Navalny e la lotta per il potere

Riceviamo e, condividendo, pubblichiamo questa analisi inviatoci da Mauro Vezzosi

I dubbi sulla vicenda di Alexey Navalny forse non verranno mai del tutto chiariti. Scrivo da Mosca, da dove mi sto per muovere per recarmi nuovamente verso il fronte ucraino. Quasi nessuno in Russia è persuaso dall’ipotesi di un coinvolgimento diretto di Vladimir Putin. Almeno apparentemente non vi alcun motivo credibile che possa giustificare una scelta del genere, tanto più in una mente ultrarazionalista e calcolatrice. E non certo per una questione di scrupoli.

Dopotutto, perché uccidere un oppositore già detenuto che non rappresenta alcuna minaccia rilevante per il potere costituito? Perché ucciderlo dopo il clamoroso successo dell’intervista rilasciata al giornalista statunitense Tucker Carlson ed i possibili risvolti di questa? E perché farlo a ridosso delle elezioni presidenziali di marzo e dopo la presa di Avdeevka?

A queste domande, si aggiungono la curiosa sincronia tra la morte di Alexey Navalny e la presenza di sua moglie Yulia alla conferenza di Monaco e le pesanti dichiarazioni di sua madre Ludmila.

Il rigore della logica porta ad escludere l’ipotesi dell’ordine diretto di Vladimir Putin. così come la tempistica della morte di Alexey Navalny porta a considerare assai poco realistica l’ipotesi di una morte naturale. Rilevare che Vladimir Putin abbia nelle sue mani un potere enorme è quasi banale: non lo è, invece, ricordare come in generale e nella Russia dei nostri giorni la natura del potere non sia del tutto monolitica, al di la di ogni apparenza.

In questo senso, la possibilità che Alexey Navalny sia stato ucciso con l’intento di bloccare sul nascere un possibile dialogo con gli Stati Uniti è a mio avviso da considerare. Resta comunque un fatto indiscutibile: la vicenda nel suo complesso si è trasformata immediatamente nell’ennesimo argomento per giustificare l’invio di armi all’Ucraina, imporre nuove sanzioni e rinnovare l’oltranzismo antirusso, in primo luogo a Washington e Londra.

Maurizio Vezzosi, analista e reporter freelance. Collabora con RSI Televisione Svizzera, LA7, Rete4, L’Espresso, Limes, l’Atlante geopolitico di Treccani, il centro studi Quadrante Futuro, La Fionda ed altre testate. Ha raccontato il conflitto ucraino dai territori insorti contro il governo di Kiev documentando la situazione sulla linea del fronte. Nel 2016 ha documentato le ripercussioni della crisi siriana sui fragili equilibri del Libano. Si occupa della radicalizzazione islamica nello spazio postsovietico, in particolare nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Kirghizistan. Nel quadro della transizione politica che interessa la Bielorussia, nel 2021 ha seguito da Minsk i lavori dell’Assemblea Nazionale. Tra la primavera e l’estate del 2021 ha documentato il contesto armeno post-bellico, seguendo da Erevan gli sviluppi pre e post elettorali. Nel 2022, dopo aver seguito dalla Bielorussia il referendum costituzionale, le trattative russo-ucraine, e sul campo l’assedio di Mariupol, ha proseguito documentare la nuova fase del conflitto ucraino. Nel 2023 ha continuato a documentare la situazione nelle aree di Lugansk, Donetsk, Zaporozhe e Kherson sotto controllo russo. Durante l’estate si è recato in Georgia approfondendo la situazione sociale e politica della repubblica caucasica. A settembre ha partecipato al’AJB DOC Film Festival (Al Jazeera Balkans) di Sarajevo e al festival Visioni dal Mondo di Milano con il documentario “Primavera a Mariupol” (Spring in Mariupol). È assegnista di ricerca presso l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.

22/2/2024

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