Premierato, questa riforma ‘non s’ha da fare’

Intervista a Pietro Adami, giurista costituzionalista (Giuristi democratici)

A cura di Alba Vastano

Il Presidente della Repubblica subisce un colpo notevole dalla proposta di riforma. In primo luogo gli viene tolta la possibilità di nominare senatori a vita, ma soprattutto si incide sul suo potere di sciogliere o non sciogliere le camere. Un potere che gli ultimi Presidenti hanno usato con sapienza, anche per sollecitare nuove maggioranze. Questo potere gli viene tolto, lo scioglimento delle camere diventa, di fatto, automatico, appena cade il governo del premier eletto, salvo la stralunata ipotesi del sostituto replicante che porterebbe avanti il programma del premier decaduto. Inoltre si limita fortemente la possibilità di nomina del primo ministro” (Pietro Adami)

Dai costituzionalisti, in prima audizione al Senato nel mese di Novembre u.s., ‘piovono’ critiche e preoccupazioni motivatissime sul premierato proposto dal ddl Casellati e caldeggiato dalla Premier in carica e dal suo entourage di maggioranza parlamentare. Il ddl apre le porte ad una riforma costituzionale che, se attuata, stravolgerebbe la seconda parte della Costituzione (che attiene all’ordinamento della Repubblica) sminuendo anche le funzioni del Presidente, accentrandole sul Premier eletto. Per molti giuristi il testo del ddl Casellati risulta ‘incoerente’, ‘non adeguato e pericoloso, perché scritto in maniera insufficiente nella forma e nella sostanza’.

La giurista Maria Agostina Cabiddu invita a ‘lasciare le cose come stanno’ e ‘a rinnovare la classe politica e non la Costituzione’. Francesco Clementi, professore ordinario di diritto comparato (Università di Roma) spiega che ‘a rischiare è l’unità nazionale, rappresentata dal capo dello Stato che si troverebbe ad essere senza alcun potere pur avendo i poteri scritti in Costituzione”. “A queste proposte deve opporsi che la nostra Costituzione ha una propria intima armonia costituita dai pesi e contrappesi tra i vari organi, e mettervi mano significa, in ogni caso, rompere questo equilibrio essenziale per la tenuta della democrazia.” Così Paolo Maddalena, giurista, magistrato, ex vicepresidente della Corte costituzionale. 

Di questo ulteriore attacco alla Costituzione, lasciato subdolamente passare come ‘ pieno potere al popolo sovrano’, e dei motivi per cui ‘Questa riforma non s’ha da fare’ ne parliamo con il costituzionalista, avvocato Pietro Adami (Associazione nazionale Giuristi democratici)

Alba Vastano: Il tre Novembre il governo Meloni lancia la proposta di riforma costituzionale, un ddl che ha come prima firmataria la ministra Casellati. Un ddl che si può definire anomalo per quanto risulta ‘pasticciato’ . Di cosa stiamo parlando e cosa ne pensa in merito?

Pietro Adami: Il sistema proposto dal Governo Meloni è sicuramente pasticciato. L’intento è quello tradizionale della destra di una investitura popolare del leader, ma il risultato, a parte il fastidioso elemento simbolico, è in realtà quello di un vero pastrocchio istituzionale.

A.V.: Qual è l’iter costituzionale perché il ddl diventi legge? Parliamo del doppio passaggio alle Camere o vi sarà un percorso abbreviato con la benedizione dell’attuale premier?

P.A.: Per fortuna, per ora, nessuno può abbreviare i percorsi delle riforme costituzionali. La procedura è quella costituzionale, e dunque doppia approvazione a distanza di non meno di tre mesi, e poi possibilità di chiedere un referendum popolare confermativo. Che, va ricordato, è sempre valido e non prevede quorum. Quanto al contenuto il disegno di legge governativo si compone di cinque articoli, con cui il governo vuole introdurre l’elezione diretta del premier.

Viene previsto che “il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni”. Si prevede poi un premio assegnato che garantisce ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri il 55% di seggi.In astratto il governo avrebbe una solida maggioranza, che gli permetterebbe di durare cinque anni. Ma è una esperienza che in parte è stata già fatta. Pochi ricordano che la legge elettorale Calderoli del 2005 (il cosiddetto Porcellum) era molto simile: prevedeva le coalizioni, garantiva il 55% a quella vincente e c’era perfino il nome del ‘capo’ della coalizione sulla scheda. Questo non ha impedito che la legislatura del 2006 finisse nel 2008.

A.V.: Riguardo ai poteri che verrebbero attribuiti al primo ministro è pensabile possano essere equiparati al modello ‘Kanzler’ tedesco? O a Sindaco d’’Italia? O cos’altro?

P.A.: I poteri del presidente del consiglio non vengono toccati. Restano quelli attuali. Ha bisogno della fiducia delle Camere. Il suo rafforzamento deriverebbe solo dall’investitura popolare, ma è solo un dato morale, e dal fatto che se viene sfiduciato l’incarico di formare un nuovo governo potrebbe essere affidato, o di nuovo a lui, o comunque ad un altro parlamentare della maggioranza “solo al fine di proseguire nell’attuazione del medesimo programma di Governo”. Questo cambio di primo ministro può avvenire solo una volta.

In pratica, se cade il primo ministro eletto si va in automatico ad elezioni, a meno che non si trova un altro della stessa maggioranza e con lo stesso programma di governo. Questo sostituto non è ben chiaro che funzione svolga. Se il governo del premier cade è perché il suo programma non piace proprio alla maggioranza che lo sosteneva. Questo passaggio quindi è confuso. Il premier eletto lascia la mano ad un successore che, però, deve fare le stesse cose che stava facendo lui, e che hanno portato alla caduta del governo.

A.V.: I poteri che per Costituzione vengono attribuiti al Presidente della Repubblica una volta eletto, ovvero il garante super partes della Repubblica, passerebbero automaticamente al Premier eletto? Quindi la riforma, diventata legge costituzionale, smonterebbe in toto l’art. 87. E’ così?

P.A.: I l Presidente della Repubblica subisce un colpo notevole dalla proposta di riforma. In primo luogo gli viene tolta la possibilità di nominare senatori a vita. Ma soprattutto si incide sul suo potere di sciogliere o non sciogliere le camere. Un potere che gli ultimi Presidenti hanno usato con sapienza, anche per sollecitare nuove maggioranze. Questo potere gli viene tolto, lo scioglimento delle camere diventa, di fatto, automatico, appena cade il governo del premier eletto, salvo la stralunata ipotesi del sostituto replicante che porterebbe avanti il programma del premier decaduto. Inoltre si limita fortemente la possibilità di nomina del primo ministro. In Italia, finora, è andata così: subito dopo le elezioni la nomina era quasi automatica.

Vinceva Berlusconi e veniva incaricato. Ma poi i governi cadono dopo qualche anno, per fattori che sarebbe lungo dibattere, ed a quel punto il ruolo del Presidente della Repubblica emerge in modo essenziale. Ad esempio, Salvini nel 2019, dopo appena un anno dalle elezioni del 2018, volle far cadere il governo con i 5 Stelle, perché voleva andare ad elezioni per prendere più deputati. Il Presidente della Repubblica disse no, e lavorò per vagliare soluzioni alternative, che poi sono andate in porto. Con la nuova legge sul premierato Salvini avrebbe portato il nostro Paese ad elezioni dopo un solo anno di legislatura, e senza possibili interventi da parte del Presidente della Repubblica per evitarlo. Quindi, certamente, il potere presidenziale viene fortemente compresso.

A.V.: Le modifiche costituzionali proposte dal ddl Casellati e sostenuto dalla maggioranza di destra , come andrebbero a impattare sull’attuale equilibrio dei tre poteri dello Stato: esecutivo, legislativo e giudiziario?

P.A.: Le modifiche costituzionali inciderebbero soprattutto sul quarto potere.Negli ultimi anni, molti studiosi hanno cominciato a capire che i poteri dello Stato non sono soli i tre canonici, ma sono quattro. Il più importante, in una democrazia moderna, è quello in cui l’organo pubblico non agisce a beneficio di una parte politica, ma dell’istituzione e dello Stato nel suo insieme. Quindi il quarto potere è il potere attribuito agli organi deputati al mero rispetto delle regole costituzionali. In Italia il Presidente della Repubblica è espressione del quarto potere, così come lo sono i presidenti delle Camere, le molteplici autorità indipendenti, i garanti etc. Questi soggetti non hanno solo un ruolo di garanzia, non sono solo àrbitri del rispetto delle regole. Essi portano avanti l’interesse dell’Istituzione.

L’attuale Presidente della Repubblica agisce e deve agire per il bene della collettività nel suo insieme, senza favorire una parte politica. Storicamente questo ruolo sopra le parti è stato interpretato con grande dignità dai presidenti che si sono alternati: Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Ciascuno di loro si è anche esposto a critiche, ma non può non emergere il senso complessivo di una funzione rilevante, che è cresciuta nel corso del tempo, l’autorevolezza che deriva dal parlare per l’Istituzione e non per la maggioranza temporaneamente al governo. Questo quarto potere, il più importante in una democrazia partecipata, è quello che viene maggiormente inciso.

A.V.: Può spiegare ai lettori perché il mantra ‘l’elezione diretta del presidente darebbe stabilità politica al Paese, evitando i governi tecnici e il passaggio continuo da un premier all’altro, senza elezioni’ è un falso? In realtà cosa accadrebbe ?

P.A.: Vi sarebbe maggiore instabilità. Per la precisione, ci sarebbero molte più elezioni, molte più campagne elettorali e dunque molti più periodi di mancato governo del Paese. La riforma infatti, come abbiamo detto, toglie al Presidente della Repubblica il compito di ricucire, consultare, e spingere le forze politiche a far nascere nuovi governi. La riforma dice invece: quando non c’è più la maggioranza si va al voto, senza tante storie e senza cercarne una diversa in Parlamento. Dunque è anche il Parlamento che subisce un colpo dalla riforma, perché addirittura ci può essere il caso di un potenziale governo, che ha la maggioranza alle Camere, ma la riforma Meloni impone invece di andare ad elezioni. Ad esempio, come detto, Salvini che vuole votare nel 2019 per avere più seggi. Salvini fa cadere il governo, ma poi in Parlamento si trova la maggioranza PD-5 Stelle, che fa il Conte bis, e lui rimane buggerato. Con la riforma Meloni il Conte Bis non si sarebbe potuto fare, non si può cambiare maggioranza. Nel 2019 saremmo andati ad elezioni.

In termini astratti potremmo dire questo: il nostro sistema attuale è un sistema elastico. Il vizio e la forza dei sistemi elastici è che rendono più facile l’adattamento nel tempo. Conte non piace più per via del covid e rapidamente viene sostituito con Draghi. Non servono nuove elezioni. La Meloni vuole introdurre un sistema rigido. Ma il suo è un sistema rigido e fragile nello stesso tempo, una brocca di cristallo. Dunque è più soggetto ad andare in pezzi. Ogni cambio di maggioranza richiederà elezioni. Cade il governo Conte -Salvini e si va a votare. Ma il voto non è immediato, passano mesi, e nel frattempo c’è un governo spaccato. Il sistema rigido non si adatta e si spezza.

Ma soprattutto: ogni partito della coalizione ha il potere di portare il Paese ad elezioni. Se toglie il sostegno al governo non può essere sostituito, e dunque ha un enorme potere di ricatto. Noi in Italia abbiamo il vizio di non voler mai imparare da ciò che è successo, qui o altrove. Il sistema proposto dalla Meloni, elezione diretta del premier, è stato adottato in Israele nel 1992. È stato applicato nel 1996 ed ha dato luogo al periodo di maggiore instabilità politica della storia israeliana. Nel 2001 è stato precipitosamente abolito.

A.V.: Con lo spauracchio del premierato che grava sulla Costituzione repubblicana è plausibile vedere affacciarsi all’orizzonte del Paese una forma di governo che si avvicina molto all’oligarchia che può scivolare nella forma più temibile, parimenti a come si è attuata negli anni bui del Novecento? Tornerà, sotto mentite spoglie, la dittatura fascista?

P.A.: E’ una domanda a cui non so rispondere se non menzionando la frase di Marx “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Il fascismo reale non tornerà, perché era un fenomeno che si fondava su ragioni storiche contingenti Quelle ragioni non esistono più. Ma ciò non significa che la spinta alla semplificazione autoritaria non sia presente, a destra come a sinistra.

A.V.: Quante responsabilità in questa deriva della democrazia costituzionale ha come causa madre la frammentazione delle forze di sinistra del Paese?

P.A.: Più che la frammentazione è l’indebolimento delle formazioni di sinistra, che espone la democrazia costituzionale a tentativi in senso autoritario. Ed anche questo indebolimento ha precise ragioni storiche, ed una grave crisi identitaria che mi pare non venga ancora affrontata.

A.V.: Potrebbe essere una soluzione per le opposizioni al governo, per contraltare il dl Meloni sul premierato, proporre il modello tedesco sulla sfiducia costruttiva (art. 67 e 97 del Bundestag),oltre che battersi per la modifica della legge elettorale, affinché si torni al proporzionale puro, senza se e senza ma?

P.A.: Sono sempre contrario a rispondere ad un attacco alla Costituzione, con una proposta di mediazione. Oggi c’è solo da dire no. Poi nessuno esclude che la Costituzione possa anche ricevere qualche correttivo. Ma per quanto mi riguarda i correttivi devono andare in direzione opposta. Rafforzare la democrazia partecipata, frammentare la concentrazione del potere, incrementare i poteri di garanzia. Le riflessioni sulla democrazia matura, per cui potremmo recuperare la definizione di Isonomia (di matrice ateniese), mirano a tracciare un percorso evolutivo: ridurre lo spazio del potere, inteso come scelta arbitraria, per sottomettere ogni, pur minimo, potere, alla regola. E quindi comprimere, bilanciare, frammentare, controllare e regolamentare ogni forma di potere, pubblico o privato, fino a togliergli la caratteristica di potere, per far emergere l’essenza di funzione. L’obiettivo è quello di polverizzare il concetto di potere, finché nulla più sia definibile come potere.

La democrazia matura è quindi l’era politica in cui la regola, democraticamente generata, nel compromesso, nella tutela delle minoranze, nel principio di partecipazione, prevale sull’esercizio arbitrario del potere. Quanto alla legge elettorale proporzionale pura, è una battaglia che da anni facciamo come Coordinamento Democrazia Costituzionale. In questo contesto molti amici apprezzano anche l’istituto della sfiducia costruttiva, ossia che un governo può essere sfiduciato solo se nel frattempo è pronta una nuova maggioranza. E’ un istituto che non mi convince, anche per quanto abbiamo detto prima. Se vogliamo capire la nostra democrazia dobbiamo esaminare e ricordare perché sono caduti gli ultimi governi. Ad esempio, D’Alema nel 2000 ci resta male per le elezioni regionali, il cui risultato prende come un’offesa, e senza consultare nessuno si dimette. Berlusconi nel 2011 è investito dalla crisi dei mutui americani, e l’Italia è in procinto di andare in default e lui se la svigna dicendo, io non ci capisco più niente, chiamate qualcuno che può salvare il Paese. Prodi nel 2008 non ha più la maggioranza in Senato e si dimette. Questi esempi e molti altri dimostrano che i governi italiani implodono. Se Prodi non ha la maggioranza, non può fare la Finanziaria. Che resta a fare a Palazzo Chigi? Se ne deve andare per forza. È lui stesso che se ne vuole andare. Il meccanismo della sfiducia costruttiva, lodevole in astratto, quale governo italiano degli ultimi 30 anni avrebbe salvato?. Questa è la domanda, che dobbiamo fare anche sulla riforma Meloni e sul premierato. Cara Giorgia, mi dici per favore quale governo si sarebbe salvato con le regole che proponi? La risposta è: nessuno. Quando i governi sono decotti non li salva niente e nessuno. Né la sfiducia costruttiva, né la paura di andare a nuove elezioni, su cui punta la riforma Meloni.

A.V.: Infine avvocato perché, ricordando tutte le altre riforme che hanno modificato l’impianto costituzionale, fra cui la Modifica del Titolo Quinto, art. 116 e 117 (2001) e dell’art. 81, pareggio di bilancio), ‘Questa riforma non s’ha da fare’?

P.A.: Tutte le riforme costituzionali sono state peggiorative, fino ad ora. Di tutte ci si è, prima o poi, pentiti. Spero non si vogliano ripetere i soliti errori.

Alba Vastano

Giornalista. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

https://www.lavoroesalute.org/

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