Porte aperte alla corruzione nella pubblica amministrazione

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D’ora in poi abusare del proprio potere dirigenziale e funzionariale nel pubblico è un diritto per legge dei potenti perchè ora l’abuso negli atti d’ufficio è incentivato per Legge e permette – ai già obesi di stipendi dorati – dirigenti e funzionari di delinguere nelle funzioni pubbliche (non è che ad oggi non è stato mai fatto, anzi) ma formalmente era vietato dalla Legge.

Nel silenzio vociferato dei grossi media è stata approvata dala maggioranza governativa, e paragovernativa (vedi Italia Viva di Renzi), del Parlamento l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, uno dei più potenti provvedimenti eversivi tra i tanti imposti per volere della destra extralarge.

Abuso atti d’ufficio incentivato per Legge dal governo degli allievi del precedente governo dei migliori – Agenda Draghi docet- legiferato per tutte le sedi istituzionali, nazionali e locali della pubblica Amministrazione. E’ stato giustificato con la “paura della firma” da parte dei funzionari pubblici. Paura ridicola a leggere le frequenti notizie sulle concessioni a potenti, e amici sottoposti ad osservazione della Magistratura.

Il Senato ha dato il via libera, con la netta contrarietà della Commissione Antimafia, dell’Anticorruzione, dell’Associazione Nazionale Magistrati e, addirittura, della stessa Unione Europea.

Questa estinzione del reato troverà dirompente attuazione nella secessione del nord con l’Autonomia Differenziata che trasformerà in sistema legalizzato il crimine dell’abuso d’ufficio,
Dopo decenni di spudorata e strumentale propoganda basata sulla presunta inefficienza delle lavoratrici e lavoratori, con l’omicidio politico delle Province e la nascita in vitro delle Città Metropolitane, con l’accentramento monarchico dei poteri nelle mani del Sindaco, ecco la chiusura del cerchio di forme feudali nel governo dei singoli territori.
Ovviamente non se ne parla più, dopo che pochissimo se ne è parlato Si sa che non parlarne più è una delle armi vincenti per smemorizzare il popolo e lasciare via libera agli interessi trasversali che funzionano nei Consigli regionali e comunali. L’esempio del TAV nella Valle di Susa è emblematico di questa convergenza politica e affaristica con con imprese e malavita, un intreccio corruttivo dimostrato da indagini della magistratura e arresti di politici, funzionari e malavitosi.

Gli appalti pubblici sono un affare di circa 200 miliardi l’anno e il Governo ha varato un nuovo codice degli appalti pubblici che aumenta da 40mila a a 140-150mila euro la soglia al di sotto della quale lavori e commesse vanno affidati senza gara, amplificando l’utilizzo abnorme dell’affidamento diretto, anche mediante un “frazionamento” artificioso degli appalti, già veicolo di corruzione con procedure negoziate senza bando e senza concorrenza, mediante rapporto discrezionale con le imprese, per tutti gli appalti fino a 5,3 milioni di euro. Discrezionalità che produce anche infortuni e morti sul lavoro.

Transparency International nell’edizione 2023 dell’Indice di corruzione ha collocato l’Italia al 42° posto nella classifica globale dei 180 Paesi più corrotti. Un’infame posizione che più o meno mantiene da decenni.

Già in un Rapporto pubblicato dal Center for the Study of Democracy nel 2010 si certificava “Corruzione e criminalità organizzata sono in Italia due realtà strettamente intrecciate. Tuttavia, la relazione tra i due fenomeni non deve far credere che sia la criminalità organizzata la principale responsabile del crescere della corruzione. Al contrario, in Italia è il dilagare della corruzione nelle sfere sociali, politiche ed economiche ad attrarre i gruppi criminali, consolidando e ampliando le loro attività illecite”. E ancora “La corruzione in Italia non rivela la diretta partecipazione delle organizzazioni criminali” si legge nel rapporto, “ma dimostra piuttosto la diffusione di un ‘metodo mafioso’ nel condurre affari e nel fare politica, l’assimilazione di alcuni elementi della cultura mafiosa da parte dei rappresentanti politici”.

In sostanza tangentopoli si è radicata nella forma legalizzata e spudoratamente visibile con l’arroganza ridanciana coperta dall’impunità, dalla certezza che la Magistratura ben poco potrà fare.

Comunque, rimane il divieto ai poveri di rubare per fame, ma con una legge corruttiva in mano ai decisori e la repressione del dissenso organizzzato dei poveri, nei luoghi di lavoro e nella piazze ”…sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame
Fabrizio De Andrè

A meno che, i cittadini, comunque organizzati collettivamente, non diano una forte risposta di rabbia.

Franco Cilenti

Editoriale del numero di marzo del mensile Lsvoro e Salute

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