Liste d’attesa, sportelli sanità e referendum contro l’intramonenia

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Perché è urgente fare un referendum abrogativo

L’istituzione dell’intramenia nella sanità italiana è stata una delle riforme più significative nel settore, introdotta con la legge 502 del 1992 durante il governo di Giuliano Amato. Per comprendere meglio la storia e l’evoluzione di questo concetto, è utile considerare il contesto in cui è nata e come si è evoluta nel tempo. 

Negli anni ’80 e ’90, il sistema sanitario italiano mostra un contesto in crisi . caratterizzato da inefficienze, lunghe liste d’attesa, carenza di risorse e una crescente domanda di servizi da parte della popolazione. L’introduzione dell’intramenia è stata vista come un tentativo di migliorare l’accesso ai servizi sanitari, riducendo i tempi di attesa e aumentando l’efficienza complessiva del sistema, in particolare a metà anni 90 il ministro Rosi Bindi ne fa una articolazione che nell’intenzione doveva spingere alla riduzione significativa dei tempi di attesa nelle prestazioni sanitarie, l’evoluzione e i continui tagli di finanziamento nel tempo successivo hanno in realtà prodotto l’esatto contrario, tanto che la stessa Bindi, recentemente ha fatto una autocritica.  

L’intramenia può essere definita come l’insieme di attività e prestazioni sanitarie erogate all’interno di una struttura ospedaliera pubblica (utilizzando luogo, personale e attrezzature) o privata accreditata (extramenia), che oggi toccano anche i livelli essenziali di assistenza (LEA) definiti a livello nazionale, ma che sono erogate a discrezione della struttura sulla base delle proprie risorse e organizzazione sanitaria. Ciò determina, anche in relazione alla quota, in genere il 30%, incamerato dalla ASL o Azienda ospedaliera, l’innesco di un sistema che spinge ad erogare prestazioni sanitarie “privatamente” dove alla fine l’uso di tale pratica non solo autofinanzia le strutture che le applicano ma incidono politicamente ed economicamente anche sul personale che eroga le prestazioni, da un lato facendo esplodere la contraddizione di un dipendente pubblico che opera in regime di concorrenza con la struttura che gli paga lo stipendio, dall’altro con l’esternalizzazione delle prestazioni si va a sostituire la carenza di personale surrogandone la necessità e le risorse al privato, indebolendo sempre più il criterio universalistico e di uguaglianza del diritto alla salute. 

Con la legge 229/1999 e una serie successiva di accordi in sede di Conferenza Stato Regioni si è arrivati a oggi in cui  l’intramenia non solo è una realtà consolidata nel panorama sanitario italiano ma è, a mio avviso, lo strumento cardine dello smantellamento del sistema pubblico, il cavallo di Troia che libera e sposta risorse pubbliche al privato determinando un modello organizzativo che risponde solo ad una logica economicista e non al diritto alla salute. Oramai le strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate erogano una vasta gamma di servizi di intramenia, che vanno dalla riabilitazione post-operatoria, ai servizi di diagnosi avanzata, alla cura dei malati cronici e molto altro, si arriva addirittura al paradosso che gli stessi CUP propongono ai cittadini “clienti” l’uso delle prestazioni in intramenia per superare le liste di attesa, che appunto il sistema organizzativo crea appositamente per “spingere” a prestazioni private.  

Proviamo a capirci con qualche numero che semplifico per chiarire il concetto : un medico ospedaliero che percepisce uno stipendio di 60.000 € annuali ed esercita la professione anche in intramenia fattura in attività libero professionale altri 500.000 euro. Di questo fatturato il 30% va alla ASL o all’azienda ospedaliera che quindi incamera 150.000 € ossia non solo copre abbondantemente il costo dello stipendio annuale del medico ma incamera risorse ben superiori che potremmo definire profitto puro. In tale contesto i manager sanitari, il cui scopo è esclusivamente economicista, perchè mai dovrebbero internalizzare prestazioni che al contrario diventano così redditizie? Anzi, in questa logica conviene allargare l’intramenia e se possibile contrattualizzare il medico a “gettone”, dove, il medico guadagna molto di più dello stipendio annuale, ma la ASL o Azienda Ospedaliera può risparmiare sulla copertura complessiva dello stipendio gravato di oneri e contributi, implementando il “profitto” da iscrivere a bilancio.  

In questa logica si fa carne da macello del diritto alla salute e si impedisce l’universalità del servizio sanitario.  

Si crea un accesso differenziato: 

Le prestazioni di intramenia sono a pagamento, sia in strutture private accreditate, che in quelle pubbliche. Questo crea un accesso differenziato ai servizi sanitari in base alla capacità economica dei cittadini, le persone con redditi più bassi non possono accedere a queste prestazioni non essendo in grado di permettersi i costi aggiuntivi dell’intramenia. Questo porta a una situazione in cui l’accesso ai servizi dipende dal portafoglio finanziario anziché dal bisogno di salute, portando sempre più persone a rinunciare alle cure. 

Come già detto l’idea economicista spinge le aziende a gonfiare le liste di attesa e in molti casi addirittura a chiudere le agende di prenotazione. In questo modo si “costringe” le persone, spesso in ansia alla ricerca della causa della patologia insorta, o per la cura da praticare, a ricorrere alla prestazione privata, a volte rinunciando ad altri beni essenziali o addirittura ad indebitarsi. Una diseguaglianza incostituzionale perchè selettiva per reddito.  

Anche la qualità dei servizi potrebbe variare tra quelli offerti dal sistema pubblico e quelli a pagamento nell’intramenia. Chi può pagare potrebbe avere accesso a servizi più sofisticati e di alta qualità, mentre in determinate organizzazioni sanitarie spregiudicate si possono manifestare negazioni ad accessi complessi perchè troppo costosi.  

Inoltre le politiche di riduzione di posti letto e la chiusura di reparti ospedalieri o addirittura di ospedali, diversifica per territorio e aggregazioni urbane l’accesso alle prestazioni pubbliche costringendo le persone a spostamenti di molti KM, anche in questi casi non sempre i cittadini sono nelle condizioni di ottenere le prestazioni sanitarie necessarie, si arriva al paradosso che persino la stessa intramenia/extramenia esercitata in strutture attrezzate non sia presente in aree territoriali molto ampie, creando una ulteriore diversificazione di accesso .  

L’articolo 32 della Costituzione italiana stabilisce il principio che la salute è un diritto fondamentale del cittadino e un interesse della collettività. L’intramenia a pagamento come già detto rappresenta la negazione dell’uguaglianza di accesso e quindi è una violazione di questo principio costituzionale. Si acuisce quindi un divario socioeconomico tra coloro che pagando avranno diritto all’accesso per tempo e con alta qualità, mentre coloro che non possono o aspettano tempi assurdi o rinunciano a curarsi. 

Vero è che esistono norme che “obbligano” sulla base dell’urgenza ad erogare prestazioni sanitarie pubbliche in tempi brevi, ma tali norme vengono ignorate, in virtù della logica privatistica, dalle ASL e Aziende Ospedaliere a meno che il cittadino non ne rivendichi esplicitamente l’applicazione ossia deve chiedere, ciò che in realtà sarebbe un suo diritto ricevere.  

L’intramenia è quindi un cardine imprescindibile di un processo di privatizzazione che sta oramai raggiungendo un punto di non ritorno.  

Per queste ragioni ritengo che l’abrogazione dell’intramenia sarebbe una rottura fondamentale al percorso di privatizzazione, costringendo tutti a partire dalla politica, a misurarsi con la piena attuazione del testo della Costituzione, costringerebbe a rivedere completamente i modelli organizzativi delle prestazioni sanitarie, non più in una logica di costruzione del profitto ma di tutela del diritto alla salute, quindi a rivedere le politiche sul personale adeguando le piante organiche e rivedendo in modo dignitoso i salari degli operatori sanitari, medici, infermieri e tecnici.  

Ma l’abrogazione dell’itramenia non potrà avvenire in questo Parlamento composto da forze politiche quasi totalmente liberiste e continuamente pizzicate in aperte e palesi violazione dei principi della Carta Costituzionale. Occorre una battaglia politica dal basso attraverso lo strumento referendario, che inoltre darebbe modo di portare al centro del dibattito lo scempio della privatizzazione del diritto alla salute riponendo inoltre il tema della lotta di classe nuovamente sul terreno giusto, quello della lotta dal basso verso l’alto e non come accade oggi dall’alto verso il basso. Un atto di rottura politica che necessita di coraggio, di costruzione di alleanze, di riposizionamento della partecipazione. 

Una lotta difficile, ma credo indispensabile alla rinascita della stessa speranza di cambiamento, il referendum per abrogare l’intramenia è la “mossa” del cavallo che può sbaragliare e interrompere la fine del sistema sanitario universale del diritto alla salute.  

Lavorare a questo referendum credo sia una priorità politica non rinviabile. 

Marco Nesci  

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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