Lo sbocco di un accordo: licenziamenti

Ha vinto Confindustria e ha vinto a mani basse. Inutile prendersi in giro, anche perché, di qui a breve, a centinaia di migliaia avranno poco di cui rallegrarsi dell’intesa raggiunta che conferma lo sblocco dei licenziamenti.

Sì, l’accordo conferma lo sblocco dei licenziamenti, ma con una raccomandazione: usare la Cig, gratuita per le imprese e a totale carico dello Stato, prima di mettere in strada i lavoratori. Anzi meno: perché quella raccomandazione, che per sua natura non è vincolante, non è nemmeno assunta immediatamente dalle parti che invece si “impegnano a raccomandare”. Sarebbe ridicolo se non fosse drammatico e grottesco.

D’altronde a qualcosa del genere avevamo già assistito quando il protocollo condiviso per arginare la diffusione del contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro conteneva solo raccomandazioni e possibilità per le imprese. Sappiamo com’è andata, con aziende che distribuivano pezzi di stoffa al posto di mascherine e misure di prevenzione spesso inadeguate. Il prezzo lo hanno pagato i lavoratori, costretti a lavorare nonostante i rischi, con la mancetta ignobile e paternalista di 100 € in busta paga e portandosi a casa un virus che ha fatto riempire reparti di terapia intensiva e bare, mentre migliaia di aziende approfittavano anche in maniera fraudolenta della Cig.

Ora che il peggio sembrerebbe passato, quelli che durante i picchi della pandemia erano “necessari allo sforzo produttivo” e pure se morivano “pazienza”, diventano gli esuberi di cui sbarazzarsi per far ripartire un nuovo ciclo di accumulazione dei profitti. La nuova fase del governo della crisi non cambia di una virgola rispetto a quella precedente, essendo, di fatto, tutta in mano al padronato con la sua espressione politica nel governo Draghi ammantato della necessità di perseguire un fantomatico interesse superiore e generale.

I rapporti di forza completamente sbilanciati a favore della parte datoriale e la debolezza di un sindacato che ha scelto la concertazione come modello privilegiato e ormai quasi esclusivo di regolazione del conflitto tra capitale e lavoro sono il sottotesto degli accordi, fino a quest’ultimo sui licenziamenti, che hanno normalizzato la fase pandemica nel senso del congelamento del conflitto per appiattirlo sulla retorica di un interesse neutro e generale che in realtà favorisce i più forti.

Non so fino a che punto precipiteremo verso il baratro. Posso però immaginare che una ripresa del conflitto non sarà cosa facile, dopo anni di assuefazione al meno peggio sia da parte politica che sindacale; dopo anni di realismo politico e sindacale che privano la classe lavoratrice di ogni spinta progressiva; dopo anni di scarsa elaborazione programmatica e di proposte di ampio respiro capaci di spingere la palla nel campo avversario, di passare al contrattacco.

Con lo sblocco dei licenziamenti, con i lavoratori ancora più indeboliti e sostituibili con altri più ricattabili, tutto sarà ancora più complicato e lo sarà immediatamente per centinaia di migliaia di persone che vivono di lavoro e che rischiano, ora più di ieri, di essere inghiottiti in una condizione di povertà in cui già si trovano 5 milioni di lavoratori, aumentati di 1,5 milioni durante la pandemia mentre i più ricchi hanno continuato ad arricchirsi.

Rincuorano risultati positivi come quello dei giorni scorsi con la Lidl dopo l’ignobile omicidio di Adil Belalkhdim e la lotta determinata del Si.Cobas; o lotte come quelle dei portuali, che hanno un respiro largo, ben oltre i tempi e i luoghi che direttamente li riguardano.

Fiammelle che tengono acceso l’ottimismo della volontà e fanno un po’ di luce sull’unica possibilità che i lavoratori hanno per riconquistarsi un futuro: la lotta.

Carmine Tomeo

1/7/2021

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