Maternità surrogata: scelta di libertà o transazione economica?

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Ce lo aspettavamo, da quando ci aveva informati della sua malattia. Nonostante ciò, la scomparsa di Michela Murgia ci ha lasciati sgomenti e increduli. Di lei ho apprezzato soprattutto due qualità: l’indipendenza di pensiero e il coraggio di vivere fino alla fine, anche in condizioni terribili.
Il grande rispetto che le si deve non ci esime tuttavia, quando lo si ritenga opportuno, dal dissentire rispetto ad alcune sue prese di posizione. Mi riferisco in particolare a un suo articolo che mi è capitato di leggere di recente sulla discussa questione della “maternità surrogata”, scritto in risposta a un appello lanciato dal gruppo di femministe “Snoq Libere”, contro la possibilità di legalizzarla anche in Italia.

L’articolo, a dire il vero, è molto circostanziato e tutt’altro che superficiale. In esso l’autrice esprime anche dubbi, non solo convinzioni. Infatti scrive: Questo è un tema su cui non ho certezze.
Detto ciò a onore della sua onestà intellettuale, non mi sento però di condividerne la teoria di fondo e anche alcune specifiche argomentazioni.
La tesi della Murgia è che ogni donna deve essere libera di disporre del suo corpo, sia per decidere di interrompere una gravidanza, sia per accettare di portarne avanti una per un nascituro di cui non sarà mai la madre effettiva. E questo perché occorre, a suo avviso, operare una distinzione tra “gravidanza” e “maternità”, per cui è persino improprio parlare di “maternità surrogata”. Si tratterebbe invece di portare avanti una gravidanza su richiesta altrui, ben sapendo che, per effetto di questo impegno, la donna non sarà mai la madre effettiva del bambino che nascerà. La domanda che ci si può porre è: ma perché una donna dovrebbe mettere a disposizione una sua gestazione su richiesta di altre persone? Ad esempio, coppie omoaffettive o coppie etero sterili che in altro modo non potrebbero avere figli. La risposta comporta due possibilità: o altruismo o interesse economico. La stessa Murgia riconosce che la scelta per altruismo accadrebbe in una minoranza infima di casi: è ovvio che 99 su 100 non lo farebbero mai se non fossero povere.

Naturalmente, nella stragrande maggioranza dei casi lo si farebbe per bisogno economico. La Murgia si chiede: se viene consentito dalla legge che una donna interrompa la gravidanza per difficoltà economiche, perché non le deve essere consentito di risolvere queste difficoltà attraverso una gravidanza?
A questo punto io avanzerei le prime due obiezioni. Intanto, non è detto che una donna decida di interrompere la gravidanza per difficoltà economiche. A volte succede, ma le cause di questa decisione sono molto varie. Una donna decide di ricorrere alla IVG perché, qualunque sia stata l’occasione del rapporto che ha dato origine al concepimento, non era nelle sue intenzioni che a tale rapporto seguisse la responsabilità di un figlio. O perché si è trattato di un rapporto occasionale, o perché non hanno funzionato i metodi contraccettivi o magari perché ha subito un rapporto contro la sua volontà. Quindi il movente economico è solo uno dei tanti, a monte c’era già l’indisponibilità della donna ad accettare una gravidanza.
Ma decidere, in piena coscienza e libertà, di accettare una gravidanza per conto di altri, vorrebbe dire che il motivo economico sarebbe la causa prevalente, se non quella esclusiva. E, a questo proposito, sorgerebbero altri problemi che a me suscitano forti perplessità. Cercherò di esplicitarne alcuni.

Intanto, è vero che la gravidanza è una cosa e la maternità un’altra, se non altro come dimensione temporale. La gravidanza dura solo nove mesi, la maternità è un legame che dura tutta la vita.
Tuttavia, non c’è uno stacco fra l’una e l’altra esperienza, come fossero cose nettamente separate. Perché in effetti la gravidanza prepara alla maternità. E’ durante quei nove mesi che si crea il forte legame di attaccamento tra madre e figlio. Ora, io mi chiedo: come si può accettare sin dall’inizio di alienare da sé, volontariamente e consapevolmente, una creatura che prende forma dentro di te e che senti crescere in te giorno per giorno, con la quale nemmeno puoi sapere dal principio quale sentimento si potrà sviluppare, come esigenza profonda? E di questo la Murgia è ben consapevole, tanto è vero che ammette la possibilità che alla fine la donna possa rinunciare, se vuole, a cedere il figlio. Una donna che accettasse di portare avanti una gestazione per altri avrebbe il diritto di cambiare idea durante la gravidanza e decidere alla nascita di tenersi il bambino come proprio, anche se i gameti non erano i suoi? Mi sono trovata a parlare di questa questione con molte donne e la risposta a questa domanda è stata la stessa per tutte: sì.
Però, se il movente economico è quello prevalente, anzi quello esclusivo, che lo si voglia o no, si tratta comunque di una forma di transazione mercantile tra due parti. E allora, nel caso la gestante fosse inadempiente rispetto agli impegni presi, come reagirebbe l’altra parte? E cosa potrebbe pretendere da lei?

Ma vi sono anche altre osservazioni da fare. A mio avviso, se l’oggetto del contratto diventa il bambino, che lo si voglia o no, per legge di mercato questo bambino diventa “merce”. La Murgia sostiene che non è così, perché l’oggetto di contrattazione con la donna non è il bambino, ma la gravidanza. In pratica, la donna “venderebbe” solo la sua gestazione, ma il bambino resterebbe fuori da questo contratto. Si paga il tempo, si paga il rischio, si pagano le assistenze, ma non si compra il nascituro, la cui cessione avviene per pura volontà da parte di colei che ne è a tutti gli effetti la madre fisica. Non ne sono convinta. E faccio un esempio. Se io mi faccio pagare perché do lezioni di italiano, mi faccio pagare per il mio lavoro e per il tempo che metto a disposizione, ma non garantisco sull’esito della prova d’esame. In altre parole, non “vendo” la garanzia di una promozione. La gestante invece “vende” già – come dire – il prodotto finito. Senza il quale, la transazione non avrebbe senso per i committenti.
Certo è che la questione apre delle prospettive ancora più inquietanti. Intanto, il “costo” della gestazione, al netto del rimborso spese per visite mediche, controlli, acquisto di oggetti d’uso e quant’altro. E chi stabilisce quanto si deve pagare per commissionare un bambino? E quanto si deve richiedere per una gestazione? La Murgia sostiene che per questo occorre stabilire delle regole ben precise, pertanto occorrerebbe una legislazione apposita. Io personalmente sono molto diffidente sulle regole che cercano di disciplinare le transazioni economiche del “libero mercato”. Ma c’è di peggio! E la Murgia ne è perfettamente consapevole. Ovviamente, il committente si aspetta un “prodotto” di qualità, che risponda alle sue aspettative. E per il quale ha pagato il giusto. Che cosa succede se il neonato dovesse presentare delle criticità che non lo soddisfano? Sesso, imperfezioni fisiche, gravidanze gemellari si possono appurare anche prima della nascita, ma non si può costringere la gestante ad abortire. Oppure anche questo diventerebbe oggetto di contrattazione? E, se in ogni caso, il bambino o la bambina che vengono al mondo non soddisfano per un qualsiasi motivo le esigenze dei committenti? Essi sono tenuti a prenderlo ugualmente? La donna che ha partorito se ne deve prendere lei la responsabilità? Di fronte a questa eventualità, la Murgia risponde che sicuramente non sono tenuti a fare questo, né gli uni, né l’altra, sempre per una questione di “libertà”. E allora? E allora il bambino verrebbe dato in adozione. Se i genitori intenzionali non lo desiderano e la gestante neppure, il bambino diverrebbe adottabile come qualunque altro bimbo rifiutato alla nascita dai suoi genitori naturali.

Ma qui si aprono, a mio avviso, delle prospettive rischiose e terrificanti. Se un bambino viene abbandonato alla nascita perché i genitori, e soprattutto la madre, non se la sentono di assumersene la responsabilità, in uno Stato di diritto normalmente subentra la possibilità dell’adozione. Ma che può succedere quando una questione così delicata viene affidata alle leggi di mercato? Purtroppo non posso sottacere notizie che ho letto su ciò che avviene in alcuni Paesi “permissivi”, dove da cliniche di lusso spariscono bambini non voluti e fatti oggetto dei più turpi mercati. Non escluso quello del commercio di organi!
Ma è per questo, sostiene la Murgia, che la delicata materia andrebbe scrupolosamente regolamentata con leggi di Stato che non proibiscano le libere scelte, ma semplicemente le sottopongano a una rigorosa regolamentazione giuridica. Mi dispiace, anche su questo ho molte riserve e perplessità. Quando entrano in gioco consistenti movimenti di denaro, anche i cosiddetti Stati di diritto trovano il modo di eludere le leggi. Altrimenti non esisterebbero le mafie.
E’ che, secondo me, la questione va posta su un altro piano. Non di libertà individuale, ma di liberazione. Sì, liberazione della donna dal bisogno economico estremo, per cui è costretta a vendere il suo corpo. A venderlo per il soddisfacimento sessuale degli uomini sulle strade. Oppure a coppie più o meno benestanti che vogliono un figlio tutto loro, anche sborsando fior di quattrini. E poi, ovviamente, avanzando pretese sulla “merce” (che parola orribile, riferita a dei bambini!). Cioè, occorre piuttosto liberare le donne dalla necessità di prostituirsi.

E per quanto riguarda la difesa della libertà? Ovviamente, questa riguarderebbe solo le donne che accettassero una gestazione surrogata per puro dono altruistico, perché non è una scelta di libertà quella di chi lo fa per bisogno. La Murgia ha concluso così il suo articolo: Questa spinta a riprodurmi non l’ho mai avvertita dentro di me al punto da considerare un’ipotesi del genere. So però che davanti al desiderio di un’amica, di una sorella del cuore, quello che non ho chiesto mai a un’altra per me stessa, lo farei io liberamente per lei. E non vorrei che esistesse una legge che mi dicesse che non posso farlo.

Io, da parte mia, penso che la parola “libertà” vada sempre coniugata con l’espressione “responsabilità sociale”. Almeno nella prospettiva di una società che liberi, in primo luogo, dal bisogno e dallo sfruttamento. Altrimenti, la parola “libertà” rischia di diventare molto, molto ambigua, come vediamo da un partito politico che se ne fregia alla grande ma abbiamo anche capito in che senso!

Per carità, io non sono contro il diritto di tutte e di tutti ad avere una responsabilità genitoriale. Sia che si tratti di coppie omoaffettive, oppure di coppie etero sterili, oppure di single maschi o femmine. Però senza sfruttare il corpo di nessuno! Se un’amica chiedesse a me di farlo per lei come regalo, io, per questo, non la considererei più una vera amica!

Piuttosto, vogliamo fare delle scelte nel segno dell’altruismo e della generosità pura e semplice? Ma autentico altruismo, autentica generosità? Ci sono tanti bambini e bambine figli di nessuno, buttati ai margini delle società opulente, orfani o abbandonati! Ebbene, allarghiamo per loro le braccia di padri e di madri, mettiamo a loro disposizione le nostre risorse, liberiamoli dal gorgo della miseria, diamo loro un futuro e una dignità umana! Anche con forme di adozione e/o di affiliazione. E in questo, sì, in questo la legislazione dovrebbe venirci incontro. Permettendo e rendendo praticabili possibilità di adozioni con meno lacci burocratici, forme di sostegno alla crescita e alla formazione che garantiscano a questi piccoli un futuro. E allora si potrebbe parlare davvero di maternità e di paternità non surrogata, ma responsabile!

Rita Clemente

Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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