Perchè il Polo bellico in Italia

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Costituzione di due poli di produzione, ricerca e sviluppo bellici nel mondo: uno negli USA, l’altro a Torino! La notizia sembra una di quelle che debbano riempire le prime pagine dei giornali, torinesi, italiani ed economici. Invece: nulla, qualche raro trafiletto qua e là, qualche parola bisbigliata negli uffici del Comune di Torino, nella direzione del Politecnico torinese, discrezione assoluta presso i ministeri interessati quali Difesa, Sviluppo economico. Nessun titolone. Posta così la questione, il pensiero va all’ennesima fake-news. La cosa, invece, è vera, seria e sta procedendo spedita; nel silenzio, nella discrezione. Perché, negli affari militari, quelli seri, tutto avviene nel riserbo, meglio se nel segreto.

Non tutto si può segretare, come ad esempio, la costituzione di un Distretto Aerospaziale Piemonte che vede una Presidente già insediata, prestata dal Politecnico di Torino, di nome Fulvia Quagliotti. E’ pur vero che si parla di aerospazio ma che ricade subito sotto la dicitura obbligatoria UE del Regolamento doganale CE 428 che esplica il termine “dual use”. Simpatica allocuzione inglese che sta per “civile e militare”. E così, ciò che viene illustrato come civile è, in realtà, militare. Ma se tutte le aziende e gli enti pubblici coinvolti sono torinesi, perché chiamarlo “piemontese”? Forse perché Cameri (in provincia di Novara) deve essere parte integrante e obbligatoria? E cosa succede a Cameri? Si costruiscono gli F-35 (caccia-bombardiere NATO, targato Lockheed Martin) che più che double-face sono proprio militari.

Ma torniamo a Torino: in quel di Corso Marche, sino a Corso Francia, hanno luogo aziende blasonate del business militare: Leonardo, Thales Alenia Space Italia, Altec, Avioaero. Sì, certo: si costruiscono anche parti di aerei civili di linea ma sta proprio qui il dual-use, le tecnologie applicate sono le medesime. Un’ala di aereo può portare medicinali ma anche missili e bombe. Sempre di ala di aereo si parla. Una volta denominata quella zona come Distretto aereonautico, il bellico è già interno, è intrinsecamente dual-use.

Nel 2019 la NATO fa circolare a Bruxelles una serie di paper, non ancora progetti veri e propri dove si illustra la bellezza di sviluppare produzioni di tecnologia USA in Europa con siti diffusi e con un centro (coordinamento) tutto europeo. Per il bene dell’Europa si fa questo ed altro. Nel 2021 la NATO presenta formalmente il progetto complessivo che prevede una fitta rete di strutture: 9 “Acceleratori”, 47 Centri di prova distribuiti in 20 paesi europei aderenti alla NATO. Il polo europeo, come detto è a Torino, grazie al Distretto Aerospaziale in cui trovano convergenza le industrie aerospaziali, il Politecnico di Torino, l’Università del Piemonte Occidentale, la CCIAA di Torino, l’Università di Torino, il Comune di Torino, Centri di ricerca.

Il D.I.A.N.A., che sta per Defence Innovation Accelerator for North Atlantic, è Nato!
Piomba a Torino nel gennaio di quest’anno David van Weel, Assistant segretary general for Emerging Security Challenges della NATO accolto trionfalmente da Luciano Portolano (Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti) nonché da Alberto Cirio (Presidente Regione Piemonte) e da Stefano Lo Russo (Sindaco di Torino). In quell’occasione il milite offre a Torino “la grande disponibilità e opportunità che il territorio offre per l’insediamento dell’unico ufficio regionale del DIANA in Europa grazie ad un ecosistema particolarmente solido” (1). La festa è corroborata dal sostegno della ventilata creazione del “Nato Innovation Fund”, il primo fondo di capitale di rischio multi-sovrano al mondo, con una dote di 1 miliardo di euro e programmi di investimento in start-up e altri fondi tecnologici in line con gli obiettivi strategici.

Si paventa una ricaduta economica sul territorio di 3 miliardi di euro con la creazione di 2.500 posti di lavoro. Come se non fosse sufficiente, solo nei primi giorni di giugno la giunta torinese Lo Russo ha votato con la destra compattamente una mozione che invita il Sindaco “a sostenere e facilitare in tutte le sedi la candidatura di Torino ad ospitare la sede europea delal futura struttura del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (Diana). Qui, chiaramente, non si tratta più di abbaglio ma, più propriamente, di adesione illimitata alla produzione bellica. Registriamo, per amor di patria (si fa per dire…) che hanno votato contro solo i consiglieri M5S, mentre quelli di Sinistra Ecologista hanno preferito disertare il voto.

Alcune considerazioni debbono essere portate all’attenzione dei lettori. La prima è la voluta coincidenza fra Europa e Nato. Come sappiamo la Nato è affare ben diverso dall’Europa e, infatti, sembra proprio questo uno degli obiettivi del progetto: l’Europa deve essere Nato. Detto in altri termini: la pretesa dell’Europa di non essere egemonizzata dagli USA deve essere annullata; per manu militari, è il caso di dire. Questa confusione artata fra Nato ed Europa è fra gli elementi portanti della surreale discussione sulla guerra in Ucraina: l’Europa decide (o si presta come portavoce), la Nato dispone. Teniamo presente che il progetto D.I.A.N.A. è ben precedente allo scoppio della guerra ucraina, la guerra non è un alibi alla portata, in questo caso.

La seconda considerazione è data dall’apparente naturalezza della definizione di “dual-use”. L’intenzione militare è quella di dimostrare che non esiste nulla che non sia anche ad uso bellico e che, di conseguenza, è sterile e specioso mettersi a filosofeggiare su produzioni estranee all’industria bellica. La guerra è sempre esistita, quindi si è sempre prodotto per la guerra, quindi produrre armi è naturale.

La guerra è parte della natura del mondo. Non vorrei essere più malpensante di quanto già io non sia ma temo che su questa ambiguità stiano cadendo le organizzazioni sindacali confederali: vedere in ciò solo i promessi 2.500 posti di lavoro e non vedere la produzione di morte. Sempre che si parli di buona fede, beninteso. Tutt’al più si preoccupano che i nuovi 2.500 occupati siano regolarizzati, non precari. A rafforzare questo timore le recenti dichiarazioni di Fiom-Cgil che, preoccupate dall’occupazione effettiva e non aleatoria, neppure parlino di industria bellica in un progetto che porta l’unica targa della NATO. Abbagliate dalla definizione fittizia di “Polo aeronautico”?

Dov’è finita la tensione etica della trasformazione delle industrie belliche in industrie pacifiche? Basta l’alibi del “dual-use” per risolvere il problema? O, forse, si prevede un controllo popolare in fabbrica sulla costruzione di droni per assicurarsi che siano ad uso agricolo e non per uccidere? E pensare che una lunga tradizione del movimento operaio ha affermato ben chiara l’idea che è nei diritti dei lavoratori non solo mettere in discussione “come” si lavora ma “per cosa” si lavori.

In una Torino massacrata dalla crisi dell’automotive, quante imprese dell’indotto auto finiranno per essere attratte dal lavorare per l’unico settore industriale che sembra assicurare espansione senza limiti per sopravvivere, quello della guerra? In questa considerazione non ci si può limitare alla sola dimensione industriale ma occorre pensare alla moltitudine di lavoratori che una volta definivamo “atipici”, consulenti, a progetto, ecc. Per quanti di loro il dual-use diverrà alibi obbligato per sfangare il lunario? Temere che il confine tra guerra e pace vada rarefacendosi fino a perdersi in una normalità che vuole sembrare naturalezza non sembra poi così azzardato.

Elio Limberti

Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

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