L’ultima cartuccia

Amy Klobuchar  fa parte del primo gruppo di soccorso, quello attivato nelle 72 ore precedenti il 3 marzo, quando la chiamata a sorpresa di Barack Obama ha «convinto» a interrompere la corsa presidenziale sia lei sia Pete Buttigieg, che fino al giorno prima pensava di essere diventato il cavallo vincente del partito. 

Per il tentativo della resurrezione di Joe Biden, recuperato come ultima spiaggia per salvare lo status quo dall’attacco dall’eroe solitario Bernie Sanders che con il suo esercito di «rivoluzionari» era ormai dato per vincente, il neo-dottor Frankenstein aveva anche chiamato all’ordine un altro ex-aspirante presidente della nutrita schiera dei finti progressisti, il texano Beto O’Rourke che poteva essere utile per strappare a Sanders la prevista vittoria in Texas, cosa puntualmente avvenuta. 

Da quel supermartedì in poi, il puntello a Joe Biden si è via via arricchito di quasi tutti gli altri protagonisti della scena elettorale, in un coacervo di centristi effettivi, di ex-millantatori del progressismo sandersiano, del repubblicano Mike Bloomberg e purtroppo anche di Andrew Yang e Tulsi Gabbard, i due personaggi anti-establishment che nel 2016 avevano sostenuto Sanders. Uniche astensioni tra i candidati restati in lizza fino al penultimo dibattito, Elizabeth Warren, che comunque si è rifiutata di appoggiare Bernie, e Tom Steyer.

La catena di avvenimenti che ha fatto seguito a quell’iniziale colpo di teatro vincente ha avuto ripercussioni negative su Sanders anche nei due supermartedì del 10 e del 17 marzo. Complice, manco a dirlo, una propaganda sempre più battente sulla eleggibilità di Joe Biden, venduto, dopo la resurrezione, come l’unico in grado di battere Trump. E ciò a dispetto della mancanza di lucidità mentale di cui Biden aveva continuamente dato segno e che alcuni suoi ex rivali, di punto in bianco diventati sostenitori, avevano persino sottolineato con una crudezza priva di qualunque compassione umana. Quanto a Bernie Sanders, lui stesso ha dichiarato come diversi suoi sostenitori gli abbiano confessato che, pur credendo nelle sue politiche progressiste a partire dal Medicare for All, avevano deciso di votare per Biden per riuscire a sconfiggere Trump. 

Il «momentum» di Joe Biden

Quanto alle primarie del 17 marzo, il loro svolgimento è stato non solo vergognoso, ma criminale. Nonostante nella settimana tra il 10 e il 17 si siano susseguiti freneticamente parecchi di quei provvedimenti ignorati fino alla settimana precedente, come la chiusure di scuole, musei, palestre, palazzetti dello sport, l’attivazione del lavoro da casa e via di seguito, e nonostante non solo il Cdc (il Comitato per il controllo e la prevenzione delle malattie) avesse diramato precise linee guida ma perfino il presidente Trump avesse ammonito di sospendere riunioni che superassero le dieci persone, dei quattro Stati chiamati a esprimersi solo l’Ohio ha sospeso le elezioni. Lo ha fatto  grazie alla determinazione del governatore repubblicano Mike DeWine, che ha rimandato il cosiddetto «in-person ballott» fino al 2 giugno, consentendo contemporaneamente il voto per posta. 

Sebbene sollecitati a fare la stessa cosa da migliaia e migliaia di telefonate di persone desiderose di partecipare al processo elettorale ma preoccupate per la loro incolumità, Illinois, Arizona e Florida hanno invece proceduto come niente fosse, facendo prevalere la ragione di Stato, ossia l’imperativo categorico di non interrompere il momento favorevole di Biden. Non si poteva rischiare il rinvio di quelle elezioni che, per quanto caratterizzate da una forte astensione, avrebbero giustificato il suggello alla nomina di Biden, cosa che peraltro molti già invocavano dopo il primo supemartedì. C’era il rischio che la gente potesse riaprire gli occhi dopo il lavaggio del cervello per tornare a sostenere Sanders, che nel frattempo aveva cominciato a occuparsi concretamente del problema del Coronavirus. E l’aveva fatto prima di Trump, prima di Biden e prima di colui che ora sta emergendo come l’eroe nazionale della guerra al contagio, il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo.

Il fatto è che quelle primarie incredibili, che tutte le persone ragionevoli immaginavano che sarebbero state sospese in extremis il 17 mattina, saranno responsabili di un aumento dei contagi. Ma l’establishment democratico riuscirà comunque a mascherarli, facendo quanto in suo potere per rimuovere dalla memoria collettiva, per esempio, il fatto che il presidente del Dnc Tom Perez avesse dichiarato che le elezioni si potevano svolgere in tutta tranquillità per i provvedimenti precauzionali presi, cosa assolutamente falsa come molti video e testimonianze hanno poi dimostrato. O come il fatto che perfino Joe Biden, nel giorno precedente le elezioni, aveva invaso l’etere di annunci pubblicitari che invitavano chiunque stesse bene ad andare al voto. 

Non per niente il processo di riscrittura della storia si è messo in moto fin dalla stessa notte delle elezioni, per confondere le idee, per rinforzare la percezione che tutte le responsabilità della diffusione del Coronavirus fossero di Donald Trump, e per far dimenticare a tutti coloro che si fidano più delle notizie della televisione che della propria memoria la triste storia di quel supermartedì 17 marzo. Un punto davvero infimo è stato toccato nella performance piena di pathos e «amore per il prossimo» di Don Lemon, rassicurante volto del gotha della Cnn, alcune ore dopo la chiusura dei seggi. Mentre lui, sfoderando tutti gli artifici tecnici del più banale corso di recitazione, pontificava sulle colpe di Trump e sull’oggettività e non politicizzazione della Cnn, in sovrimpressione scorrevano gli aggiornamenti delle elezioni, che mostravano la vittoria di Biden e la sconfitta di Sanders. La riscrittura della storia, ipotizzata da Orwell almeno a distanza di qualche giorno, veniva operata nel momento stesso in cui la storia veniva comunicata. 

Il protocollo di Sanders per l’emergenza Covid 19

Quanto a Bernie Sanders, l’8 marzo aveva proposto un protocollo per l’emergenza Covid 19 con la descrizione dettagliata di tutti i provvedimenti sanitari ed economici da prendere, protocollo talmente esaustivo anche relativamente a tutte quelle categorie di persone da non lasciare indietro che potrebbe fare da punto di riferimento non solo per gli Stati uniti ma anche per l’Italia e per molti altri paesi dell’Europa e del mondo. 

Nello stesso giorno Bernie aveva anche indetto la prima delle diverse tavole rotonde tenute sul tema, con scienziati, medici e autorità sanitarie e politiche per affrontare in maniera competente la situazione e per restare continuamente aggiornati sugli sviluppi al fine di modificare le strategie di intervento. Insomma, come si suol dire, fatti non parole. Quando Bernie ha proprosto il suo piano per l’emergenza Coronavirus, erano i giorni in cui Trump stava ancora sottovalutando il problema, Biden ancora non vi aveva fatto cenno e Cuomo stava temporeggiando rispetto a quei provvedimenti che, soprattutto a partire dalla metà di marzo in poi, avrebbe preso sempre più concretamente, diventando agli occhi del pubblico televisivo di tutta la nazione, il leader carismatico, paterno, autorevole e affidabile da contrapporre all’inadeguatezza di Trump.

Da quell’8 di marzo in poi Sanders ha fatto sentire la sua voce quotidianamente, ha organizzato incontri e convegni telematici sull’emergenza, ha inviato agli iscritti della sua immensa mailing list la richiesta di non effettuare donazioni a lui ma ad alcune organizzazioni in grado di aiutare molte persone nei più vari modi. Ma i media mainstream continuano a ignorare questo suo attivismo, nonostante l’esito di quella richiesta di fondi si sia già trasformata in più due milioni di dollari, raccolti in sole 48 ore, andati a enti benefici e nonostante nei suoi ripetuti eventi in streaming (tra i tanti citiamo quello con Neil Yang e quello con Alexandria Ocasio Cortez, Ilhan Omar e Rashida Tlaib) Sanders ribadisca o introduca, a seconda delle contingenze sempre nuove, le cose più urgenti da fare immediatamente, come ad esempio la riconversione di alcune industrie nella produzione di tutti gli strumenti medici e sanitari per pazienti e personale ospedaliero, i piani di intervento a sostegno di ogni cittadino con 2.000 dollari mensili, la gratuità di tutte le cure per tutti, l’assoluta contrarietà, manifestata anche nel suo lavoro in Senato, all’attribuzione di miliardi di dollari a tutte quelle corporation i cui lobbisti si sono messi in fila e che Trump sta per accontentare.

Biden scompare, si fa strada Cuomo

Il fatto è che per l’informazione mainstream Sanders esiste solo in qualità di candidato presidenziale che ostinatamente non si rassegna a riconoscere la vittoria di Biden e minaccia l’unità del partito facendo il gioco di Trump. E tutto ciò mentre Joe Biden è latitante da diversi giorni, dopo l’ultima apparizione video fatta il 18 marzo. 

Solo due giorni fa è riapparso in un discorso che non riusciva a leggere bene dal teleprompter, tanto che la sua mano, visibile a tutti gli spettatori, sollecitava di alzarlo. Ora Biden ha comunicato che in quei giorni lui e il suo staff stavano organizzando le attrezzature tecniche per i suoi comunicati da casa, evidentemente con scarso successo. Come se ciò potesse giustificare l’assenza di un intervento, per lo meno telefonico, del presunto candidato alla presidenza, di colui cioè che a tutti gli effetti dovrebbe essere il leader democratico capace di mandare a casa Donald Trump, che invece dalla Casa Bianca comunica dal vivo tutti i sacrosanti giorni.

Nell’alternarsi dei suoi comunicati come sempre pieni menzogne, Trump è stato per alcuni giorni da più parti apprezzato per alcune promesse sanitarie ed economiche che lo collocavano molto più a sinistra del Partito democratico, promesse che gli hanno consentito di salire di diversi punti nei sondaggi.

Ciò che comunque emerge come dato di realtà, in questa situazione che cambia di giorno in giorno, è la costante attenzione da parte dei media mainstream verso Andrew Cuomo, sempre più considerato come la figura in grado di prendere in mano la situazione nazionale.

Da una decina di giorni a questa parte la conferenza stampa che Cuomo ha cominciato a tenere quotidianamente, e che finisce poco prima dell’inizio della conferenza di Trump, viene trasmessa in diretta sulla Cnn, con le innumerevoli ricadute mediatiche in termini di servizi e articoli che poi l’informazione tradizionale riprende in tutte le salse, mostrando dunque la figura da leader del governatore. Sebbene i punti sollevati da Cuomo, e inseriti nel recente piano che il governatore ha chiamato Matilda’s Law in onore di sua madre, siano molto simili a quelli di Bernie Sanders, il nome di senatore del Vermont non si sente mai.  

Eppure il suo protocollo Sanders l’ha scritto quando Cuomo pubblicizzava detergenti sanitari dal buon profumo di bouquet di fiori, come principale rimedio preso per la protezione dei cittadini dello Stato di New York.

Poiché comunque è indubbio che i successivi interventi concreti di Cuomo, i moniti continuamente rivolti a Trump e la capacità di rassicurare i cittadini anche attraverso discorsi di solidarietà, nei quali ripetutamente cita la sua famiglia, sono apprezzabili ed efficaci, è naturale che la sua sovraesposizione mediatica da parte dell’establishment sia sfruttata quanto più possibile. Risulta dunque sempre più ipotizzabile che Cuomo possa essere la carta da giocare, non si sa ancora quando e secondo quali modalità, nell’eventualità non si volesse rischiare di mandare Joe Biden allo sbaraglio contro Donald Trump.

La giornalista Krystal Ball del programma The Rising, nonché collaboratrice di Jacobin Magazine, nel suo consueto «radar» mattutino ha consigliato a Bernie di convertire la sua campagna in una potente macchina di supporto per l’emergenza attuale e futura, non solo attraverso la continuazione di tutti gli interventi mediatici già in atto, ma anche attraverso l’attivazione di una rete di supporto per tutti coloro che ne hanno bisogno. 

I tantissimi  giovani sani della sua campagna potrebbero rendersi utili concretamente portando pasti, aiutando le persone anziane e con le più diverse attività sociali, conquistandosi così una visibilità che, diversamente da quanto succede ora, non potrebbe essere ignorata. Non ritirandosi dalla campagna e presentandosi anzi come «organizer in chief», anche i media mainstream sarebbero infatti costretti a dargli attenzione e l’impatto del suo esercito di «rivoluzionari», in azione per l’emergenza sanitaria nazionale, potrebbe essere utile a dimostrare, anche a chi è ancora convinto dell’eleggibilità di Joe Biden, di quale stoffa è fatto. 

Elisabetta Raimondi

27/3/2020 https://jacobinitalia.it

* Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 anni la Political Revolution di Bernie Sanders.

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