Parola vietata ai dipendenti pubblici

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L’obbligo di fedeltà alle imprese e i relativi codici disciplinari ignorano il diritto di parola sancito dalla Costituzione? E allora? La Costituzione non è più il faro – sulla carta perchè dal 1 Gennaio 1948 ad ogg è stata applicata solo un piccola parte dei governi e degli altri poteri dello Stato italiano che l’hanno vissuta sempre come intralcio alla discrezionalità – tanto vero che non si sono fatti scrupoli nel violentarla con presunte riforme dopo aver tentato di modificarla interamente con un referendum nel 2016, che hanno miseramente perso.

In sostanza i 3,2 milioni di dipendenti pubblici non potranno esprimere le loro opinioni sulle condizioni lavoro (giudicate, a prescindere dalla corretteza e giustezza, lesive verso il datore di lavoro) e neanche fare proposte per migliorarle pubblicamente. Tutto parte, concretamente, dalla bozza del decreto del governo Draghi sui “comportamenti che il personale della Pubblica Amministrazione dovrà tenere dentro e fuori i luoghi di lavoro”, bozza aiuta il governo Meloni a decretare il “reato di opinione” che ci riporta al ventennio fascista. Da quella barbarie si differenzieranno solo i metodi, non si useranno più olio di ricino e dal manganello ma metodi raffinati come la sorveglianza digitale e la repressione tramite provvedimenti disciplinari fino al licenziamento. E’ gia capitato a tante e tanti durante il picco della pandemia Covid 19, in particolare infermieri e medici.

Avanza speditamente la totale privatizzazione della Pubblica Amministrazione – dopo appalti, esternalizzazioni a tappeto e affidamento dei servizi essenziali, come la gestione dell’acqua pubblica alle Multiutility – considerata nelle sue articolazioni locali come imprese private. Quindi verrà emesso l’editto presidenziale (nel senso che Mattarella firmerà ogni atto del governo meloni come ha fatto con il governo Draghi) comunicando al dipendente pubblico che dovrà lavorare in silenzio e soddisfare qualsiasi ordine non permettendosi di considerare se tale ordine metterà a rischio non solo la sua dignità ma la stessa salute e sicurezza sul lavoro. Però deve aavere anche chiaro che si deve astenere da ogni opinione anche nel suo tempo libero e ponderare molto bene il rischio che corre anche durante l’eventuale attività sindacale.

Anche per questo ci sembra pericoloso la sottovalutazione, e l’assenso di una parte, dei maggiori sindacati.

Redazione di LavoroeSalute


Informazione: “Nel 2022 più giornalisti minacciati ma meno denunce alle autorità”

I dati dell’Osservatorio Ossigeno: “Raddoppiate in un anno querele, cause temerarie e intimidazioni, si denuncia meno per paura”

Nel 2022 in Italia sono stati minacciati il doppio di giornalisti rispetto all’anno precedente: 564 nei primi nove mesi del 2022 contro i 288 dell’analogo periodo del 2021. Contestualmente sono diminuite le denunce presentate alle forze dell’ordine dai minacciati ed è cresciuta la quota di querele e cause per diffamazione a mezzo stampa temerarie e strumentali. Lo rende noto Ossigeno per l’Informazione, presentando gli ultimi dati dell’Osservatorio sulle minacce ai giornalisti e sulle notizie oscurate con la violenza.

È aumentata in particolare la parte di intimidazioni e minacce realizzata attraverso querele e cause per diffamazione a mezzo stampa pretestuose o infondate, frutto di una legislazione anacronistica e ingiusta, che mostrano il lato italiano di quell’ “uso scorretto del sistema giudiziario” denunciato dell’Unesco in uno studio appena pubblicato.

Spiega Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno: “Le intimidazioni e le minacce ai giornalisti sono innegabilmente una malattia che indebolisce la libertà di informazione e danneggia la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Le malattie trascurate, non curate possono degenerare e produrre danni peggiori all’organismo. Ed è forse ciò che sta accadendo”.

I dati del ministero dell’Interno: “Atti intimidatori in calo”. La replica: “Si denuncia di meno per paura”

Tuttavia i dati registrati dall’Organismo permanente di supporto al Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti del ministero dell’Interno per i primi nove mesi dell’anno registrano un calo delle minacce subite dagli operatori dell’informazione: “Sono 84 – si legge nel report dell’Interno – gli episodi intimidatori commessi in Italia nei primi nove mesi del 2022 nei confronti di giornalisti, rispetto ai 162 registrati nello stesso periodo del 2021, con una flessione del 48%“.

La replica di Ossigeno: “Questi dati del Viminale non dicono che ci sono state meno minacce ai giornalisti. Dicono letteralmente che quest’anno meno giornalisti hanno denunciato le minacce a loro danno. Ciò significa che i giornalisti italiani denunciano le minacce meno spesso di prima. Perché? Hanno meno fiducia negli interventi delle autorità, o sono più rassegnati o semplicemente hanno più paura di prima e perciò subiscono più spesso senza reagire? Questo aspetto sarà oggetto di approfondimento. Certamente però si può dire che la diminuzione delle minacce registrate dal Viminale non è una buona notizia, non è un segnale rassicurante. È anzi un ulteriore segnale di allarme”.
Lazio e Lombardia le regioni con maggiori minacce

Dai dati del Ministero emerge che per l’88% dei casi “le vittime sono 74 professionisti dell’informazione, tra i quali 21 donne (28%) e 53 uomini (72%). Il 19% delle segnalazioni totali è relativo ad episodi intimidatori perpetrati nei confronti di sedi giornalistiche o di troupe non meglio specificate”. Le regioni più colpite sono “Lazio, Lombardia, Campania, Calabria e Toscana, con 57 episodi complessivi, pari al 68% del totale”.

Enrico Cinotti

28/12/2022 ilsalvagente.it

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