Pubblico Impiego, tenetevi l’elemosina del cuneo fiscale: aumenti reali come l’inflazione!

La propaganda sui miracolosi effetti del taglio del cuneo fiscale si scioglie come neve al sole e si traduce nella legge di stabilità in cifre che definire misere è un eufemismo.

Lo avevamo detto a chiare lettere: chi attribuiva al taglio del cuneo fiscale il compito di fornire una risposta all’emergenza salariale mentiva sapendo di mentire non solo perchè quelle risorse saranno finanziate con tagli ai servizi pubblici, ma per l’irrisorietà delle cifre  (dai 20 ai 30 euro mensili in più in busta paga).

Ma l’attuale governo riesce anche nel capolavoro di spacciare per innovativo un provvedimento già previsto dal precedente governo: infatti il taglio di due punti percentuali del cuneo per i redditi fino a 35.000 euro era già attualmente in vigore e l’unica novità è costituita dalla riduzione di un ulteriore punto percentuale per i redditi sino a 20.000 euro che si tradurrà in, udite udite, 11 euro mensili in più in busta paga per questa fascia di reddito!

E allora l’unica strada per fronteggiare il crollo dei salari e l’aumento vertiginoso dei prezzi è ripristinare nel settore pubblico una normale dinamica contrattuale che garantisca in primo luogo il rinnovo dei contratti alle loro scadenze naturali. Ciò significa rinnovare i ccnl del pi, tutti oramai già scaduti, anche quelli rinnovati quest’anno, e stanziare da subito aumenti che siano in linea con il costo reale della vita e non con il meccanismo truffaldino dell’ipca depurato dei costi energetici, cioè un indice dei prezzi al consumo che non tiene conto del principale fattore che innesca la dinamica inflattiva.  

Non bastasse, l’introduzione della aliquota fissa (flat tax) al 15% per il lavoro autonomo, fino ad 85.000 euro di fatturato, chiarisce ulteriormente la natura di questa manovra, tutta a carico dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che continueranno a vedere i propri stipendi e le proprie pensioni tassate ben oltre il 15% (orientativamente tra il 27% e il 38%) pur percependo un reddito sensibilmente inferiore. Insomma, chi più ha meno paga!

Ma nell’attacco generale al salario contenuto nella legge di bilancio non potevano mancare le pensioni…

Confermata la legge Fornero che resta intatta, quota 103 riesce ad essere peggio anche di quota 102 prevista dal governo Draghi, mentre l’irrisorio aumento delle pensioni minime (570 euro) è finanziato tagliando le pensioni di operai e impiegati. Una partita di giro tutta interna al lavoro dipendente e che colpisce l’intero Pubblico Impiego.

Opzione donna, l’uscita anticipata dal lavoro in cambio di una cospicua decurtazione della pensione, alla quale le donne sono spesso costrette per assolvere al lavoro di cura che lo Stato continua tranquillamente ad ignorare, viene riservata solo alle donne con i figli, tanto per chiarire che, al tempo della prima donna a capo del governo, sono considerate solo qualora “donino figli alla patria”.

Lo ribadiamo ancora e lo grideremo forte nello sciopero del 2 dicembre e nella manifestazione nazionale di sabato 3: l’unico strumento per aumentare i salari e le pensioni è alzare i salari e le pensioni!

Rinnovo dei contratti subito e aumenti legati all’inflazione reale.

Unione Sindacale di Base – Pubblico Impiego

25/11/2022 https://www.usb.it

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