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MORTI E INFORTUNI SUL LAVORO. LA BEFFA DEI REGISTRATORI DI CASSE DA MORTO

mercoledì 18 dicembre 2019

Morire di lavoro a 64 cadendo da un tetto e precipitando dal tetto durante una manutenzione nella acciaieria Fdf di via Salieri a Vallese di oppeano Sul posto l’elicottero di Verona emergenza e anche una ambulanza. Gli operatori sanitari hanno tentato di rianimare l’operaio, che risulta essere dipendente di una ditta esterna, ma per lui non c’era più nulla da fare tranne dichiararne il decesso. Indagano sulle cause della caduta lo Spisal di Bovolone e i carabinieri di Oppeano. Perde la vita anche un altro edile cadendo da un muro a Monte Sant’Angelo di foggia: operaio cade da impalcatura, operaio di 54 anni della provincia di Caserta, è morto poco fa, all’ospedale di San Giovanni Rotondo. Troppo gravi le ferite e i traumi riportati. Stava lavorando in un cantiere in località Poggio del Sole“ aveva solo 24 anni il giovane che ha perso la vita ribaltandosi col trattore in una strada provinciale di Catanzaro. (cadutisullavoro.blogspot.com)

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Il silenzio uccide la realtà di questo criminale sistema produttivo? In verità non è che dei morti sul lavoro non se ne parla sui giornali piuttosto che sui social, forse se ne parla come se produrre considerazioni – spesso ben correlate di dati, comunque già noti, citazioni, bibliografie, che appioppano carisma all’autore – fosse una panacea contro l’inettitudine delle istituzioni e degli organismi preposti per legge. Si sprecano gli appelli, le critiche e i consigli ai sindacati come se questi non fossero già a conoscenza delle loro responsabilità spesso da decenni derubricate in certificazione del dato annuo, in convegni o riunioni funzionariali.

E le soluzioni atte ad affrontare questa piaga che ci vede al secondo posto in Europa, dopo la Francia, per capacità sistemica di ammazzare persone sui luoghi di lavoro?

Su questo segmento della discussione in tutti i patinati luoghi di dibattito inizia il marasma concettuale. Andiamo dal facile “mancano gli Ispettori del lavoro per fare i controlli nelle aziende” fino alla formale proposta del segretario Cgil Landini “ istituiamo una patente a punto per le imprese”.

L’intento è fermare gli infortuni e gli omicidi sul lavoro? Perchè non si dice una cosa elementare? Senza il conflitto contro questo sistema produttivo, per il controllo sindacale dell’organizzazione sul lavoro, non basterebbero neanche 10mila ispettori in più.

Sulla mancanza di Ispettori mi chiedo è la riduzione, in corso da anni, del numero di ispettori del lavoro il principale problema della mancata prevenzione degli incidenti sul lavoro e delle conseguenti morti. Oggi non arrivano a 2000 unità in tutta Italia e hanno circa 4 milioni di aziende da controllare. Intanto, certamente positiva sarebbe un massiccio aumento degli ispettori del lavoro ma bisogna considerare che questi controllano solo la regolarità contributiva e sicurezza nei cantieri edili, ma devono sempre avvisare preventivamente le Asl competenti.

Sulla “patente” mi chiedo dove sta la prevenzione dato che la si dà dopo un “esame” che purtroppo consiste nel verificare la riduzione del numero di infortuni e morti, quindi si accetta che comunque ci siano?

Sarebbe una proposta efficace se prima si ricostruisse un contesto sindacale atto al controllo dell’organizzazione del lavoro che rimetta in mano ai Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) la titolarità assegnata loro per legge ma inutilizzabile se non viene riorganizzata la presenza sindacale nei luoghi di lavoro, oggi sostanzialmente assente come percorso di conflitto contro lo strapotere delle aziende, favorito anche dal venir meno anche di una minima incidenza della scelta concertativa che di fatto nella stragrande maggiornza dei casi si è trasformata in consociazione e conseguente abbandono delle problematiche contrattuali, a partire, appunto, dalla sicurezza sul lavoro.

Questa opinione è la meno peggio, perché molti li considerano articolazioni delle aziende causa la passività che dimostrano nelle trattative, quando l’azienda le concede. Questo sentire comune riguarda anche le questioni salariali e dovrebbe coraggiosamente portare il sindacato confederale, perlomeno la Cgil, una sincera autocritica sulle scelte fatte sulla natura ideale, e preparazione, dei suoi rappresentanti.

E’ vero o no che negli ultimi vent’anni si è operato, in ossequio alla scelta concertativa tutta dentro le scelte politiche liberiste (dalle privatizzazioni al costo del lavoro) del maggior Partito di riferimento, di abbattere la cultura del conflitto e “modellare” le nuove leve sindacali (emarginando grossa parte di delegati e dirigenti contrari) anche con lo svuotamento del ruolo dei RSU ormai sempre più visti come delegati delle segreterie invece che dei e normative ed è maldigerito, quando, come è ovvio, questo andazzo ha come ricaduta una malattia professionale, un infortunio, un morto sul lavoro, diventa indigesto e aumenta la rassegnazione e la passività, espellendo, di fatto, il sindacato dalla testa dei lavoratori.

Il sindacato responsabile delle morti sul lavoro? Certamente no, ma è altrettanto certo che una responsabilità morale ce l’ha per non creare più un contesto di lotta preventiva.

La vera responsabilità delle morti sul lavoro è della sfera politica perché su delega delle imprese legifera il peggio per il mondo del lavoro sostenendo la guerra di classe che gli imprenditori stanno portando avanti, e vincendo, da oltre trent’anni.

Ogni atto di buona volontà, politica e sindacale, parte da una base solida di valori e questi si trovano nella Costituzione che all’art. 32 recita “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività”, e la stessa iniziativa privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41 II comma costituzione.).

Il ruolo di una politica sana, già questa oggi rivoluzionaria, e del sindacato, se riscopre la sua storia e ragion di esistere, consiste proprio nel fare applicare questo dettame, dando al RLS, libero da condizionamenti, la patente di primo attore protagonista con la licenza di intervenire con la sua azione quotidiana per prevenire.

Con questo incondizionato riconoscimento legislativo e sociale gli RLS, insieme ai lavoratori – che non devono delegare passivamente solo agli RLS il problema della sicurezza e della difesa della propria e altrui salute – devono affrontare i naturali contrasti con padroni e manager, i quali si fanno forza deridendo i diritti sanciti nella Costituzione.

Ma l’accusa non può essere rivolta solamente datori di lavoro, – loro fanno i loro spudorati interessi se hanno mano libera – e tantomeno ai mancati controlli, deve invece rivolgersi soprattutto verso la distruzione dei diritti dei lavoratori che non possono così contare su una prevenzione fondamentale: la lotta collettiva per condizioni di lavoro migliori, e senza rischiare il licenziamento, anche sei un RLS.

Una guerra unilaterale che si alimenta dall’assenza di conflitto che rappresenta l’unico strumento in grado di rimettere in piedi un depresso mondo del lavoro che ha perso la dignità e anche la speranza di vita. E su questa speranza da far rinascere che bisogna poggiare pensieri, parole e fatti per contrastare questa mattanza che regala questo modello produttivo criminale una media di tre morti al giorno.

Il 2019 rischia di essere il peggiore degli ultimi anni per morti sul lavoro in Italia, certificando, ancora una volta un tragico “posto al sole” con un quarto del totale delle morti in Europa.

Basterebbe aumentare i controlli per fermare la strage perché ci possa essere un concreto miglioramento della sicurezza dei lavoratori? No, non basta invocare più controlli anche se è sarebbe utile un sistema di controlli più efficace sugli inadempimenti su prevenzione e protezione della sicurezza dei lavoratori, ma non frenerà, e men che meno fermerà, la morte sul lavoro.

Nella normativa vigente risulta chiara la centralità dell’organo di vigilanza, in particolare nella figura dei tecnici della Prevenzione Igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro (PISLL), perché sono loro che fanno i controlli, che effettuano i sopralluoghi ispettivi nei luoghi di lavoro secondo il dettato dell’art. 20 della legge 833/78), con funzioni di polizia giudiziaria solo quando accertino un reato appartenente all’area sottoposta alla loro vigilanza.

Però, come è stato spesso fatto presente da diversi interessati “Non è importante entrare in fabbrica, perché se tu non hai i lavoratori maturi per un intervento tu puoi entrarci finché vuoi, ma non succede esattamente niente” e questo ci rimanda al contesto da ricostruire nei luoghi di lavoro. Anche per liberare l’Organismo di controllo e prevenzione da pesanti pressioni delle aziende sanitarie nonché da quelli istituzionali che li inducono ad essere timorosi e quindi flessibili, se non immobili.

Come più volte evidenziato da un operatore “Talvolta si ha l’impressione che i Tecnici della Prevenzione del PISLL siano il capro espiatorio e che quando non si riesce ad individuare il nesso causale tra condotta ed evento, si sconfini nella censura dell’attività amministrativa degli addetti alla vigilanza nei luoghi di lavoro. Dove è finito l’imprescindibile rapporto tra procure e PISLL? Tutto questo contribuisce a rendere il sistema carente, limitato, ingiusto. C’è in gioco il recupero dell’effettività delle norme che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori.

L’attuale condizione operativa non spinge ad approfondire l’esame della realtà produttiva, ci si ferma (ed è già un passo significativo dati i tempi) alla verifica dei principali rischi connessi con l’attività e agli interventi prescrittivi conseguenti in caso di non conformità al dettato normativo. Una volta chiusa la porta della fabbrica dietro di sé non si saprà se l’intervento ha modificato l’atteggiamento e l’azione di tutti gli attori nell’affrontare i temi della sicurezza.”

Ecco un’altra conferma della solitudine di questi operatori se lasciati soli senza un contesto sociale e sindacale funzionale al raggiungimento dell’obiettivo, mentre le imprese se ne fanno un baffo fidando del controllo ricevuto perché sanno bene che non avranno “noie”.

“La soggettività del lavoro difficilmente entra nel campo della nostra attività affinché l’azione ispettiva si conformi alle esigenze dei lavoratori anziché alla pura applicazione della normativa. Se si “perdesse tempo” nel cercare e sostenere l’azione dei lavoratori e/ o dei loro rappresentanti si tratterebbe di una attività “non rendicontabile”.

Si può, al più, intervenire per correggere le storture (violazioni) più evidenti (es. impianti non conformi) o introdurre elementi di miglioramento dell’igiene del lavoro (che necessitano però di una continuità di intervento) ma non certo affrontare interventi di modifica significativa dei processi produttivi, in particolare se complessi, e migliorare la “vivibilità” del luogo di lavoro (basti pensare al tema dello stress lavorocorrelato difficile da cogliere in un “normale” sopralluogo).

Nel migliore dei casi abbiamo un tecnico che entra in azienda (con un mandato spesso “limitato” dalla programmazione e dalle indicazioni dirigenziali) che cerca di svolgere al meglio il suo compito di verifica delle norme e, per meglio inquadrare la situazione, “pretende” la presenza del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) quasi sempre ben “abbottonato” per evitare contrasti con il datore di lavoro.

Contestualmente si crea una situazione, favorita dalla precarietà dei rapporti di lavoro e dalla crisi, in cui lavoratori attendono (“sperano” o “disperano”) in un miglioramento delle condizioni grazie all’azione “salvifica” della istituzione rappresentata dall’operatore che, apparentemente in modo casuale o post evento infortunistico, accede in azienda.

Innanzitutto servono risorse: ci sono pochi tecnici e il PISSL non è più il settore più ambito e desiderato dalle “nuove leve”, perché “siamo rimasti soli”! Dove sono i piani di prevenzione, gli approfondimenti, gli studi, ecc.”

E così torniamo al contesto da ricostruire, per ridare un ruolo effettivo non solo ai RLS, ai S.Pre.S.A.L. (servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro delle ASL territoriali), ai quali il dlgs 81/08 attribuisce la vigilanza specifica, anche se le relative strutture non ricevono da anni potenziamenti sia di personale che economici e le poche risorse derivanti dai compiti d’istituto che vengono spesso stornate a discrezione dai direttori generali delle ASL.

Ma anche per ridare un senso al lavoro degli Ispettori del lavoro, oggi troppo spesso citati come dei Superman solo per non affrontare i problemi di fondo della mancata applicazione concreta della legge sulla sicurezza del lavoro e per coprire, l’inettitudine istituzionale, se non la consapevole complicità.

Franco Cilenti

già RLS sanità

Pubblicato sul numero di dicembre del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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