Nuovi rigurgiti dell’imperialismo straccione

1. La definizione di “imperialismo straccione”, come è sin troppo noto, è stata di Lenin, in riferimento alle mire espansionistiche del capitalismo italiano verso la mitteleuropa e i balcani partecipando alla Grande guerra. Straccione, perché il suo sviluppo era iniziato con ritardo rispetto a quello degli altri Stati imperialistici (Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Giappone, Germania, Austria ed anche Turchia) ed avvenuto con eccessivo protezionismo e soprattutto sfruttando in modo selvaggio, dopo l’Unità, il Mezzogiorno, del quale analizzarono superficialmente alcune cause prima Gaetano Salvemini e Guido Dorso e dopo, con un’analisi storica ed economica molto approfondita, Gramsci, il quale ha messo in risalto la questione contadina, quella vaticana e la grande disgregazione del tessuto sociale che ne è scaturita con il drenaggio e il trasferimento di forza-lavoro (migrazione interna da Sud a Nord ed estera verso le Americhe e l’Australia) a basso costo, con la crisi delle piccole attività imprenditoriali nel settore zolfifero in seguito alla scoperta negli Stati Uniti di procedimenti estrattivi più economici, attività che a loro volta si basavano, oltre che su salari di fame, impiegando migliaia di ragazzini (i carusi) al di sotto dei quattordici anni nel trasporto del materiale estrattivo in superficie e nelle attività collaterali, quando in molti Paesi europei il lavoro minorile era espressamente vietato dalle rispettive legislazioni; nonché soppiantando l’industria artigianale nel settore della lavorazione della seta e delle costruzioni legnose (piccoli cantieri navali per barconi da pesca e da trasporto, mobilifici e arredi, sviluppatisi nel tempo per la bravura e abilità di chi vi lavorava) per favorire la grande industria tessile del Piemonte e le industrie del Nord in generale; infine raccattando i risparmi della piccola borghesia urbana e rurale a favore delle grandi banche.

Oggi i nuovi rigurgiti dell’imperialismo straccione si riscontrano in quello che dirò in seguito, essendosi aggravati i vecchi problemi storici come l’irrisolta questione meridionale, il supersfruttamento della forza-lavoro con bassi salari e tempi di lavoro superiori a quelli previsti dai contratti lavorativi dei diversi settori, il lavoro nero o con contratti a tempo determinato precari e falsati (meno ore e meno remunerazione sancita nel contratto rispetto alle ore effettive di lavoro prestate), che vedono impegnati tanti giovani (maschi e femmine) come commessi in piccole e medie attività commerciali, alberghiere e turistiche; tanto da far scrivere nelle statistiche e da far vantare i governanti che la disoccupazione in Italia è diminuita. E di rimando l’incoraggiamento all’evasione fiscale, i condoni e le sanatorie di ogni tipo per gratificare l’elettorato che ha fatto stravincere il centro-destra e fargli mantenere il consenso nelle prossime elezioni europee. Si aggiunga la mancata tassazione dei superprofitti nelle attività finanziarie, in quelle degli oligopoli energetici e dei concessionari dei servizi pubblici, in seguito al vertiginoso aumento delle bollette di luce, gas, acqua, rifiuti solidi urbani, pedaggi autostradali, ticket sanitari; per non parlare dei grandi profitti che emergono nei settori della sanità privata, dei trasporti e di tutto quanto è stato privatizzato negli ultimi quarant’anni; infine, dei grossi profitti che si stanno per realizzare nei nuovi settori economici, interessati dalla cosiddetta “transizione energetica”.

2. Giorgia Meloni dopo il suo insediamento, oltre all’immediata declamazione di fedeltà assoluta all’imperialismo americano, appoggiando tutte le operazioni di guerra da esso provocate e sostenute come in Ucraina e in Palestina, in compagnia dell’Unione Europea, oppure in quelle direttamente partecipate come in Siria e Iraq, ha completamento capovolto le demagogiche affermazioni nel corso della precedente campagna elettorale per allinearsi con la politica del nascente polo imperialismo europeo, sia in quella estera, sia in quella monetaria e sia in quella economica su tutti fronti (sanzioni alla Russia, che tra l’altro si sono ritorte contro i promotori provocando una stagnazione economica in tutta l’Unione Europea con pericolo di recessione, nuovo patto di stabilità, sostegno alle multinazionali, politica agricola comune, età pensionabile, ecc.).

Il sostegno in generale alla politica guerrafondaia ed economica dell’Occidente collettivo è stato anche propagandato con delle iniziative, delle quali si rivendica a gran voce la primogenitura o la rilevante partecipazione. Mi riferisco al cosiddetto “Piano Mattei”; alla presenza di unità navali italiane al seguito di quelle anglo-americane e di altri Paesi dell’Unione Europea nel Mar Rosso (con comando tattico affidato all’Italia) nelle operazioni militari per bombardare il territorio yemenita governato dagli Houti, i quali in aiuto dei palestinesi e contro l’occupazione militare israeliana di Gaza, cercano di impedire alle navi israeliane e a quelle dirette nei porti della Palestina occupata di transitare nel Mar Rosso; al viaggio di qualche giorno addietro del presidente del Consiglio in Giappone per declamare la presenza italiana nel settore strategico indo-pacifico.

3. Il cosiddetto “Piano Mattei” è gia un affronto nella stessa definizione verso l’intraprendente imprenditore pubblico italiano che si è messo in risalto nel secondo dopoguerra nel settore degli idrocarburi, per costruire dopo l’AGIP un Ente di diritto pubblico (ENI) che favoriva la ricostruzione dell’industria italiana con una materia prima (metano) estratta nella Pianura padana e soprattutto petrolio procacciato da accordi di reciproco vantaggio stipulati con Paesi esteri di nuova indipendenza: accordi che hanno fatto saltare il fifty-fifty imposto dalle “Sette sorelle” ai Paesi produttori e che andava a loro beneficio ed a quello della corrotta classe dominante indigena (latifondisti e borghesia compradora).

L’accordo con Nasser nel 1958 istituiva il principio di fondare una partnership tra l’ENI e una analoga e nascente Società pubblica energetica egiziana sfruttando, però, una quantità limitata di greggio che era stato scoperto, mentre quello con l’algerina Sonatrach nell’estate del 1962, dopo la vittoriosa guerra di liberazione ad opera del FLN (che Mattei aveva in precedenza finanziato), avrebbe sfruttato, come in seguito si è dimostrato, ingenti risorse che si trovavano nel sottosuolo desertico tanto da convincere immediatamente le “Sette sorelle” a punire Enrico Mattei con la sua eliminazione fisica.

Il cosiddetto “Piano Mattei” è, invece, un tentativo neo-coloniale per agganciare il governo italiano tramite l’ENI allo sfruttamento di alcune risorse africane e medio-orientali, limitatamente agli spazi concessi all’Italia dall’imperialismo americano come gratifica per essersi subordinato all’egemonia militare ed economica di oltre Atlantico. Sfruttamento che avviene ad un costo superiore, rispetto al prezzo ad esempio che l’ENI pagava per acquistare il gas e il petrolio russi in seguito agli accordi stipulati da mezzo secolo e utilizzando gasdotti e oleodotti costruiti in quel tempo. Tra l’altro, detto per inciso, l’accordo recente con la Sonatrach algerina per importare gas, stipulato dopo la rescissione dei contratti con Gazprom, in seguito alle sanzioni europee verso la Russia, favorisce indirettamente egualmente Gazprom, poiché da tempo aveva costituito con Sonatrach una joint-venture.

La pretesa di Meloni di costituire un hub energetico in Italia con materia prima che arriva dai Paesi produttori e con mercato di esportazione in tutta Europa, da un lato è velleitaria perché nel Nord Europa arriva il gas norvegese e si sfrutta appieno quello olandese che permette tra l’altro all’Olanda, rifornendo tutte le serre che ivi sono state create, di essere il maggior esportatore di pomodori a livello mondiale, superando nella competitività i prodotti dei Paesi europei mediterranei, i cui processi di coltivazione sono spesso a pieno campo, quindi sfruttando l’energia solare a basso contenuto entropico, a differenza di quella metanifera impiegata nelle serre olandesi a più alto contenuto entropico, sebbene apparentemente a minor costo economico. Sottolineo “apparentemente”, perché il basso costo economico è poi pagato dalla collettività come costo sociale per l’inquinamento determinato in termini di danni alla salute, costo dei farmaci e mortalità per incidenti stradali nel corso dell’esasperato trasporto di prodotti nelle autostrade dal Nord verso il Sud, dove il prodotto, invece, potrebbe essere incrementato attraverso un’oculata politica agraria in difesa degli interessi degli agricoltori locali e non delle multinazionali preposte nel settore della lavorazione e distribuzione dei prodotti agricoli su grandi aree geografiche. Dall’altro lato, il progetto di costruire nel territorio italiano un hub energetico è un déja vu della politica dei “Poli di sviluppo”, intrapresa negli anni Cinquanta per raffinare il petrolio grezzo importato dal Medioriente e dal Nord Africa con lo smistamento dei derivati in Europa e anche nei Paesi produttori (che grande beffa!). L’inquinamento lo ha pagato principalmente il Mezzogiorno d’Italia con la devastazione delle sue coste, dei suoi paesaggi e dei terreni agricoli, nonché alcune strisce costiere del Nord del Mari Tirreno ed Adriatico (Civitavecchia, La Spezia, Falconara Marittima, Marina di Ravenna, Laguna veneta, ecc.). Quindi la costruzione dei rigassificatori per evitare l’importazione del gas russo (che tra l’altro è stato a basso prezzo) significa, oltre al maggior costo economico, un ulteriore aumento dell’inquinamento per favorire le scelte eurocratiche neo-imperiali. Giustamente le popolazioni locali interessate dalla costruzione dei rigassificatori si oppongono fermamente.

4. La missione italiana nel Mar Rosso è una missione di guerra in violazione dell’art. 11 della Costituzione (tra l’altro in questo caso senza l’autorizzazione del Parlamento italiano). Violazione ripetutamente effettuata da tutti i governi italiani che si sono succeduti dal 1991 ad oggi: in Iraq in epoche diverse con la presenza di truppe; in Jugoslavia con i bombardamenti dei nostri aerei e con quelli dei Paesi NATO che partivano principalmente dalle basi nel nostro Paese; in Afghanistan con l’invio di truppe; aggredendo la Libia per rovesciarne il legittimo governo con azioni di guerra aerea e marittima, sempre utilizzando le infrastrutture italiane; con la concessione di armi al governo nazifascista ucraino come ariete di una futura guerra della NATO verso la Russia; infine lasciando compiere ad Israele il genocidio del popolo palestinese, limitandosi al consiglio di non esagerare. Sappiamo bene cosa hanno comportato queste azioni aggressive verso i popoli che le hanno subite: distruzioni, perdite umane, fame e sofferenze che hanno rinfocolato i processi migratori già esistenti da tempo, in seguito alle carestie per la devastazione dei terreni coltivati, anche in seguito alla diffusione di procedimenti agronomici fondati sull’eccessivo impiego di fertilizzanti e antiparassitari derivati dalle industrie petrolchimiche, nonché in seguito ai cambiamenti climatici che hanno accentuato il fenomeno della desertificazione, dell’impoverimento delle acque dei fiumi e dei laghi, oltre che all’inquinamento per il versamento in queste acque di prodotti tossici, in seguito all’utilizzazione delle medesime per l’estrazione, e il lavaggio dei minerali pregiati da parte delle imprese multinazionali che hanno assoggettato in particolare l’Africa sin dalla diffusione del colonialismo. E verso gli stessi popoli europei, in particolare verso il popolo italiano, che sono stati sottoposti a subire un incalzante sciovinismo che ha maggiormente influenzato non solo gli strati meno coscienti, ma anche parte di quelli che una volta erano abbastanza coscienti, grazie anche all’azione ideologica e politica dei partiti, sia storicamente di quelli di matrice fascista o colonialista, sia di quelli che si definiscono di sinistra.

Le piazze europee che nel secondo dopoguerra avevano almeno un comune denominatore, quello della pace e contro il disarmo nucleare, ora sono in parte assopite con la svolta neocoloniale e sfacciatamente guerrafondaia per la sopravvivenza del sistema capitalistico da parte della grande borghesia finanziaria europea, diventando purtroppo anche ricettive di razzismo verso gli extra-comunitari, approfittando delle azioni negative commesse da una piccola minoranza che si è integrata come manovalanza nel settore dei traffici illeciti e delinquenziali (rapine, droga, prostituzione, ecc.) già presenti nelle società europee prima del loro arrivo.

5. Nel corso della sua prima visita all’estero, in qualità di presidente di turno del G7, Giorgia Meloni, andando in Giappone ha affermato che la collaborazione strategica tra l’Italia ed il Giappone esiste da lungo tempo e crescerà nel futuro non soltanto nel settore industriale ma anche in quello delle relazioni militari con l’accentuata presenza italiana nell’indo-pacifico. Esistono già, come è noto, alcune unità della marina italiana al seguito della settima Flotta americana che in quei due oceani vi scorazza da tanti decenni. Come vi scorazza quella inglese e anche francese (l’ipocrisia macroniana è perfetta nel volere buoni rapporti con la Cina e legarsi agli interessi strategici dell’Occidente collettivo) per difendere ciò che è loro rimasto delle occupazioni coloniali e degli interessi neocoloniali. Tutte queste flotte aumenteranno la loro consistenza e ad esse si sono aggiunte quelle sud-coreane, giapponesi, filippine e taiwanese, il cui riarmo è stato sponsorizzato e sostenuto dagli Stati Uniti nel tentativo di creare una cintura blu contro la Repubblica Popolare Cinese, considerata ormai apertamente il nemico strategico dato che può colpire con il suo dinamismo politico e commerciale gli interessi storicamente consolidati dell’imperialismo.

Nel servizio televisivo sul viaggio della Meloni in Giappone si accennava a “rapporti millenari”. Non ho capito bene, ascoltando un notiziario televisivo, se è stato un lapsus del presidente del Consiglio o del giornalista che ha curato il servizio.

Come è noto, l’impero romano, attraverso l’intermediazione di mercanti mediorientali e asiatici era riuscito a far arrivare le sue mercanzie fino in Cina ed a comprare le pregiate sete cinesi indossate dalle famiglie patrizie. Marco Polo era arrivato, per conto della Repubblica veneziana, fino in Cina diversi secoli dopo il crollo dell’impero romano, ma non in Giappone e quello che oggi si definisce Occidente collettivo ha intrapreso relazioni economiche, commerciali e militari col Giappone a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando questo Paese spezza l’auto-isolamento feudale che si era imposto ed inizia ad industrializzarsi costruendo velocemente le infrastrutture ferroviarie e la flotta militare per la sua espansione imperialistica (partecipazione ai trattati ineguali verso la Cina, guerra con la Russia nel 1905, occupazione di porti cinesi; quindi l’occupazione della Manciuria nel 1931 e il brutale massacro di Nanchino nel dicembre del 1937 che segnano il vero inizio della seconda guerra mondiale, cioè prima ancora del famoso 1° settembre del 1939 quando la Germania nazista invade la Polonia, data riportata nei libri occidentali come l’inizio del secondo conflitto mondiale.

Forse quella falsa dizione di “rapporti millenari” doveva intendersi come rapporti ultradecennali, dato che l’Italia è stato un membro dell’Asse nazifascista Berlino-Roma-Tokio. Di conseguenza i buoni rapporti con Tokio nell’indo-pacifico sono premonitori di nuove avventure belliche. Tra l’altro questi nuovi rapporti militari seguono l’abbandono da parte del governo Meloni del Memorandum sulla Nuova Via della Seta, firmato nel 2019 dal governo Conte con la Repubblica Popolare Cinese, quale primo gesto di servilismo verso il padrone americano, il quale non lo aveva digerito, come non lo avevano digerito nemmeno i governi tedesco e francese, che pure hanno avuto ed hanno buone relazioni economiche e commerciali con il gigante asiatico. perché rappresentava un atto di indipendenza rispetto al condominio franco-tedesco nella gestione dell’Unione Europea.

Certo, quando si fa cenno all’Occidente collettivo non i vuol dire che sono scomparse le divergenze interimperialistiche. Si vuol mettere in evidenza che tali divergenze, pur esistendo, sono in questo momento storico messe in secondo piano dall’esigenza di creare un Fronte unito con leadership americana per contrastare gli sconvolgimenti internazionali per un mondo fondato sulla parità tra Paesi grandi e piccoli, sugli scambi economici basati sul reciproco vantaggio, sulla tendenziale creazione di un sistema monetario che soppianti l’egemonia del dollaro che favorisce la Federal Reserve, i grandi banchieri americani, la politica del complesso militare industriale americano, ma anche di quelli nascenti nell’Unione Europea e in Giappone, per finanziare le loro guerre nel mondo.

Giuseppe Amata

12/2/2024 https://www.marx21.it/

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