L’insabbiamento della Fusione Fredda

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Giuliano Preparata, Emilio Del Giudice

Nonostante sia al centro di certe teorie secondo cui sarebbe pura fantasia, la fusione fredda ha da sempre molto affascinato parte del l’opinione pubblica sensibile all’ecologia e alla teoria quantistica. Di fronte alle nuove evidenze, completamente ignorate o additate dai media e ostacolare dalle lobby tossiche (petrolifera, carbonfossile, della “green economy” o del greenwashing) è giusto raccontare come andò la storia della fusione fredda. A raccontarla in modo appassionante fu il prof. Emilio Del Giudice, ricercatore di fisica teorica dell’INFN al convegno di Nexus qualche anno fa. Prima però facciamo degli accenni storici. Nel 1926 il chimico tedesco Friedrich Paneth pubblicò sull’ “Annuario della Società chimica tedesca” il rendiconto dei suoi primi esperimenti sulla fusione (Recentemente tali studi sono stati ripresi dal prof. Vyaceslav Alekseyev, direttore del Laboratorio sulle Energie Rinnovabili dell’Università di Mosca). Negli anni Trenta, Enrico Fermi intraprese uno studio per creare un generatore artificiale di neutroni. La nota, a firma di Amaldi, Rasetti e Fermi, venne pubblicata su “La Ricerca Scientifica” nel 1937 e dove si dimostrava la possibilità di sfruttare la reazione atomica:

D^2 + D^2 ——-> He^3 + n^1
1 1 2 0

per produrre neutroni necessari per bombardare gli atomi. Per realizzare tale impianto, Fermi ebbe necessità di usare acqua pesante, cioè un bersaglio contenente un’alta percentuale di Deuterio allo stato solido. Visto il notevole sviluppo di calore, si dovette ricorrere all’aria liquida per mantenere a bassissima temperatura il blocco di ghiaccio. Il primo caso di reazione di fusione nucleare fredda che non venne mai proposta e applicata.

Il 23 marzo 1989 è la data storica in cui due coraggiosi ricercatori dell’Università di Salt Lake City (Utah – USA), Martin Fleischmann e Stanley Pons, annunciarono alla stampa di aver trovato un modo molto semplice e poco costoso per produrre energia pulitissima: l’energia derivata dalla fusione di atomi di deuterio (isotopo dell’idrogeno) a bassa temperatura, ovvero l’energia del futuro. La dichiarazione avvenne in un clima internazionale assai sensibile alle proposte di metodi alternativi di produzione energetica, essendo ancora vivo il dibattito sul nucleare, acutizzato sia dal disastro nucleare di Chernobyl del 26 aprile 1986 sia dal disastro ecologico della petroliera Exxon Valdez, avvenuto qualche mese prima.

La pubblicazione su una rivista scientifica avvenne il 10 aprile 1989 con un breve articolo scritto per il Journal of Electroanalytical Chemistry. L’articolo, a giudizio di molti esponenti del mondo scientifico, era stato scritto in modo affrettato, incompleto e conteneva alcuni errori sostanziali sulla misura dell’emissione di raggi gamma.
Fleischmann e Pons spiegarono che non si trattava di errori, ma vennero ugualmente accusati di essere degli “pseudoscienziati”.

A differenza della tecnica studiata e portata avanti da circa 40 anni per attuare la fusione calda degli atomi di idrogeno, sfruttando enormi macchine capaci di far arrivare la temperatura interna anche a centinaia di milioni di gradi, la fusione fredda proposta da Fleischmann e Pons si basava sul principio dell’elettrolisi e sfrutta un’apparecchiatura semplicissima. Facendo passare elettricità tra due elettrodi, uno di palladio e l’altro di platino, immersi in acqua pesante D2 0 (D è il simbolo del Deuterio) si può produrre una quantità di energia molto superiore a quella immessa. Secondo quanto sinora accertato, nel reticolo cristallino del Palladio si crea una forma di fusione, ancora misteriosa, tra i nuclei di deuterio.

Negli ultimi anni poi sono state sviluppate nuove tecniche che in verità hanno maggiormente aumentato il mistero, come l’uso di particolari accorgimenti sugli elettrodi soprattutto l’uso di acqua normale del rubinetto. Infatti, al Congresso di Nagoya (Giappone) del 1992, si sostenne che si doveva aprire un nuovo capitolo nella storia della fisica e cioè la nascita della “fisica nucleare dello stato solido”. In questa occasione un medico della Pennsylvania (USA) e Presidente della Hydrocatalysis Power, Randell Mills, annunciò di essere riuscito ad ottenere, con acqua normale, risultati ancora migliori di quelli fino ad allora conseguiti e cioè una reazione con un rendimento del 900%.

Da quel momento centinaia e centinaia di ricercatori si sono costantemente impegnati, nonostante le notevoli avversità, per portare avanti uno dei migliori sistemi per produrre energia pulita. 

Eppure all’epoca di Pons e Fleischmann, la stampa e le riviste specializzate rivolsero pesanti critiche alla fusione fredda. Il risultato fu che, dopo il terremoto scatenato dall’entusiasmo per l’annuncio rivoluzionario, seguì un crescente scetticismo, sconfinato in precise minacce per i due ricercatori. Fleischmann e Pons vennero derisi dai fisici teorici della comunità internazionale, primo tra tutti Carlo Rubbia, perché il processo non produceva l’emissione di particelle previste dalla fisica teorica classica, ovvero reazione tra neutroni, emessi dalla fusione di 2 atomi di deuterio, e isotopo dell’idrogeno.
Essi scomparvero per alcuni mesi, fino a quando approdarono a Nizza. Nel 1992, arrivati in Francia, iniziarono a lavorare per il loro progetto in un laboratorio privato finanziato con 9 milioni di dollari dalla IMRA Europe S.A., impresa affiliata alla giapponese Toyota. La coppia si separò nel 1995 e Fleischmann ritornò a Southampton sino al 1999 e nel 2006 iniziò a lavorare per la D2Fusion, quando nel 2012 morì all’età di 85 anni. Secondo un comunicato del dipartimento di chimica dell’Università dello Utah, dal 2000 Pons non svolge più ricerche in Francia.

Nonostante i due scienziati disponessero di risultati ben documentati, successivamente riprodotti in più di 200 laboratori sparsi in tutto il mondo, si innescò una inconcepibile serie di polemiche ed una campagna mediatica di disprezzo. In particolare, venne imbastita dai loro colleghi, studiosi della fusione calda, così denominata perché necessita di milioni di gradi di temperatura ed inoltre di ingenti risorse economiche. 

La fusione fredda non andava bene a molti e purtroppo, nel nostro mondo, la ricerca scientifica dipende da finanziamenti, spesso industriali, e quindi dall’accumulo capitalistico. Eppure, nella titanica lotta di interessi di ogni tipo, il movimento scientifico scaturito dalla fusione fredda è ancora vivo e i risultati raggiunti sono da tenere veramente nella più alta considerazione anche se il modo di produrre energia con metodi tossici o impattanti sull’ambiente hanno sempre avuto il sopravvento.

Naturalmente anche in Italia venne ripreso l’esperimento della fusione fredda. Tra i ricercatori italiani dobbiamo citare, senza dubbio, il Professor Emilio Del Giudice e il Professor Giuliano Preparata che nel giro di pochi anni riuscirono a riprodurre le condizioni dell’esperimento originale dei due scopritori. Giuliano Preparata fu uno dei più evoluti teorici della fisica mondiale che perse il Nobel per la Fisica in “elettrodinamica quantistica”, a causa di questo suo sconveniente interesse. Fu lo stesso Preparata a denunciarne con forza la pericolosa situazione di insabbiamento ed in particolar modo l'”intrappolamento” dell’ingegno di Fleischmann e Pons: “Il fatto che la fusione a freddo sia una small science, e quindi difficile da governare da parte delle oligarchie scientifiche e finanziarie, ne ha permesso, nonostante tutto, la crescita a tal punto che oramai mi sembra molto improbabile che essa scompaia nel nulla, senza portare a maturazione nel giro di qualche anno le idee che ne permettono lo sfruttamento industriale su larga scala“.

Preparata e Del Giudice dimostrarono il fenomeno della fusione fredda e anche un nuovo modello teorico che dava spiegazione dei fenomeni misteriosi che fino a 30 anni fa non erano comprensibili con la “teoria delle forze nucleari”.  Se prima si pensava che l’unico modo per fare avvicinare 2 protoni – tanto da vincere la repulsione elettromagnetica e fare agire il campo delle forze nucleari che innescano la fusione, con produzione di una quantità enorme di energia – fosse il metodo dell’acceleratore, che lavora a 100 milioni di °C (ben inteso nel nostro sole la temperatura è 2 milioni di °C !), grazie a queste ricerche svolte dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dall’Agenzia ENEA si scoprì come fosse possibile ottenere la fusione a temperatura ambiente. Dimostrarono che il palladio, un metallo dalle peculiari caratteristiche, poteva essere caricato con idrogeno gassoso fino ad un limite di saturazione prestabilito, oltre il quale si rileva una produzione di energia in eccesso tipica di una reazione nucleare.

Il loro esperimento confermò che dentro al cristallo di palladio le molecole di idrogeno, in quelle particolari condizioni di “saturazione”, si comportavano similmente ad una struttura solida e, avvicinandosi molto, grazie ad una provvidenziale “buca di potenziale”, producevano una particolare fusione, senza emissioni radioattive, con produzione di elio (misurato nell’esperimento) e di un eccesso di energia mai visto fino all’epoca in una reazione di 2 ordini di grandezza superiore all’energia in entrata, necessaria a preparare le condizioni della reazione. Grazie a questa scoperta si produce anche la fissione del palladio.

Perché è una scoperta ecologica? Grazie a questa scoperta, un generatore è in grado praticamente di produrre energia illimitata e a costi contenutissimi.
L’unico problema da risolvere è l’intercettazione opportuna del surplus di energia. Nonostante questa pazzesca rivoluzione, Del Giudice e Preparata non riuscirono a farsi pubblicare la ricerca da nessuna rivista scientifica. La rivista Science, secondo le indiscrezioni, rifiutò di pubblicarlo perché “l’argomento è troppo tecnico”.

Tra i tentativi più recenti, nel maggio 2008, il fisico giapponese Yoshiaki Arata insieme alla collega Yue-Chang Zhang, ha mostrato pubblicamente all’Università di Osaka un reattore funzionante con pochi grammi di palladio. In un apposito contenitore a pressione, posto all’interno di un calorimetro e collegato, per mezzo di una tubazione, ad uno spettrometro di massa ad altissima risoluzione (Necessario per dimostrare la presenza di 4He (Elio 4), come eventuale residuo della reazione di fusione), i due fisici

giapponesi hanno inserito 7 grammi di nano-particelle di palladio disperse in una matrice di ossido di zirconio appositamente preparate dal laboratorio di Arata.
Nella prima fase del test, in tale recipiente, è stato inserito idrogeno a 50 atmosfere, generando così un breve picco termico dovuto alla idratazione delle stesse, seguito poi da un lento raffreddamento, dimostrando così che in tale situazione non vi è ne’ emissione di calore, ne’ presenza di 4He. Il recipiente è stato poi svuotato, degasato e nuovamente riempito, ma questa volta con deuterio a 50 atmosfere. A questo punto vi è stato di nuovo il picco termico dovuto alla idratazione (il deuterio, essendo un isotopo dell’idrogeno, si comporta chimicamente allo stesso modo), ma questa volta il calore, non è andato via via scemando, ma è continuato in modo costante, tanto da permettere il funzionamento di un motore termico al ciclo di Stirling. Il funzionamento è proseguito per diverso tempo, in modo da poter accumulare nel sistema una sufficiente quantità di elio, successivamente è stata fatta una nuova misura del gas presente nel contenitore e questa volta, lo spettrometro di massa, ha rilevato nettamente la presenza di elio mescolato con deuterio, segno evidente che il calore prodotto era dovuto ad una reazione termonucleare. Durante la reazione, gli appositi rilevatori di radiazioni, non hanno rilevato nessuna emissione radioattiva. Arata, ha fatto notare, durante la conferenza che aveva preceduto l’esperimento, che tale esperimento prova in modo assolutamente evidente la capacità di produzione di discrete quantità di calore attraverso una reazione di fusione fredda. Al termine dell’esperimento i presenti hanno voluto nominare tale fenomeno con il nome di Arata Phenomena.

Anche in questo caso l’esperimento non è stato ripetuto e non ha avuto una pubblicazione scientifica.

Quali sono i motivi economici alla base del boicottaggio di una tecnologia quasi “free-energy”? Del Giudice formulò un’ipotesi molto interessante raccontando quando venne commissionato a Fleischmann uno studio dalla Marina Militare Inglese per indagare sui metalli più idonei ad immagazzinare l’idrogeno. I migliori risultarono essere il palladio e l’uranio. Fleischmann ovviamente sperimentò sul palladio, la cui fissione non produce danni, ma qualcuno era più interessato all’uranio. Il problema è che se la matrice solida in cui avviene la fusione è l’uranio, si innescherebbe la fissione, e quindi una esplosione atomica, anche con quantità molto inferiori alla necessaria “massa critica” (qualche kg), date le nuove sorprendenti condizioni di reazione. Si possono così fare esplodere delle micro-bombe atomiche di potenza controllata capaci di abbattere un singolo palazzo invece di una città intera.
Secondo Del Giudice fu così che venne trovato un modo per utilizzare tutto quell’Uranio che giace inutilizzato nelle testate tattiche (a meno di non scatenare la guerra termonucleare globale, s’intende), che con il disarmo andrebbe smantellato.

Se consideriamo i proiettili rivestiti con quello che ci viene venduto come “uranio impoverito”, o le foto dei carri armati iracheni distrutti nella Guerra del Golfo, si trova: un foro di entrata, una carcassa di acciaio fusa dal calore e i cadaveri dei soldati irradiati da una esplosione fortissima e localizzate di raggi gamma. Non ci sarebbe niente di più facile, sosteneva Del Giudice, nel rivestire un proiettile di cannone o un missile con un strato di uranio caricato da idrogeno fino quasi al limite critico. L’impatto con il bersaglio e la sovrapressione sarebbero sufficienti a innescare la fusione fredda e la conseguente fissione dell’uranio, con annessa esplosione atomica. 

Ed ecco come la fonte ideale di energia pulita per tutta l’umanità potrebbe essere usata come spoletta per l’innesco di una bombetta atomica se, al posto del palladio, venisse usato l’uranio. Inoltre spot di altissima radioattività localizzati nei campi di battaglia sono la spiegazione ideale per i sintomi della sindrome del Golfo e quella dei Balcani: la prima riscontrata esclusivamente tra i soldati anglo-americani (i primi a raggiungere le zone bombardate durante le operazioni in Iraq), la seconda invece osservata solo su italiani e tedeschi, a cui sono state destinate le zone bombardate in Bosnia e Kosovo dal vertice NATO, dopo aver fatto l’esperienza nel Golfo.

A tal proposito è interessante la dichiarazione che fece il biochimico fiorentino Gianfranco Valsé Pantellini, fondatore del Metodo Pantellini: “Mendeleev ha parlato di elementi leggeri, elementi medi e elementi pesanti. Tutta la fisica atomica attuale è basata sull’uso di elementi pesanti. Però il fondamento della FISICA ATOMICA della NATURA, il meccanismo base che consente lo scorrere della vita è dato proprio dagli elementi leggeri e dalla loro suscettibilità di trasmutare a bassa energia”.

La fusione fredda, che avviene con la fusione di atomi leggeri, viene ancora oggi studiata in molte parti del mondo e fa emergere ipotesi e speranze per la risoluzione dei problemi energetici ed ecologici del Pianeta Terra.

Lorenzo Poli

Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

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