Quarta ondata e malagestione della pandemia

Il quadro della situazione

I giornali da alcune settimane parlano di quarta ondata, i contagi stanno effettivamente aumentando in maniera differenziata nei vari paesi europei, Austria e Germania fronteggiano la situazione critica applicando un lockdown settoriale per i soli non vaccinati, ad oggi il 50% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di vaccino mentre nei paesi non occidentali solamente il 4,1% della popolazione è vaccinato.  

Il direttore dell’Oms per l’Europa Hans Kluge durante una conferenza stampa ha dichiarato che siamo nell’epicentro della pandemia; secondo lui se si dovesse confermare questa tendenza potremmo registrare un altro mezzo milione di morti causate dal covid19 nella regione europea entro febbraio. Secondo l’Oms l’aumento dei casi viene spiegato con una copertura vaccinale insufficiente e il contemporaneo allentamento delle restrizioni, ad esempio la Gran Bretagna nonostante avesse puntato su una vaccinazione di massa con la fine di ogni limite di assembramento e il disuso delle mascherine lamenta dei numeri preoccupanti. Inoltre, il livello di trasmissione della variante delta è particolarmente preoccupante, data l’alta contagiosità, in ambienti chiusi anche con dpi. In particolare l’Europa centro orientale ha sviluppato il maggior numero di casi, come la Slovacchia, la Lettonia, l’Ucraina, la Croazia, la Slovenia complice il fatto che solamente la metà della popolazione è al momento vaccinata. Anche in Francia aumentano le restrizioni in particolare quelle legate all’obbligo del pass sanitario che verrà richiesto su alcuni luoghi di lavoro, per i luoghi ricreativi, a scuola dove i dirigenti hanno la possibilità di accedere ai libretti sanitari degli alunni.  

La campagna vaccinale in Italia procede nella solita maniera schizofrenica percui ogni settimana è probabile che venga smentito ciò che era dato per consolidato la settimana precedente. Ad oggi la terza dose viene considerata obbligatoria per le fasce d’età al di sopra dei 40 anni, per chi lavora in determinati settori come quelli sanitari e ancora permane molta confusione sui vaccini per i bambini. In tutto ciò, in linea con gli innumerevoli cambi di programma che hanno caratterizzato l’andamento della vaccinazione dai suoi esordi fino a oggi, la Francia ha sperimentato un nuovo vaccino prodotto dalla casa farmaceutica Valneva. Questo vaccino è considerato tradizionale perché si tratta di inoculazione di virus inattivato, ma ancora si rilevano pochissime notizie al riguardo. Chi potrà assicurare che occorre fare la terza dose e non attendere l’uscita di un nuovo vaccino che non prevede il passaggio di informazioni sulle cellule tramite Rna o Dna? Ancora una volta il problema rimane la poca chiarezza, le poche informazioni reperibili e anche la distanza degli esperti dalle domande legittime delle persone. Gli introiti delle case farmaceutiche e gli interessi di Big Pharma nella gestione della vaccinazione su scala mondiale, che si manifestano nella scelta del tipo di vaccino da privilegiare relativamente agli equilibri geopolitici da mantenere, dimostrano che la direzione rimane la stessa. Secondo un articolo su StartMagazine l’azienda francese Valneva vantava una liquidità e mezzi equivalenti di 204,4 milioni di euro alla fine di dicembre 2020, rispetto ai 64,4 milioni di euro calcolati a fine 2019, a questo incremento notevole del fatturato hanno contribuito 130 milioni di dollari arrivati in nome della collaborazione con Pfizer per il vaccino contro Lyme, i 48,8 milioni di euro di proventi dovuti al contratto con Deerfield e OrbiMed e dai rimborsi della Banca europea per gli investimenti. Ad oggi l’UE ha deciso di non rinnovare i contratti con AstraZeneca e Jhonson&Jhonson ma di puntare solamente su quelli a Rna messaggero, vedremo che tipo di accordi farà con Valneva.

Ma oltre ai vaccini cosa serve per la tutela della salute collettiva…

Al di là degli aggiornamenti sul virus ci sono alcune questioni che i giornali liquidano con poca attenzione ma che invece riflettono lo stato di cose attuale. Se per i reparti covid in Italia al momento la situazione è sotto controllo perchè i vaccini funzionano come “depotenziatori” del virus, rendendolo meno aggressivo e quindi implicando una diminuzione dei casi gravi che necessitano di terapie intensive, la situazione non è rosea per tutto il resto della sanità.

Si registra una tendenza a spostarsi di settore per gli specialisti in medicina d’urgenza e a tal proposito Speranza ha annunciato che dal prossimo anno verrà aggiunta un’indennità accessoria alle retribuzioni di medici, infermieri e professionisti sanitari in Pronto Soccorso, andando a destinare 90 milioni previsti in Finanziaria come incentivi in busta paga. Chiaramente la questione retributiva è di particolare importanza, al contempo occorre vedere cosa significano 90 milioni redistribuiti per la totalità del personale di pronto soccorso, e quindi se questa cifra andrà a costituire un effettivo beneficio, inoltre la questione è ben più complessa di così. Abbiamo visto come durante il covid nelle sue fase più acute il pronto soccorso fosse la porta di accesso all’ospedalizzazione ma che il sovrautilizzo di questo corridoio con l’esterno è una costante. Indipendentemente dalla pandemia le abitudini delle persone si sono modellate in base al funzionamento del sistema sanitario. L’inefficienza del servizio quindi non è da imputare ai medici che non ricevendo degli incentivi non fanno bene il loro lavoro, ma alle condizioni di lavoro estreme e precarizzate, dal monte ore, dai tagli al personale e da una lacuna enorme che riguarda la medicina sul territorio.

Prima di tornare su questo argomento occorre ricordare la questione delle liste d’attesa in ospedale che va peggiorando di mese in mese. Sicuramente una parte del problema è la mancanza di personale medico in quanto è coinvolto nelle operazioni di vaccinazione, anche in questo senso la somministrazione del vaccino riguarda in primis i medici ospedalieri e non coinvolge il territorio. Anche in questo caso l’unica soluzione prevista dal ministero è stata lo stanziamento di fondi (da accertare quanti) per lo smaltimento delle liste d’attesa. Secondo un articolo de La Stampa però i soldi non sono stati impiegati in tempo dalle Asl e quindi verranno dirottati ai privati. Al termine di una riunione rispetto a questo tema che vedeva la partecipazione dei dirigenti Asl e gli assessorati alla sanità è stato definito un aumento del budget ai privati oltre all’impegno dell’Ordine dei Medici sull’appropriatezza delle prescrizioni mediche – come se il problema fossero le prescrizioni e non il fatto che non venga soddisfatto il servizio richiesto – e il ricorso alla telemedicina. Chiaramente se il problema oggi è la sfiducia delle persone nei confronti della medicina e della scienza in generale l’utilizzo di prestazioni mediate da un computer o altri mezzi di questo tipo non vanno sicuramente a lavorare nella direzione di ricucire questa frattura.

Sanità territoriale e la necessaria riorganizzazione

Come accennavamo prima il tema della tutela della salute collettiva sollecita diversi piani del discorso, dalle contromisure da mettere in atto rispetto al covid alle contraddizioni scoppiate con la pandemia all’interno della macchina della sanità pubblica e che dimostrano come questa non sia sufficiente a garantire il diritto alla salute. In particolar modo il covid ha scoperchiato il tema della sanità territoriale e della sua mancanza di organizzazione e di funzionalità. Sia nelle prima fasi della pandemia sia nelle conseguenze che gli studi sulla malattia hanno rilevato, come per esempio il Long Covid, dimostrano che il territorio è fondamentale. Un articolo apparso su Nature riporta uno studio prospettico su una coorte di Wuhan sulle conseguenze lunghe del covid, lo studio ha utilizzato vari test per individuare la presenza di almeno un sintomo tra quelli considerati come Long Covid (quindi debolezza fisica, ansia, depressione, fatica muscolare, disturbi del sonno). Riassumendo le conseguenze legate al covid toccano moltissimi aspetti della salute: conseguenze polmonari, renali, cardiovascolari, neurologiche, dermatologiche, gastroinstestinali, endocrinologhe, sul sistema immunitario. Questo implica che le conseguenze a livello multiorganico del covid sono man mano più riconosciute e indicano la necessità di un’assistenza prolungata dei pazienti che non si conclude con le dimissioni dall’ospedale e perché questa avvenga al meglio è necessaria una cooperazione interdisciplinare per una cura completa in ambito ambulatoriale. Si rende evidente che cliniche interdisciplinari vadano istituite sul territorio, non solo per gli esami e la cura dei pazienti in senso olistico del termine ma anche per una fuoriuscita dal covid il più sicura possibile.

Polarizzazione del dibattito e narrazioni mediatiche

In questo contesto tutt’altro che roseo il dibattito sulla salute viene polarizzato in due macro schemi: o si fa parte di chi è nemico della scienza e dei dettami statali e quindi no vax o non ci sono possibilità di critica della gestione della pandemia e quindi si fa parte di chi è sottomesso alle decisioni governative. Il problema qui è invece nominare una strategia di governo ben precisa e la sua annessa strategia comunicativa che gioca sulle paure e sull’indisponibilità delle persone per distogliere l’attenzione dai reali problemi e dalle reali esigenze in materia di sanità e di salute sociale più in generale. L’attacco alle piazze no green pass, è evidente, passa attraverso la demonizzazione mediatica, dai titoli sui giornali nazionali dell’”epidemia dei non vaccinati”, che utilizzano scorciatoie di ragionamento in maniera totalmente strumentale, e il divieto ben più materiale di manifestare che si estende a qualsiasi tipo di protesta. Questa narrazione fa gioco alla controparte mettendo all’angolo un’espressione di rifiuto che assume una certa importanza nei confronti di un governo che evidentemente si è sentito traballare.

12/911/2021 https://www.infoaut.org/

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