Quella porta socchiusa ai pesticidi

Negli ultimi anni l’Unione europea ha approvato regolamenti e criteri per mettere al bando sostanze cancerogene e interferenti endocrini nei pesticidi. Il risultato è che dal 2009, nel vecchio continente, non è più permesso mettere in commercio prodotti alimentari contenenti – in tutto o talvolta in parte – questi composti chimici tossici. L’implementazione completa di queste regole, tuttavia, dovrebbe coprire anche il cibo di importazione, che molto spesso contiene residui di sostanze vietate. Ma secondo un nuovo rapporto del Corporate Europe Observatory (CEO), visto in anteprima da Tuttogreen, i gruppi dell’agribusiness hanno lottato duramente negli ultimi anni, riuscendo a bloccare parzialmente l’applicazione delle norme. Questo significa che cibo contaminato da pesticidi cancerogeni può ancora arrivare nei nostri piatti attraverso le importazioni. Proprio in questi giorni, l’UE sta rinnovando l’impegno a stringere accordi commerciali per aumentare gli scambi internazionali nel settore agricolo, con il rischio di aprire il mercato a prodotti alimentari la cui sicurezza è tutta da dimostrare.

Il dossier del CEO, organizzazione con base a Bruxelles che denuncia l’influenza delle lobby nel processo decisionale europeo, ricostruisce la strategia di pressione da parte delle più grandi imprese dell’agrochimica, come Bayer-Monsanto, Basf e Syngenta. Questi colossi – secondo le prove raccolte dai ricercatori – avrebbero spinto per far naufragare la normativa, riuscendoci in parte. Così, mentre la nuova Commissione europea promette che il green deal promuoverà “un maggiore livello di ambizione per ridurre significativamente l’uso e il rischio di pesticidi chimici”, in realtà sta aprendo all’industria agrochimica la porta sul retro dei negoziati commerciali in corso.

“I leader europei continuano a dire che gli standard alimentari non verranno abbassati a causa degli accordi di libero scambio – ha detto Nina Holland, ricercatrice del CEO – Ma questa storia dimostra che tali affermazioni sono false. Se non cambia nulla, residui di pesticidi tossici vietati in Europa saranno ammessi negli alimenti importati”.

Com’è stato possibile? Quella descritta dal rapporto è un’opera di vero e proprio assedio alle istituzioni comunitarie, e in particolare delle Direzioni generali salute (SANTE) e commercio (TRADE) della Commissione europea. Questa campagna di pressione politica ha visto fianco a fianco governi e settore privato. Anche le Missioni statunitense e canadese in UE, infatti, sono intervenute nel 2017 a rinforzo di un martellante lavoro di lobbying orchestrato dall’industria. L’adozione di criteri di esclusione per i pesticidi cancerogeni, lamentavano le imprese, avrebbe colpito non solo il loro business in Europa, ma anche in altri paesi che esportano nel nostro mercato comune. Al posto del divieto assoluto chiedevano, almeno per il cibo di importazione, una valutazione che tollerasse la presenza di residui. È partita così una girandola di incontri privati, lettere, audizioni, convegni, conferenze: in tutte le sedi e con tutti i mezzi possibili, Bayer, Basf, Corteva, Syngenta e le loro varie associazioni di categoria hanno messo sotto pressione gli allora commissari all’agricoltura e alla salute, Phil Hogan (oggi al commercio internazionale nella scacchiera della von der Leyen) e Vytenis Andriukaitis. Finché non hanno trovato il punto debole.

Prima di applicare le restrizioni agli alimenti importati, chiedevano unitamente i lobbisti, bisogna condurre una valutazione di impatto economico e indagare la compatibilità delle regole con quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). La tesi era che l’UE, mettendo al bando 58 principi attivi, stesse causando una distorsione del mercato che avrebbe riguardato un flusso di importazioni pari a 70 miliardi di euro, pari al 60% dell’import europeo nel settore agricolo (dati 2016). Secondo Bayer la regolamentazione avrebbe colpito prodotti come the, caffè, frutta, frutta secca, spezie e mangimi. Utilizzando dati molto simili a quelli diffusi dalle imprese, il governo statunitense ha presentato un reclamo alla WTO nel novembre 2017, dichiarando che “i produttori sono preoccupati di non poter più esportare in Europa” con le nuove regole.

Da quel momento, il fortino di Bruxelles è cominciato a franare. In un incontro con il COCERAL, una lobby che promuove il commercio internazionale di grano, la Direzione generale salute ha dichiarato che “dopo discussioni con gli stati membri sulla proposta iniziale, e alla luce delle reazioni degli stakeholders e dei paesi terzi, sono in corso ulteriori riflessioni con l’obiettivo di definire l’approccio della Commissione”. L’approccio è stato poi definito in una dichiarazione dal commissario Andriukaitis: “Dopo le osservazioni degli stati membri, degli stakeholders e dei paesi terzi […] sarà una normale valutazione del rischio come descritto dal regolamento sui limiti massimi di residuo”. Questa affermazione sancisce un doppio standard fra produzioni europee – sottoposte a procedure di controllo più rigorose – e cibo di importazione.

Il CETA – trattato commerciale fra UE e Canada che l’Italia non ha ancora ratificato – è stato il primo accordo in cui la ex commissaria al Commercio, Cecilia Malmström ha portato questo nuovo approccio. Lo dimostra un documento di briefing preparatole dal suo ufficio per la prima riunione del comitato congiunto nato per armonizzare le regole fra i due blocchi. Tuttavia, per gli Stati Uniti non era abbastanza, e nel luglio 2019 hanno attaccato le politiche comunitarie sui pesticidi sostenendo che “l’UE sta unilateralmente tentando di imporre il proprio approccio normativo interno ai suoi partner commerciali”, pertanto dovrebbe porre fine alla restrizione degli scambi e “utilizzare metodi accettati a livello internazionale per stabilire i livelli di tolleranza per gli ingredienti potenzialmente dannosi”.

Nelle scorse settimane la Commissione Europea ha lanciato messaggi concilianti a Washington, lasciando intendere un’apertura alla negoziazione di un accordo commerciale che includerebbe, per vie traverse, anche il settore agricolo. Queste dichiarazioni, forzate dallo spettro dei dazi agitato dalla Casa Bianca, hanno ricevuto grande sostegno dal governo italiano. Nell’ordine, la ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, la vice ministra degli esteri Marina Sereni e il ministro per gli affari europei Enzo Amendola hanno espresso la disponibilità dell’Italia ad appoggiare aperture del mercato con diversi partner d’oltreoceano, dagli USA ai paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay). Di fronte alle ragioni del commercio, sembrano passate in secondo piano le preoccupazioni espresse non più tardi di sei mesi fa per le politiche autoritarie ed ecologicamente insostenibili di Bolsonaro. Lontano anche lo scalpore per le misure di Trump sull’immigrazione e minore il volume delle critiche per l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo sul clima di Parigi. Del tutto sottaciuto, infine, il rischio per i consumatori di entrare in contatto con cibi contenenti sostanze cancerogene, mutagene e interferenti endocrini.

Campagna Stop TTIP

Quale può essere l’effetto di questa riduzione delle protezioni sanitarie e fitosanitarie? Non è dato sapere. Né il nostro paese, né la Commissione europea, hanno fatto stime preliminari di impatto ambientale o socio-economico degli accordi commerciali. Sappiamo però dai dati del Trade Manufacturing Monitor che un quarto dei pesticidi usati negli Stati Uniti è vietata in Europa. Un nuovo paper dell’Università di San Paolo, invece, segnala che l’UE ha messo al bando 149 su 504 principi attivi approvati in Brasile. Ma le informazioni raccolte dal Corporate Europe Observatory dimostrano che queste differenze non avranno alcun effetto deterrente sui flussi di importazioni.

In più, questa primavera arriverà a compimento l’iter di revisione dei regolamenti 1107/2009 sui pesticidi e 396/2005 sui limiti massimi di residuo (MRL). Un processo che la Commissione europea utilizza per rimodernare la sua normativa consultando gli stakeholder, e sul quale però convergono le pressioni delle imprese che chiedono un ulteriore allentamento delle maglie legislative. Il pericolo concreto – secondo il CEO – è che entro pochi mesi i consumatori europei si troveranno con regole incapaci di difendere la loro salute e un’ondata di cibo importato senza controlli di sicurezza sugli scaffali dei supermercati. A un prezzo forse così abbordabile da far chiudere un occhio sui rischi sanitari e gli impatti ecologici.

Francesco Paniè

18/2/2020 comune-info.net

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