Psicofarmaci per ragazze

Le adolescenti fanno maggior uso di psicofarmaci rispetto ai coetanei per sentirsi più adeguate alle aspettative sociali che le pretendono prestanti e perfette, lo conferma una ricerca del Cnr che mette in luce la necessità di sensibilizzare il dibattito su stereotipi di genere e salute mentale 

In base ai dati che ci ha riferito direttamente l’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), in Italia nel 2022 hanno fatto ricorso a psicofarmaci, con o senza prescrizione medica, otto milioni e mezzo di persone tra i 18 e gli 84 anni, di cui la maggioranza sono donne. 

Anche tra le persone più giovani si registrano differenze di genere, come mostra il nuovo rapporto sull’Italia curato dallo stesso istituto all’interno dello European school survey project on alcohol and other drugs (progetto di indagine scolastica europea su alcol e altre droghe, per abbreviare Espad), che abbiamo avuto l’occasione di sfogliare in anteprima. La ricerca è dedicata proprio al consumo che in Italia gli studenti e le studentesse fra i 15 e i 19 anni fanno di sostanze psicotrope, legali e non, e sarà pubblicata questa settimana.

“L’uso degli psicofarmaci senza prescrizione medica è un fenomeno in crescita soprattutto tra le persone giovani” ci spiega in un’intervista Sabrina Molinaro, responsabile del progetto Espad Italia e della sezione Epidemiologia e ricerca sui servizi sanitari del Cnr. E specifica che le ragazze ne fanno uso doppio rispetto ai ragazzi, un trend che del resto si riscontra anche nella popolazione adulta.

Leggendo il report di Espad, si scopre che le tipologie di psicofarmaci maggiormente consumati da studenti e studentesse sono quelli per dormire e per rilassarsi (7,8%), seguiti da quelli per l’attenzione e l’iperattività (3%), quelli per l’umore (2,6%) e quelli per le diete (2,5%). Significativo è il fatto che sono proprio le studentesse a consumare in misura maggiore tutte e quattro le categorie di psicofarmaci: più frequente è l’utilizzo dei farmaci per le diete e di quelli per l’umore, seguiti da quelli per dormire o rilassarsi.

In percentuale maggiore, i ragazzi affermano invece di aver consumato psicofarmaci senza prescrizione medica per l’attenzione o l’iperattività almeno 10 volte nel corso dell’anno in cui è stata effettuata la rilevazione. Quanto alle motivazioni, le ragazze consumano psicofarmaci per stare meglio con se stesse rispetto ai ragazzi, che invece consumano quelli senza obbligo di prescrizione medica principalmente con l’obiettivo di sballarsi.

Il primo dato importante, spiega Molinaro, è che le giovani fanno uso di psicofarmaci “non tanto per sballarsi quanto per migliorare le proprie prestazioni” – concentrazione, aspetto fisico e qualità del sonno – : “si chiama uso competente”, in rapporto al bisogno di esercitare un controllo su certe attività quotidiane.

L’altro dato da evidenziare, secondo la dottoressa, consiste nel fatto che la popolazione femminile, più abituata all’automedicazione e al fai-da-te, privilegia sostanze non ancora stigmatizzate dalla società, come le nuove sostanze psicoattive (new psychoactive substances), entrate nel mercato negli ultimi 10 anni che mimano gli stupefacenti (la cannabis sintetica, ad esempio). I ragazzi, al contrario, fanno un consumo maggiore di droghe come la cocaina.

In un’intervista telefonica, il dottor Claudio Mencacci – Presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia e dell’Osservatorio nazionale sulla salute mentale della donna e di genere (Fondazione Onda) – ha confermato che le donne usano i medicinali in misura doppia rispetto agli uomini (quelli per le diete in misura tripla) per “avere una visione più accettabile di se stesse, aumentare l’autostima e migliorare le facoltà cognitive e l’aspetto fisico”. Una tendenza in crescita riscontrata a partire dal 2010, senza tener conto dell’aumento del 25% durante il periodo pandemico.

L’insieme delle motivazioni psicologiche nascoste dietro l’abitudine di ricorrere a soluzioni farmacologiche da parte della popolazione femminile potrebbero essere sintetizzate efficacemente con un unico termine: perfezionismo. 

Alle donne si chiede  di essere “più perfette” degli uomini? A partire da questa domanda si può e si deve risalire a un discorso più articolato, che tenga conto dei fattori socioculturali, come sottolinea la ricerca sulla depressione delle donne condotta dalla psicologa ed esperta di salute delle donne Elvira Reale insieme alle colleghe Vittoria Sardelli, Carla Cuccurese e Virginia D’Angelo. 

Partendo dal presupposto che la depressione è la principale causa di disabilità nelle donne, lo studio si pone come obiettivo quello di evidenziare “la presenza di pregiudizi di genere nella ricerca medica che sopravvaluta fattori di rischio biologico/genetici e sottovaluta i fattori psicosociali e socio-relazionali”. 

Oltre a confermare che le donne sono al primo posto per assunzione di psicofarmaci e a citare l’indicazione dell’Organizzazione mondiale della sanità secondo cui “l’appartenenza al genere femminile è il predittore principale nella prescrizione di psicofarmaci”, vengono riportati i dati sul tema provenienti dal resto del mondo: in Canada ad esempio, tra il 2007 e il 2011, gli antidepressivi sono stati prescritti più del doppio alle donne rispetto agli uomini. Nonostante numerosi studi parlino di “evidenze epidemiche per la depressione femminile e altri disturbi psichici”, non esiste “un’adeguata politica sanitaria per combattere questa emergenza”.

Uno dei motivi soggiacenti all’assenza di un allarme sociale – che dovrebbe condurre a una campagna di prevenzione e di cura – è “il pregiudizio che su questa emergenza al femminile non si possa intervenire al pari di altre patologie, perché essa sarebbe generata ‘nel corpo stesso delle donne’, ovvero come frutto del suo ciclo biologico e delle sue intrinseche fluttuazioni” spiega lo studio.

Ciò che manca, affermano le autrici è “una politica sanitaria di prevenzione della malattia” che metta in evidenza fattori di rischio psico-sociali e ambientali su cui agire. Se la depressione maschile è più agevolmente associata a fattori ambientali come il lavoro, lo stress e la disoccupazione, non accade lo stesso per quella femminile. 

Questo è un punto cruciale. La prima cosa su cui lavorare è dimostrare che anche nelle donne lo stato depressivo può essere determinato da elementi psico-sociali e relazionali. I fattori di rischio legati alla vita quotidiana delle donne, specifica lo studio, sono lo stress, legato al doppio lavoro e al sovraccarico familiare; il burnout, derivato dalla maternità e dalla cura totalizzante delle altre persone a discapitodella cura personale; la violenza domestica.

Dai risultati emerge l’urgenza di una campagna di sensibilizzazione che parta in primis dalle ragazze adolescenti, che non avendo strumenti per arginare la sofferenza, si affidano a soluzioni farmacologiche senza una guida specialistica (come confermato dal rapporto Espad) in cui gli studenti e le studentesse hanno affermato di procurarsi i farmaci a casa, per strada o attraverso il web. 

Per una corretta prevenzione, commenta il dottor Mencacci, è necessario “far passare il messaggio che esiste un uso corretto dei medicinali”, altrimenti si rischia che i giovani se li procurino attraverso “il microspaccio, che non genera salute ma dipendenza”.  

Del resto, “il cervello e i suoi funzionamenti”, dichiara il dottor Mencacci, “devono essere oggetto di ricerca scientifica, non di ideologia”. Ciò non vuol dire, spiega, che bisogna trascurare i fattori socioculturali, preponderanti in una società in cui le donne sono effettivamente più esposte alla sopraffazione, alle molestie, alla violenza e alla disparità, fattori che “pesano” ma non “causano” il disagio psichico.

Come si legge in uno studio sull’adolescenza ancora a cura di Elvira Reale realizzato dal centro prevenzione della Regione Campania, non è mai stata dimostrata un’origine esclusivamente organica né della depressione, né dell’ansia. Più che di fattori a rischio biologici si parla di correlati biologici, cioè di alterazioni di parametri biologici e biochimici a livello cerebrale. 

L’evidenziazione dei limiti di una ricerca puramente biologica – che, come effetto immediato, ha quello di rinforzare il mercato degli psicofarmaci – è tanto più sensata quando si parla di adolescenti e donne, le categorie più colpite da ansia e depressione. 

Se sull’esordio dei disturbi dell’umore hanno grande peso eventi non controllabili come lutti e violenza, “la ricerca psicologica segnala come precursori della depressione e dell’ansia soprattutto alcuni tratti caratterologici e componenti della personalità dell’adolescente tra cui inibizione, insicurezza, mancanza di assertività e dipendenza” spiega lo studio. 

Anche in questo caso, sembra che a soffrire di queste caratteristiche siano in prevalenza le ragazze, da cui si pretendono “comportamenti che i modelli culturali ed educativi tendono a consolidare come ottimali”. Correlata ai disturbi d’ansia, continua Elvira Reale, autrice dello studio, è “la pressione esercitata sull’adolescente dall’aumento delle prestazioni scolastiche e dalle aspettative genitoriali”. 

Si torna così al perfezionismo: uno studio anglo-canadese afferma che il perfezionismo patologico tra le persone giovani sia aumentato negli ultimi anni, creando ansia, stress, depressione, disturbi alimentari e suicidio.

Portare le giovani donne a conoscere questi meccanismi sarebbe sufficiente, in molti casi, a contrastare quegli schemi comportamentali e cognitivi che innescano l’autocolpevolizzazione e i pensieri negativi che ne derivano.

Affinché ci sia una prevenzione a misura di donna, bisogna come prima cosa disintegrare i pregiudizi. Se si continua a ribadire l’associazione tra ciclo ormonale, tratti della personalità femminile e depressione, si rischia di prediligere la soluzione farmacologica, “che meglio si adatta a una visione del disturbo femminile di tipo biologico-ormonale e costituzionale”. 

In uno dei suoi studi su medicina di genere e depressione, Elvira Reale definisce questa prospettiva come qualcosa che “non crea un rapporto positivo tra disturbo psichico femminile e interventi di modifica comportamentale, e ha come conseguenza uno scarso ricorso a trattamenti attivi fondati sulla modifica di atteggiamenti e sul miglioramento di competenze psico-sociali”. 

Il punto da cui partire allora è la prevenzione: bisogna informare, andare nelle scuole, formare gli operatori e operatrici sanitarie in modo da decodificare il disagio psichico: la prevenzione parte prima di tutto dalla buona informazione. 

Riferimenti

Biagioni S., Fizzarotti C., Molinaro S, ESPAD 2022 – Generazione Z e comportamenti a rischio. Rapporto di Ricerca sulla diffusione dei comportamenti a rischio fra gli studenti delle scuole superiori di secondo grado, 2023, in corso di pubblicazione

E. Reale, V. Sardelli, C. Cuccurese, V. D’Angelo, Depressione nelle donne: un’epidemia silenziosa, “La Camera Blu. Rivista Di Studi Di Genere”, 19, 2018

E. Reale, Maschio e femmina: i principali fattori di rischio nell’adolescenza: progetto di ricerca sanitaria finalizzata, Centro prevenzione Regione Campania, Napoli, F.lli Ariello, 2001  

E. Reale, La medicina di genere e l’emergenza della depressione, Unità Operativa Complessa, Psicologia clinica, Prevenzione salute mentale donna, Asl Napoli 1 

S. Sherry, M. Smith, Perfectionists become more neurotic and less conscientious as time passes. “The Conversation”, 2019

Daria Catulini

11/12/2023 http://www.ingenere.it

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