Non Autosufficienza malintesa dalla legge

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Legge sulla non autosufficienza, la partita dei decreti

Importanti voci – i giuristi Giovanni Maria Flick e Francesco Pallante, il geriatra Piero Secreto – prendono posizione sulla legge sulla non autosufficienza lanciando l’allarme sui diritti negati e sul mancato riconoscimento delle competenze sanitarie per i malati anziani non autosufficienti. Le organizzazioni di tutela del diritto alla salute scrivono al Governo per intervenire nella partita dei decreti attuativi. Andrea Ciattaglia

Non arretrare di un passo dalla tutela sanitaria di tutti i malati, compresi quelli non autosufficienti, e intervenire con azioni di pressione sul governo perché i decreti attuativi della legge sulla non autosufficienza (la famigerata 33 del 2023, approvata il 23 marzo dopo un solo mese di contingentata «discussione» parlamentare) riconoscano la primaria competenza sanitaria sulla tutela della salute per gli anziani malati cronici che per la gravità delle loro malattie hanno perso la loro autonomia. È questo, in estrema sintesi, l’esito del convegno “La non autosufficienza dell’anziano è un problema di salute” che si è tenuto a Roma – Biblioteca della Camera dei deputati, lo scorso 17 maggio. Un appuntamento organizzato dal Cdsa, il Coordinamento per il diritto alla sanità per le persone anziane malate e non autosufficienti che comprende una ventina di realtà che lavorano per il riconoscimento del diritto universalistico alle cure. Tra esse Medicina Democratica, Fondazione promozione sociale e le associazioni Di.A.N.A. (Verona), A.Di.N.A. (Firenze) e Umana (Perugia), impegnate anche nella tutela dei casi personali di malati non autosufficienti e loro famiglie.

Unanime il giudizio dei rappresentanti delle organizzazioni in merito alla norma, già riportato su Lavoro & Salute nei precedenti contributi sul tema: «Una ‘riforma’ che si traduce in una brutale quanto incisiva sottrazione di diritti, in particolare del diritto universalistico alle cure sanitarie, ad una parte rilevante della popolazione. Deliberatamente, il testo omette sempre la causa della condizione di non autosufficienza, cioè la grave carenza di salute determinata da gravi malattie, sottraendo ai destinatari della norma il diritto alla tutela della salute».

Non abbandonare i Lea. Al presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, il Cdsa ha affidato l’inquadramento costituzionale della nuova legge: «La legge 33 – ha osservato il giurista – dà l’impressione di voler trascinare tutto ciò che può essere trascinato verso i Lep e l’articolo 38 della Costituzione, sottraendo ambiti di competenza ai Lea e all’articolo 32 della Carta».

L’argomento a supporto di questo slittamento è la prevalenza della funzione sociale su quella sanitaria nell’ambito della non autosufficienza. «Tuttavia – ha precisato Flick – si tratta di un argomento che contraddice la tutela costituzionale della salute, così come la ricordata definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità. Bisogna, invece, tenere ben ferma questa definizione della salute e, insieme ad essa, la nozione di Livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria, comprensiva anche di tutte le tematiche di assistenza socio-sanitaria per persone in situazioni di grave malattia e di incapacità».

Di qui, l’appello alle organizzazioni di tutela dei malati non autosufficienti e al Governo in vista dei decreti attuativi della norma: «In un momento in cui i Livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitari per quanto in modo confuso, travagliato e spesso non completo, sono ragionevolmente garantiti – bisognerebbe certo applicare meglio le leggi che li prevedono – è estremamente pericoloso decolorare e disperdere questa tutela in un ambito molto più tempestoso, non ancora definito e gravido di problemi. Il rischio è che i malati inguaribili vengano via via considerati non più malati, quindi sotto la tutela dell’articolo 32 della Costituzione, ma vengano considerati come un «problema sociale» da affidare al settore dell’assistenza sociale che discende dall’articolo 38 della Costituzione, molto meno tutelante per gli utenti».

La condizione di estrema malattia di tutti gli anziani non autosufficienti è stata ribadita – con esempi pratici e documentate esperienze – dal geriatra Piero Secreto, componente del direttivo della Sigot – Società di geriatria ospedale e territorio: «I pazienti ricoverati nelle strutture geriatriche sono sempre più gravi, sia dal punto di vista cognitivo che dal punto di vista funzionale. E però, in parallelo, constatiamo un progressivo prevalere dei parametri socio-economici, come selezione per poter afferire ai servizi sanitari». È proprio questo uno dei rischi della nuova norma: la condizione economica dei malati e dei loro famigliari come pregiudiziale per l’accesso ai servizi sanitari.
Gli allarmi degli esperti hanno ribadito la necessità per le organizzazioni di tutela dei malati di intervenire con il Governo per la stesura dei decreti attuativi. Ecco, quindi, le proposte avanzate dalla Fondazione promozione sociale, comunicate ufficialmente al Governo.

Definizione di «Anziano non autosufficiente». Vista la delega al Governo che prevede la definizione della popolazione anziana non autosufficiente, si chiede di assumere quella di «anziani malati cronici non autosufficienti» e di esplicitare la condizione di «malati cronici» ogni volta che nel testo della legge delega il riferimento è agli anziani «non autosufficienti». La non autosufficienza è, infatti, sempre conseguente alla perdita di salute a causa di malattie croniche invalidanti irreversibili o da loro esiti e la precisazione di «malato cronico» è dirimente per rientrare a pieno titolo nella titolarità del Servizio sanitario nazionale e del diritto esigibile alle cure sanitarie e socio-sanitarie garantite dalla legge 833/1978 e s.m.i. e dai Lea (dpcm 12 gennaio 2017, servizi e prestazioni domiciliari, semiresidenziali e residenziali).

Accesso alle prestazioni. Proprio dal riconoscimento dell’esigenza sanitaria di tutela della salute, dovrebbe discendere ed essere esplicitato nei decreti legislativi che la valutazione della condizione economica non deve essere utilizzata per determinare l’accesso alle prestazioni Lea, ma unicamente per identificare la successiva contribuzione al costo degli interventi a carico del cittadino in base all’Isee. L’accesso alle prestazioni di cura va previsto soltanto in base alle condizioni di malattia e non autosufficienza, non a parametri socio-economici, che mai possono legittimamente bloccare l’intervento sanitario, poiché l’accesso alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie è universalistico.

Età anagrafica e ageismo. Tra i tanti controsensi (qualcuno si è spinto a dire «aspetti di dubbia costituzionalità») della legge 33, intitolata “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane” uno palese è quello della definizione di «persone anziane». Ci si aspetterebbe, visto il titolo della norma, che tra le definizioni della legge fosse inclusa quella di «persona anziana». Invece no. «Il Governo – si legge all’articolo 3 – è delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi finalizzati a definire la persona anziana». Che è come dire che il Governo è delegato a dare una definizione che spieghi il titolo della legge che lo delega a fare ciò.

Cercando di dipanare questo obbrobrio normativo,
va rilevato che la legge istituisce per le persone anziane
(nel resto della normativa, per esempio nell’annuale Piano per la non autosufficienza, identificata come la popolazione sopra i 65 anni) un sistema (il cosiddetto Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente)separato dal Servizio sanitario per la risposta alle condizioni di non autosufficienza provocate da malattie invalidanti gravi. Qualificati osservatori hanno notato che si tratta di una palese violazione degli articoli 3 e 32 della Costituzione (il primo prevede la pari dignità sociale e l’eguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, il secondo sancisce la competenza dello Stato nella tutela della salute di tutte le persone) e dell’articolo 1 della legge 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, i cui interventi devono essere garantiti «senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio».

Nei decreti attuativi, chiedono le realtà del Csa al Consiglio dei Ministri, va esplicitata la salvaguardia della tutela della salute degli anziani (anche per la prevenzione e le cure di lunga durata) nell’ambito della competenza del Servizio sanitario nazionale «anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione» (legge 833/1978, articolo 2, lettera f). Solo questo riconoscimento e rafforzamento della competenza sanitaria può annullare l’ageismo (la discriminazione dei vecchi) nella sua forma più grave, quella istituzionale, che si concretizza nelle discriminazioni nell’accesso alle cure sanitarie sulla base del mero criterio anagrafico.

Risorse. Secondo il testo della legge 33, il «diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cure al proprio domicilio» può essere condizionato «entro i limiti e i termini definiti, ai sensi della presente legge, dalla programmazione socio-assistenziale laddove le prestazioni rientrino nei Leps». Ciò produce l’effetto di un diritto/non diritto, in quanto vincolato alla disponibilità economica che le istituzioni vorranno mettere sul relativo capitolo di bilancio e non sull’obbligo delle istituzioni stesse di rispondere a tutti coloro che sono malati e richiedono prestazioni di cura. Nei decreti va quindi esplicitato che non devono essere previsti limiti al finanziamento delle prestazioni socio-sanitarie rientranti nei Lea e dirette agli anziani malati cronici non autosufficienti.

In materia, e può essere una forte base di appoggio giuridica dei testi dei decreti, è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza 62/2020 precisando che «mentre di regola la garanzia delle prestazioni sociali [e quindi tutte quelle dell’assistenza sociale] deve fare i conti con la disponibilità delle risorse pubbliche, dimensionando il livello della prestazione attraverso una ponderazione in termini di sostenibilità economica, tale ponderazione non può riguardare la dimensione finanziaria e attuativa dei Lea [Livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie], la cui necessaria compatibilità con le risorse è già fissata attraverso la loro determinazione in sede normativa (sentenza n. 62/2020)».

Cure domiciliari. Grandi assenti della legge 33 sono gli interventi domiciliari di effettiva risposta ai bisogni di tutela della salute degli anziani malati non autosufficienti. Come ha osservato con precisione Maurizio Motta (Università di Torino) nella relazione dell’incontro “Dal ddl non autosufficienza alla vera garanzia delle cure” svoltosi il 26 gennaio 2023 al Centro Servizi per il Volontariato di Torino (Vol.To), «nella legge non c’è un adeguato impegno strategico per potenziare l’offerta di supporti domiciliari tutelari negli atti della vita quotidiana», mentre «qualunque famiglia o operatore sanitario che interviene a casa di un malato non autosufficiente sa molto bene che è inutile una buona assistenza infermieristica o medica al domicilio senza sostegno del non autosufficiente sotto la titolarità primaria del Servizio sanitario, cioè senza il sostegno diretto e con i criteri del Servizio sanitario – cioè senza valutazione Isee – che riconosca l’opera di cura di famigliari o assistenti dei malati».

Per ovviare all’illegittima stortura della legge, che poggia sull’idea che gli interventi domiciliari mirati alla tutela negli atti della vita quotidiana dei malati non autosufficienti siano compito dei soli servizi sociali, o delle famiglie, nei decreti attuativi va richiamato il diritto soggettivo ed esigibile all’accesso a carattere universalistico, alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di lungo termine (Ltc) previste dalla legislazione vigente per l’anziano malato cronico non autosufficiente, nel rispetto degli articoli 1 e 2 della legge 833/1978 e previste dal Dpcm 12 gennaio 2017. E andreabbe altresì ribadito il diritto soggettivo ed esigibile all’accesso alle cure palliative e alle terapie di contrasto al dolore, ai sensi della legge 38/2010, con diritto esigibile e a carattere universalistico alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie in ogni luogo di cura: ospedale, case di cura, lungodegenze, Rsa, abitazioni…

Indennità di accompagnamento. La previsione per le persone non autosufficienti, in ambito assistenziale, quindi con valutazione della condizione economica dei richiedenti, di una «prestazione universale» (legge 33/2023, articolo 5, comma 2, a), 1.) preferibilmente in servizi, sostitutiva dell’indennità di accompagnamento è una netta sottrazione di diritti per i malati non autosufficienti rispetto ad oggi. L’indennità è infatti un diritto esigibile nell’ambito della previdenza, non condizionato da valutazioni socio-economiche suoi beneficiari.

I decreti attuativi potrebbero precisare la natura universalistica e non selettiva dell’indennità, scongiurando il paventato trasferimento della competenza in capo ad una commissione di valutazione collocata nel settore delle politiche sociali. L’indennità (circa 0,73 centesimi di euro all’ora secondo gli importi attuali!) deve aggiungersi al contributo economico dell’Asl ed eventualmente alle integrazioni comunali.

Non essere un sostituto, al ribasso, dei vigenti diritti.

Centri diurni e Rsa. Infine, è bene accennare alle prestazioni residenziali e semi-residenziali per i malati non autosufficienti. È vero che la legge 33 vi fa riferimenti radi e poco incisivi, ma la deriva verso l’assistenza della risposta istituzionale alla malattia che causa la non autosufficienza minaccia di investire anche il settore dei servizi in struttura. Tanto ci sarebbe, invece, da fare per prevedere prestazioni semiresidenziali (Centri diurni) nei casi in cui la permanenza a domicilio di anziani malati cronici non autosufficienti, in particolare malati di Alzheimer o con altre forme di demenza senile, possa essere attuata solamente con il sostegno delle prestazioni semiresidenziali, che devono essere potenziate con interventi terapeutici e riabilitativi finalizzati al mantenimento delle autonomie. Da prevedere altresì il diritto a ricoveri di sollievo.

In merito alle prestazioni residenziali, occorrerebbe operare contemporaneamente per ottenere che le Rsa siano a pieno titolo parte del Servizio sanitario e siano pertanto inserite nelle convenzioni tra Servizio sanitario ed enti privati norme per rendere obbligatorie:

  • prestazioni sanitarie e socio-sanitarie adeguate alle esigenze dei malati ricoverati, con la necessaria revisione degli standard del personale, a partire da una radicale revisione della consistenza del personale in servizio, oggi determinato con il criterio del «minutaggio», non garanzia di cure per i malati;
  • la presenza in tutte le Rsa di un Direttore sanitario, di medici, infermieri e personale socio-sanitario, che operino secondo i principi del lavoro di gruppo, assicurando una presenza medica nelle 24 ore e funzioni dirigenziali del Direttore sanitario; come avviene in tutti i reparti ospedalieri e nelle strutture sanitarie;
  • le prestazioni riabilitative indispensabili per il recupero o il mantenimento delle autonomie e delle funzioni; le terapie di contrasto al dolore e le cure palliative ai sensi della legge 38/2010;
  • l’esclusione dal ricovero nelle Rsa di pazienti con patologie non stabilizzate e di malati che hanno necessità di prestazioni ospedaliere continuative;
  • il pieno rispetto della legge 24/2017 (sul rischio di salute) e del nuovo piano pandemico;
  • la previsione di Comitati di partecipazione dei Familiari, che potranno avvalersi del contributo di figure esterne indipendenti e competenti e operare sulla base di un Regolamento tipo definito con delibera regionale e concordato anche con le rappresentanze dell’utenza.

La ricaduta dei maggiori oneri che deriverebbero da una tale revisione andrebbero imputati al Servizio sanitario come riconoscimento della condizione di malattia invalidante dei pazienti. In considerazione dell’aumento delle problematiche cliniche e della necessità di prestazioni di tutela personale dei degenti, andrebbe rivista la ripartizione degli oneri dal 50 al 70% la quota sanitaria che compete alle Regioni sulle rette di degenza, riconoscendo il diritto al 100% della copertura della retta da parte delle Asl per i malati con prevalenti esigenze sanitarie, come riconosciuto da molteplici sentenze della Cassazione.

Tale partita è, evidentemente, troppo ampia – e di accertata competenza sanitaria – per essere demandata ad un decreto attuativo di una legge delega in campo assistenziale (com’è la legge 33). Di qui l’appello delle organizzazioni del Cdsa «Al Ministro della Salute per un riordino complessivo delle riforme necessarie in materia di Prestazioni domiciliari e assegni di cura, Centri diurni e Rsa per la tutela della salute degli anziani malati cronici non autosufficienti, compresi gli anziani malati di Alzheimer o con altre demenze.

Andrea Ciattaglia

Direttore della rivista “Prospettive. I nostri diritti sanitari e sociali”, voce del Csa – Coordinamento sanità e assistenza e della Fondazione promozione sociale, storiche organizzazioni di promozione e tutela dei diritti dei malati non autosufficienti e delle persone con grave disabilità.

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