Non sapevo che passavi

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Mi è subito venuto in mente, facendo scorrere le pagine di questo libro, ad un ponte tra due opere straordinarie, Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia e La fine degli eroi di Jean Jono.

Non sapevo che passavi di Stefano Domenichini ci dà un senso di alta letteratura, se la letteratura ha anche il compito e la responsabilità di riscattare personaggi, fatti e vicende che la storia tende a dimenticare.

Ecco, mentre Pontiggia inventa i suoi personaggi dentro esistenze oscure, personaggi destinati a non lasciare il segno in alcun modo, mentre Jean Jono, francese, è sollevato dai buoni sentimenti della provincia italiana, Domenichini si cala in una realtà dimenticata e studia in profondità i fatti e i personaggi che ci racconta, offrendoci uno spaccato di loro attraverso un breve aneddoto della loro vita che li caratterizza per intero.

Sarebbe sbagliato definirli bozzetti questi aneddoti, queste parentesi di vita, versate sulla pagina con una competenza che non è mai fredda, dotati di un realismo impietoso attraversato da slancifantastici, visibili soltanto dentro la superficie delle apparenze, senza falsi moralismi.

Questi racconti hanno tutti un’identità, identità come esperienza dove si crea una storia, poi ci si chiede: adesso è possibile dare un senso?
E su questo Domenichini scommette fino in fondo senza perdersi, tenendo un ritmo che lo lega parola dopo parola in una narrazione che tiene per mano dalla prima pagina.

Non sapevo che passavi raccoglie vite di Bob Kaufman (Poeta), Giuseppe Ticozzelli (calciatore), Jarno Saarinen (motociclista) Benny Hill (comico). Personaggi molto noti al pubblico, ma sono presenti anche personaggi scivolati nel dimenticatoio.

Tutti sono finiti in pasto e nel tritacarne di un autore come Stefano Domenichini che con proverbiale bravura e anche ironia, tengo a sottolineare un’ironia sottile, arguta e intelligente e non figlia di una goffa sguaiataggine, parte da vicende reali arricchendole con la risorsa dell’immaginazione.

Domenichini ne tratteggia le figure partendo da solide basi di vita vera e con l’abilità e la scaltrezza del grande narratore.
Le atmosfere di questi racconti sembrano quasi fisiche e ciò ne segna un punto di forza, frammenti di una narrativa che non crede di attribuire un significato perché lo dà per scontato, valorizzando tutto ciò che non è solo cronaca, ma storia.
Luci che squarciano il buio profondo di quelle trame il credo di Domenichini chiede a gran voce l’indagine minuziosa e accorta e se la scrittura si asciuga, in poche e graffianti parole ne conserva una ricca forza affabulante.

Come nel racconto Marcinelle (cartoline sommerse) quando fa una riflessione profonda nella sua narrazione cinica e brutale nell’affermare che il grande problema della politica è sempre stato cosa farsene della gente. La soluzione classica è la guerra. Prendi gli esuberi, li mandi in montagna o in qualche spianata senza via di fuga, e poi ancora alternativa alla guerra, vendere gli esuberi al miglior offrente. Emigrazione e guerra: sono loro i migliori turnisti dell’equilibrio sociale.
Allora non mi sento di dire che Stefano Domenichini opera una rivoluzione nel vero senso della parola, ma come si direbbe in politica e lo si può dire anche in letteratura, c’è un rinnovamento in atto che opera una mobilitazione dal basso.
Questo concetto è azzeccatissimo se usato per l’epoca che stiamo vivendo,

un’epoca che tende a cancellare la storia e con essa anche tutte le piccole storie intorno che l’hanno sostenuta.
Questo anche per dire che nessuna mobilitazione dal basso riuscirebbe ad avere rappresentanza e visibilità. In questo caso devo dire che Stefano Domenichini ha tracciato una strada.

Questi racconti, profondi e divertenti nello stesso tempo, belli per l’empatia che trasmettono al lettore e per l’intensità dello stile narrativo, per la sottile ironia e per il realismo con cui Domenichini riesce a trattare storie non affatto scontate senza incappare in cliché stereotipati, sciogliendo con naturalezza tutti i suoi personaggi in atteggiamenti caricaturali che mostrano tutta la loro carica dirompente.

In sintesi è un libro che fa stare bene. Straripa di affondi graffianti e riflessioni profonde e acute, dalle prime righe, odori, sapori, immagini, personaggi sono legati al nostro immaginario ma anche alla nostra vita quotidiana.
Credo che il lettore alle prese con questi racconti comincerà a sorridere contagiato dal fascino delle parole e sarà addirittura un turista in viaggio tra queste pagine perché scoprirà il desiderio di abbeverarsi come una tazza di te nel deserto, perché il divertimento si maneggia per fortuna anche attraverso una certa qualità di scrittura.
E allora, facendo una riflessione sul titolo di questo libro Non sapevo che passavi mi viene da aggiungere ma ti stavo aspettando perché queste storie di cui forse, in un certo senso ne andrebbe smarrita la memoria, ricompaiono in queste pagine per tornare a girare nel mondo, uscendo dal loro contesto, fagocitati da quest’epoca un po’ inquieta. È vero possono essere anche storie di cui non ci frega niente, ma che piaccia o meno sono storie che appartengono a tutti noi.

Stefano Domenichini
Arkadia, 2020

Giorgio Bona

Scrittore. Collaboratore di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile

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