Morti sul lavoro, la retorica non serve. Le tragedie si possono fermare

lavoro chaplin

Infortuni e morti sul lavoro continuano a ritmi impressionanti, eppure la drammaticità dei dati statistici, 13 mila morti in dieci anni, dovrebbero indurre i sindacati a una opposizione non rituale. Le morti sul lavoro nei primi sei mesi del 2018 rispetto al primo semestre dell’anno 2008 sono state superiori di quasi il 21%, in un anno registriamo un + 7,4%

Morti e infortuni sul lavoro sono lo specchio di una modalità organizzativa e gestionale del capitalismo italiano, non è casuale che il nostro paese sia quello dove esiste maggiore presenza di nero e con una idea di competitività declinata solo come riduzione del costo del lavoro.

Lo stesso legislatore avrebbe innumerevoli strumenti che vanno dall’inasprimento delle sanzioni al reato di omicidio sul lavoro senza dimenticare il ripristino del penale laddove oggi esistono solo sanzioni amministrative.

Altri paesi europei a capitalismo avanzato hanno semplicemente spostato il rischio di lavorazioni nel terzo mondo dove il numero degli infortuni, dei morti, delle malattie contratte sul\per il lavoro non è degno neppure di ricerche statistiche.

Abbiamo aspettato alcuni giorni prima di scrivere sugli ultimi infortuni, lo diciamo con assoluta sincerità: non sappiamo piu’ cosa scrivere, i lavoratori sono sottoposti al ricatto di perdere il posto di lavoro e con esso ogni forma di sostentamento se provano a contestare la organizzazione del lavoro, i turni, i ritmi, la mancanza di condizioni di sicurezza che poi dipende dalla stessa gestione della produzione, non è certo riducibile alla presenza o assenza di dispositivi di protezione individuali.

Pensiamo a Luca Savio, operaio di 41 anni di Carrara morto dopo essere stato colpito da un blocco di marmo nella movimentazione dentro il deposito della azienda dove lavorava con un contratto di sei giorni. Solo in pochi mesi è la terza vittima nelle cave di Carrara, parlano di morti bianche, la Magistratura aprirà l’ennesimo fascicolo per omicidio colposo, magari dopo anni un processo lungo e tortuoso troverà alcuni colpevoli. Ma quanti sono stati i processi negli ultimi lustri? Migliaia e quanti di loro si sono conclusi con condanne? Ma soprattutto le eventuale responsabilità di un singolo , utili ai fini di qualche misero risarcimento, servono forse a coprire le responsabilità di un sistema, un sistema sempre piu’ basato sulla insicurezza sociale e lavorativa, sulla precarietà che spinge ad accettare anche il rischio per incrementare un salario da fame (è accaduto pochi giorni fa nel Napoletano).

Bassi salari, sfruttamento, mancato rispetto delle normative e la continua, incessante riduzione del costo del lavoro e delle tutele, devastazione ambientale sono alla base delle morti sul lavoro e di un sistema. I lavoratori sono o impotenti o assuefatti all’idea delle morti e degli infortuni, il sindacato si limita a chiedere generico rispetto di normative che una volta approvate possono essere aggirare con facilità e nella legalità (ricordate le deroghe contrattuali?). Dietro alla sconcertante passività dei lavoratori si celano paura e rassegnazione, dietro ai silenzi sindacali invece la sottovalutazione di un problema da affrontare e combattere a tutto campo.

La retorica non serve, piuttosto dovremmo partire da una inversione di tendenza, rifiuto delle deroghe in materia di orari, sgravi fiscali alle imprese che investono in sicurezza, salari e contratti dignitosi e a tempo indeterminato, investimenti in produzioni non nocive all’ambiente. Questa battaglia dovremmo combatterla tutti\e per restituire credibilità alle nostre parole, coerenza tra le enunciazioni e le azioni, o se preferite tra teoria e prassi, insomma sulla pelle dei lavoratori non si scherza e non si dovrebbero fare compromessi. Sarebbe almeno un buon inizio….

Federico Giusti

15/7/2018 www.controlacrisi.org

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