fine maggio e il rapido incremento dei decessi nelle ultime settimane… Complessivamente nel mese di ottobre si rileva un incremento di mortalità sia al nord (+22%) che al centro-sud (+23%)”. E c’è da attendersi un’ulteriore crescita del tasso di mortalità.

Un altro esempio è quello di esperti eccessivamente ottimisti che hanno sottostimato le probabilità di una ripresa dell’epidemia. Valga per tutti la ben nota dichiarazione di luglio secondo cui Il virus era clinicamente morto e si sarebbe comportato come i suoi cugini SARS e MERS, prospettandone cioè l’eutanasia.

Per evitare tutto questo occorre una grande massa di informazioni e soprattutto la capacità di combinarle nel modo più appropriato, condizioni che finora non sembrano essere state soddisfatte. Nella prospettiva di raccogliere informazioni può essere utile guardare ai risultati ottenuti dalle diverse strategie di contrasto della pandemia nei termini dei due obiettivi: salute (come numero di morti) e economia (come caduta del PIL).

La tabella che segue presenta le variazioni (negative) del PIL nel secondo trimestre del 2020 e il numero dei decessi per milione di abitanti in tre paesi: Italia, Regno Unito e Spagna.

riduzione del PIL nel secondo trimestremorti per milione di abitanti
Italia-12,4%582
Regno Unito-20,4%704
Spagna-18,5%611

E’ utile guardare anche alle variazioni del PIL nel terzo trimestre:

 crescita del PIL nel terzo trimestre
Italia+16,1%
Regno Unito+15,5%
Spagna+16,7%

E’ interessante esaminare la Svezia, che ha adottato la cosiddetta strategia di herd-immunity  confrontandola  con paesi simili per dimensioni e caratteristiche istituzionali.

riduzione del PIL nel secondo semestremorti per milione di abitanti
Svezia-8,6%574
Norvegia-5,1%60
Danimarca-7,4%106
Finlandia-3,2%48

E’ interessante esaminare la Svezia, che ha adottato la cosiddetta strategia di herd-immunity confrontandola con paesi simili per dimensioni e caratteristiche istituzionali.

Le variazioni del PIL nel terzo trimestre sono state le seguenti:

 crescita del PIL nel terzo semestre
Svezia+4,3%
Norvegia+6,3%
Danimarca+4,9%
Finlandia+2,6%

Come si vede la herd-immunity svedese ha prodotto risultati nettamente peggiori, in termini economici e di di vite umane, rispetto a paesi simili che hanno adottato strategie più conservative nel contrasto alla pandemia.

Pur con tutte le cautele del caso, sembra che la strategia che possiamo chiamare di FINE-TUNING (lockdown totale e riaperture progressive) adottata inizialmente dall’Italia domini sia quella di Stop&GO (chiusure parziali e riaperture) del Regno Unito sia quella intermedia della Spagna. In un quadro di pervasiva incertezza questa informazione può contribuire a migliorare la scelta della best-strategy per il prossimo futuro.Come si vede la herd-immunity svedese ha prodotto risultati nettamente peggiori, in termini economici e di di vite umane, rispetto a paesi simili che hanno adottato strategie più conservative nel contrasto alla pandemia.

Un ulteriore elemento di riflessione viene dalla stima – certamente anch’essa opinabile – dei costi economici totali delle diverse policy in cui andrebbero inclusi oltre alla caduta del PIL anche il valore delle vite umane perse e il global burden disease determinato delle disabilità dei contagiati guariti. Quest’ultimo può essere molto rilevante: secondo un recente studio di Carfì et al. riferito a 1143 malati di Covid-19 a due mesi dalla guarigione, solo il 12,6% non presentava sintomi, il 32% aveva uno o due sintomi, in genere affaticamento e dispnea, mentre il 55,4% accusava almeno tre conseguenze dovute ai danni cellulari permanenti o ai parziali processi di riparazione cellulare. In assenza di valutazioni e stime del valore economico del global burden disease, ci limitiamo al costo economico delle vite umane utilizzando il cosiddetto Valore Statistico della Vita, stimato dall’Istat in 342.000 euro.

costo totale% del PIL
Italia[12,4%PILItaliano+ VSL (582per milione)] = 233,759 mld euro13,07
Regno Unito[20,4%PILRegnoUnito+ VSL (704per milione)] = 567,103 mld euro22,46
Spagna[18,5%PIL Spagna+ VSL (611per milione)= 240,099 mld euro19,29

Questi dati, oltre a confermare il minor costo della strategia di FINE-TUNING, consentono di porre in dubbio l’idea nettamente prevalente che vi sia sempre e comunque un’inevitabile contrapposizione tra salute e economia: meno morti si associano a minor perdita economica complessiva. E questo risultato potrebbe rafforzarsi con l’inclusione del global burden disease.

Il punto più rilevante è che occorre prendere sul serio l’incertezza, non accontentarsi di pezzi di informazione sconnessi e poco significativi. Più in generale occorrono molte buone informazioni e soprattutto competenze in grado di trattarle in modo da presentare nel modo più attendibile i reali trade-off tra obiettivi – i costi reali in termini di salute di restrizioni di varia natura e scegliere anche le politiche ‘migliori’, date le preferenze sugli obiettivi. Ad esempio ci si può chiedere se si sia seguita una procedura di questo tipo quando si è riaperto, considerando la distanza minima di sicurezza di un metro, con una tolleranza del 10%, e indicando l’adozione generalizzata delle mascherine chirurgiche. A Giugno Lancet ha pubblicato un meta-studio di Chu et al. nel quale si evidenziava che la probabilità di non infettarsi più che raddoppia ad ogni metro di distanza e che l’adozione di mascherine FFP2 riduce fino all’85% la probabilità di infettarsi. Quindi, il distanziamento ad almeno due metri e mascherine FFP2 potrebbero rappresentare una possibile best-strategy di contenimento del virus, almeno fino all’introduzione di massa di vaccini efficaci e sicuri. Come dire: una piccola limitazione addizionale della libertà per un probabile grande beneficio in termini di salute e vite umane. E’ stato considerato e scartato per preferenze forti a favore della ‘libertà’ e dell’economia o non è stato neanche considerato?

L’adozione di un sistema multicriteriale di valutazione del rischio può costituire senz’altro un passo in avanti nella direzione della decisione razionale. Ma quello adottato dal nostro paese, con 21 indicatori, solleva più di un dubbio, e si tratta di dubbi veri perché mancano le informazioni per poter esprimere un giudizio più meditato.

A ben guardare (DM 30 aprile) alla base dell’indice di rischiosità ci sono 3 classi di indicatori: di monitoraggio, di accertamento e di trasmissibilità del virus. Alcune questioni cruciali alle quali non è possibile dare risposta per mancanza di conoscenza sono le seguenti: come è stato deciso il peso di ogni classe di indicatori, come il peso di un criterio in ciascuna classe, come è stata trattata l’imprecisione e l’inaccuratezza dei dati e, soprattutto, com’è stata considerata la collinearità (correlazione) della maggior parte dei criteri definiti? Dalle risposte dipende l’affidabilità del sistema. In ogni caso appare certo che non sono state coinvolti ricercatori competenti in scelte multicriteriali che sarebbero indispensabili e che non mancano nel nostro paese. Tanto per non fare nomi, alcune eccellenze a livello internazionale si trovano nell’Università di Catania.

In conclusione, una decisione razionale in questa terribile situazione richiede, anzitutto una valutazione il più possibile corretta dei rischi per la salute. Tale valutazione non potrà essere quella ‘vera’ ex post ma certamente non sarà così lontana dal vero come lo sono le valutazioni parziali e incomplete che hanno finora prevalso. Essa richiede, altresì, di rendere esplicite le preferenze – ed in modo in cui si sono formate – che guidano, assieme alla valutazione del rischio, la scelta delle politiche da adottare. Il beneficio per la vita delle persone, in tutti i suoi aspetti, e anche per la salute delle nostre istituzioni sarebbe di sicuro molto rilevante.

Marcello Basili, Maurizo Franzini

29/11/2020 https://www.eticaeconomia.it

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