Pregiudizi di polizia

In provincia di Bergamo un sindacalista Usb impegnato nelle lotte della logistica viene colpito da foglio di via: un provvedimento senza garanzie che si basa solo su ipotesi di reato

A Calcio, paese in provincia di Bergamo, si trova un importante centro di movimentazione delle merci gestito dalla società Italtrans. Come molti altri poli logistici in Italia, i magazzini Italtrans sono stati negli ultimi mesi lo scenario di mobilitazioni sindacali: le vertenze hanno riguardato il miglioramento delle condizioni di lavoro, del trattamento salariale nonché il versamento di contributi previdenziali arretrati. A essere simili rispetto ad altre vertenze sindacali non sono soltanto le rivendicazioni, ma anche le iniziative della pubblica autorità nei confronti degli esponenti dei sindacati di base coinvolti.

In questo caso ad Alaa Nasser, dirigente pavese dell’Usb, è toccato un foglio di via obbligatorio emesso dal Questore di Bergamo, provvedimento che obbliga ad allontanarsi dal comune di Calcio e vieta di farvi ritorno. La medesima misura era stata adottata, ad esempio, pochi mesi fa dal Questore di Firenze nei confronti di alcuni esponenti Si Cobas di Prato e Firenze per le attività nel Comune di Campi Bisenzio. Nella provincia di Modena, in pochi anni sono stati aperti più di 400 procedimenti penali nei confronti di esponenti del sindacalismo di base, tra denunce e misure di prevenzione.

Il provvedimento bergamasco, benché si tratti solo di un paio di facciate piene di refusi, risulta particolarmente significativo quanto a struttura e contenuto, perché sintetizza alcuni aspetti fondamentali di funzionamento delle misure di prevenzione.

Il «foglio di via obbligatorio», infatti, è una delle misure previste dal cosiddetto Codice Antimafia (d.lgs. 159/2011), testo normativo che delinea un sistema di misure personali e patrimoniali che trovano, quale comune presupposto, l’appartenenza del soggetto a una delle categorie indicate all’art. 1: «persone che debbano ritenersi dedite a traffici delittuosi, che debba ritenersi vivano abitualmente con i proventi di attività delittuose o che debba ritenersi siano dedite alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica». Delle misure di prevenzione in generale e della sorveglianza speciale, la più afflittiva delle misure di prevenzione personali, si era già parlato in questo articolo.

Ai sensi dell’articolo 2 della medesima legge, il Questore può emettere il foglio di via obbligatorio  «qualora le persone indicate nell’articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza […] inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate».

Il foglio di via fa parte, dunque, di quel sistema «penale amministrativo», un sotto-sistema penale di polizia che si differenzia dal diritto penale «ordinario» per l’assenza di una serie di garanzie: anzitutto, i presupposti per la sua applicazione sono individuati in maniera assolutamente generica, contrariamente a quanto dovrebbe accadere per le norme che prevedono sanzioni penali in senso stretto; in secondo luogo, la procedura che porta all’irrogazione di tali misure è perlopiù priva di contraddittorio, prescinde dall’accertamento di un reato e, per le misure di prevenzione meno afflittive tra le quali rientra il foglio di via, non prevede l’intervento di un giudice, essendo la misura disposta direttamente dal Questore.

Nello specifico caso di Calcio è evidente il meccanismo dei provvedimenti di pubblica sicurezza, sistema autoreferenziale che segue logiche parallele e indipendenti rispetto alla giustizia penale. Le misure di prevenzione, come si anticipava, non richiedono tra i loro presupposti che il soggetto sia condannato per un reato, ma solo che questi risulti in qualche modo sospettato di essere dedito alla commissione di reati. Proprio per questo, spesso le questure attingono, in assenza di precedenti sul casellario giudiziale, alle segnalazioni presenti sul cosiddetto Ced (Centro Elaborazione Dati istituito presso il  dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno), ovvero i  precedenti di polizia, segnalazioni da parte delle forze dell’ordine.

Talvolta tali segnalazioni sono chiamate pregiudizi di polizia, denominazione particolarmente calzante: a leggere il provvedimento della Questura di Bergamo, sembra che l’autorità di pubblica sicurezza abbia già, in piena autonomia, celebrato in poche righe tre gradi di giudizio e condannato prima di ogni altro giudice il sindacalista per una serie di reati. Tra gli elementi a sostegno del provvedimento sono inseriti, infatti, i reati di «resistenza a pubblico ufficiale, istigazione a delinquere, istigazione a disobbedire alle leggi, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, violazione delle disposizioni su riunioni in luogo pubblico, perché in Pavia violava [Alaa Nasser] a vario titolo le prescrizioni sulle pubbliche riunioni rendendosi responsabile con il suo comportamento dei reati ascritti». Chi è abituato a leggere gli avvisi di conclusione delle indagini capisce che si tratta di un mero copia e incolla di ipotesi di reato così come contestate dalla pubblica accusa: sarebbe già grave da un punto di vista puramente formale che il provvedimento del Questore dia per scontata la responsabilità penale, parlando di «responsabilità per i reati ascritti».

Ma, se si conoscono le vicende giudiziarie che hanno dato luogo a tali ipotesi di reato, ovvero quelle derivate dalle manifestazioni antifasciste del 5 novembre 2016, è ancora più inquietante che tali pregiudizi di polizia siano posti a sostegno di una misura di prevenzione: tali accuse per i manifestanti, infatti, sono in larga parte già state archiviate dal Tribunale di Pavia nel 2018.

Dunque, non solo per l’operatività del sotto-sistema penale di polizia non è necessario che sia stato commesso un reato e che un giudice lo abbia accertato: lo status di persona socialmente pericolosa può persino essere riconosciuto a prescindere dal fatto che un giudice si sia pronunciato decidendo che, in effetti, le accuse in questione sono infondate.

Il sistema basato sul sospetto, dunque, acquista una sua autonomia e, a ben guardarne il funzionamento, si auto-alimenta. Le misure di prevenzione, assunte sulla base delle segnalazioni di polizia, sono a loro volta segnalate come precedenti di polizia. La misura di prevenzione della sorveglianza speciale, applicabile come si è detto pur in assenza di precedenti penali, viene iscritta nel casellario giudiziale costituendo di per sé un precedente che compare nella cosiddetta fedina penale. La violazione delle prescrizioni contenute nel foglio di via costituisce di per sé reato, e risulta quale presupposto esplicitamente previsto per l’adozione di altre misure di prevenzione.

Qual è la ragione per cui si ammettono queste deroghe rispetto ai principi che stanno alla base del moderno sistema penale? Il foglio di via è emesso, come si diceva, nei confronti del soggetto pericoloso per la sicurezza pubblica. Si potrebbe riflettere su cosa, nella sensibilità di ognuno, è percepito come un pericolo per la sicurezza. Andando a ritroso nella storia repubblicana, può rinvenirsi una definizione fornita dalla Corte costituzionale proprio nella sentenza che dichiarava la parziale illegittimità rispetto alle nuove norme costituzionali del rimpatrio con foglio di via obbligatorio presente nella legislazione fascista (immediatamente sostituito, nello stesso anno, con un omologo istituto che è in sostanza il foglio di via obbligatorio che conosciamo oggi). Nella sentenza n. 2 del 1956, dunque la seconda sentenza in assoluto della Corte, si afferma: «esclusa l’interpretazione, inammissibilmente angusta, che la ‘sicurezza’ riguardi solo l’incolumità fisica, sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola ‘sicurezza’ il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza». 

Che la sicurezza sia strettamente connessa al libero esercizio dei diritti – tra cui, dunque, anche il diritto di esprimere il dissenso e di esercitare l’attività sindacale, anche in modo conflittuale -– lo ha affermato, di recente, anche il Consiglio di stato proprio decidendo per l’annullamento di un foglio di via disposto nei confronti di un rappresentante sindacale dalla Questura di Modena. Secondo i giudici amministrativi, infatti, l’attività di picchettaggio, e dunque il semplice ostacolo al passaggio di automezzi in entrata o in uscita da uno stabilimento industriale, non connotato da condotte di violenza o minaccia da parte di un determinato soggetto, non può essere «da sola sintomo di pericolosità sociale e carico di questo, se non si vuole trasformare il diritto della prevenzione in un surrettizio, indebito strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica». 

Il timore espresso non sembra del tutto infondato, considerata l’applicazione massiva delle misure di prevenzione nell’ambito dell’attività sindacale: fenomeno che, forse, deve destare preoccupazione per la sicurezza di tutte e di tutti.

Anna Cortimiglia è giurista, attivista e praticante avvocata. È tra i soci fondatori di Liberi Tutti Pavia, associazione che fornisce sostegno legale a persone migranti e con fragilità

6/7/2023 https://jacobinitalia.it/

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