Non passa la richiesta di altri 10 anni per il glifosato. Per ora…

Nulla di fatto. Ma non per molto. Il voto di oggi degli Stati europei alla proposta della Commissione di rilasciare una nuova autorizzazione di altri 10 anni al glifosato, non è un addio ma un “arriverci a presto” all’erbicida potenzialmente cancerogeno secondo lo Iarc.

È semplicemente frutto della contrarietà di alcuni Stati (come la Germania) che hanno impedito di raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per dare il via libera all’esecutivo di Bruxelles. Ora, tra poche settimane, si procederà a un nuovo voto ma se non ci sarà, come appare probabile, una maggioranza “contro” passerà automaticamente la linea della Commissione. E ci troveremo con il glifosato nei campi europei e italiani per dieci anni ancora. Con il voto a favore di oggi – è bene ricordarlo – del governo italiano e il silenzio di quanti – come Coldiretti – ritenevano il glifosato un pericolo nel grano canadese ma evidentemente non nei campi e nei cibi “made in Italy”.

A votare contro sono stati Austria, Croazia e Lussemburgo; astenuti Germania, Francia, Belgio, Bulgaria, Paesi Bassi e Malta.

Favorevole, come anticipato, l’Italia.

Vi anticipiamo parte del lungo servizio che il numero di ottobre del Salvagente ha dedicato al glifosato

Cos’è il glifosato e quanto se ne usa in Europa

di Silvia Perdichizzi

È l’erbicida più usato al mondo, ma non immaginatelo relegato ai campi dell’Argentina e del Brasile dove accompagna le tonnellate di mais Ogm coltivato o il Canada, dove finisce sul grano prima della raccolta con grande scandalo delle associazioni dei coltivatori italiani, Coldiretti in testa. In Europa rappresenta il 30% di tutto l’uso di pesticidi.

Per questo la decisione comunitaria non può non avere un impatto su ciò che mangiamo e – non ultimo – anche sulla crisi climatica. Anche perché la decisione di oggi va in direzione diametralmente opposta a quella che sembrava aver imboccato il Vecchio Continente: “E che imponeva al mondo agricolo una inversione di rotta in chiave di sostenibilità, dimostrando che siamo già in forte ritardo”, tuona Federica Ferrario, responsabile Campagna Food di Greenpeace Italia. Quella stessa Europa, tra l’altro, che si è data obiettivi green ambiziosi proprio in campo agricolo nella Strategia Farm to Fork: come la riduzione dei pesticidi chimici del 50% e il raggiungimento del 25% della superficie europea coltivata a biologico al 2030.
Difficile concepire come un progetto del genere si possa conciliare con la proposta della Commissione di ri-autorizzare il glifosato per altri 10 anni, e non più cinque come nel 2018. A fare da gancio sarebbero le conclusioni sulla valutazione del rischio condotta sul glifosato dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, secondo cui l’erbicida “non desta preoccupazioni critiche” per la salute e per l’ambiente nonostante l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) – e numerosi altri studi indipendenti – lo abbiano classificato come “probabilmente cancerogeno”. E nonostante l’Efsa stessa riconosca alcune lacune e questioni rimaste in sospeso nel suo studio. Tra queste “la valutazione di una delle impurità presenti nel glifosato, del rischio alimentare per i consumatori, per le piante acquatiche, la biodiversità e i mammiferi”.

L’”assoluzione” dell’Efsa

Il dossier della Autorità insomma “assolve” l’erbicida ma allo stesso tempo ammette la mancanza di alcune informazioni necessarie, alzando lo stesso la palla a suo favore grazie a un tecnicismo normativo. Per l’Efsa infatti “una preoccupazione è definita critica quando riguarda tutti gli usi proposti della sostanza attiva oggetto di valutazione”. Dunque, basta che uno degli usi proposti non sia considerato critico per poter estendere la definizione a ogni applicazione della sostanza, in questo caso del glifosato.

Già da tempo sotto i riflettori anche per alcune vicende della Monsanto (poi acquisita dalla

GLIFOSATO FARM TO FORK
Al glifosato è dedicato un ampio speciale che trovate sul numeri di ottobre del Salvagente, in edicola o in versione digitale QUI

tedesca Bayer) che per prima lo ha immesso sul mercato negli anni 70, definendolo “capace di degradarsi” (e quindi promosso come “non inquinante”) con il nome commerciale di Roundup, il glifosato è un erbicida estremamente diffuso nel settore agricolo per combattere le erbe infestanti che competono con la crescita delle specie coltivate. Nel 2017 l’Unione europea, chiamata a decidere se rinnovarne o meno l’autorizzazione all’uso – nonostante una massiccia campagna contraria di raccolta firme da parte di cittadini e associazioni – si è espressa per una via di mezzo tra le richieste di Big Pesticides e quelle dell’opinione pubblica e di parte della scienza: un via libera dimezzato, per cinque anni, poi prorogati fino a dicembre 2023. Nel frattempo l’Echa, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, ha dichiarato il potente pesticida “non classificabile come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione”. Classificazione che stride fortemente con il parere dell’Agenzia delle Nazioni unite per la ricerca sul cancro, che definisce il glifosato “probabilmente cancerogeno per gli essere umani”, e di numerose ricerche indipendenti internazionali che negli anni hanno fatto maggiore chiarezza sui suoi effetti negativi sulla salute oltre che sull’ambiente.

Ma che è stata ripresa dalla “valutazione del rischio” dall’Efsa nel luglio scorso con una precisazione non di poco conto. “Eventuali lacune nei dati – si legge nel documento – sono individuate come questioni che non è stato possibile risolvere in via definitiva o rimaste in sospeso”. Tra queste la “mancanza di informazioni sulla tossicità di uno dei componenti della formulazione di pesticidi a base di glifosato, necessarie per portare a termine la valutazione stessa”. E di dati sufficienti a capirne l’impatto sulla biodiversità, per cui si invitano “i gestori del rischio a prendere in considerazione misure di mitigazione”.
Un’altra considerazione è degna di essere riportata e riguarda l’ecotossicologia. L’Efsa scrive

“il pacchetto di dati ha consentito un approccio conservativo alla valutazione del rischio, identificato come elevato a lungo termine per i mammiferi, in 12 dei 23 usi proposti dal glifosato”.

Una promozione con riserva per alcuni, una seria minaccia per l’uomo e per l’ambiente per molti che osservano come avrebbe imposto almeno l’attuazione del principio di precauzione. Il Pesticide action network europeo lo definisce invece uno schiaffo in faccia ai molti scienziati indipendenti, a tutti i cittadini che perderanno la fiducia nelle istituzioni, così come a quei politici che vedono la necessità di proteggere la biodiversità, e il futuro della produzione alimentare, la salute e la sicurezza dei lavoratori agricoli. “Sebbene l’Efsa – dichiara Angeliki Lysimachou, Head of Science and Policy presso Pan Europe – riconosca che i prodotti a base di glifosato possano danneggiare la biodiversità, essere neurotossici e influenzare il microbioma, si astiene dal fornire un parere negativo e sposta invece la responsabilità sugli Stati membri che non esaminano mai la tossicità umana a lungo termine dei loro prodotti, nonostante i requisiti della legge Ue”.

Sotto scacco clima e api

Se solo si tenessero in considerazione gli impatti sull’ambiente, invece, la decisione dovrebbe essere obbligata. Dal 2016 al 2020, per esempio, l’uso del glifosato nel Regno Unito è aumentato del 16%, generando più di 80mila tonnellate di CO2 equivalenti a oltre 75.000 voli da Londra a Sydney. A dimostrarlo un dossier di Pan Uk, secondo cui esiste un vero e proprio circolo vizioso tra l’impiego di pesticidi e il cambiamento climatico. Un legame dovuto alla crescita complessiva del loro utilizzo il cui ciclo di vita – dalla produzione al trasporto fino ai campi – è strettamente collegato ai combustibili fossili. Al tempo stesso però l’aumento della temperatura, indotto dai cambiamenti climatici, provoca a sua volta una maggiore diffusione di insetti e parassiti, peraltro sempre più resistenti ai fitofarmaci, con la conseguenza che ne aumenta l’utilizzo in agricoltura. In barba agli obiettivi della Strategia Farm to Fork e del Green Deal europeo tanto invocato negli ultimi tempi.
“C’è poi l’impatto devastante che hanno sugli insetti impollinatori, api comprese”, commenta Federica Ferrario di Greenpeace Italia. Emblematico il caso della Lombardia dove, nella primavera scorsa, si è registrata una perdita di almeno dodici milioni di api che hanno lasciato i loro alveari in cerca di polline e nettare per la sussistenza della colonia e la produzione di miele, senza fare ritorno. “Le zone interessate – spiega Ferrario – sono caratterizzate da maiscoltura destinata agli allevamenti intensivi che spesso comprende il trattamento in presemina con diserbanti come il glifosato, causa di importanti effetti collaterali nei confronti di api e insetti, come dimostrano diversi studi scientifici”.
Si tratta poi di prodotti che vengono assorbiti dalle piante, anche quelle spontanee presenti a bordo campo, e che rimangono nell’ambiente determinando un’elevata e continua esposizione degli insetti.
“Monoculture, pesticidi e cambiamento climatico sono i peggiori nemici di api e impollinatori in generale, fondamentali nella tutela del nostro delicato equilibrio ambientale. Nemici legati a doppio filo ad un modello di sviluppo e di produzione industriale del cibo che non è più sostenibile, non solo sul lungo periodo, ma neppure ora”, conclude Greenpeace. Anche perché alternative a una agricoltura dipendente dal glifosato esistono e vengono già utilizzate, ad esempio, dagli agricoltori biologici e da coloro che praticano una gestione integrata degli infestanti. E che ne chiedono la messa al bando.

Riccardo Quintili

13/10/2023 https://ilsalvagente.it/

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