QUELLI CHE NON HANNO VOGLIA DI LAVORARE

A beneficio di coloro i quali, quando scrivono in materia di mercato del lavoro, non riescono a sottrarsi al fascino del ricorso a inutili anglicismi, forse allo scopo di impreziosire la terminologia cui ricorrono, piuttosto che – come più realisticamente sospetto – al solo fine di tentare di dotare di maggiore autorevolezza concetti e considerazioni ben poco condivisibili, rilevo che, sin troppo spesso, quando si parla della scomoda posizione dei disoccupati e degli inoccupati, c’è chi lo fa: “To add insult to injuri”.
Tentando, cioè, di aggiungere al danno anche la beffa!
Pervenivo a questa conclusione appena terminata la lettura di un articolo (1) – pubblicato dalla “Fondazione Anna Kuliscioff” – sul quale tornerò non prima di avere anticipato qualche considerazione di merito sull’argomento in oggetto.

Mi riferisco alla ricorrente denuncia di alcune Associazioni sindacali datoriali e di numerosi imprenditori – subito raccolta ed amplificata dai maggiori quotidiani nazionali e dagli “addetti ai lavori” – secondo la quale nel nostro Paese si sarebbe realizzata una situazione paradossale.
In un’Italia economicamente stremata dalla pandemia, con centinaia di migliaia di persone che hanno perso il posto di lavoro ed altrettante sostenute solo dal c.d. “blocco dei licenziamenti”, dalla Cassa integrazione o dall’Indennità di disoccupazione e con tassi di disoccupazione tra i più alti di tutta l’UE, sarebbero disponibili decine di migliaia di posti di lavoro vacanti. In particolare nei settori Turismo e Ristorazione.
Di conseguenza, i datori di lavoro – ansiosi di riprendere l’esercizio delle loro attività dopo il lungo fermo da Covid-19 – lamentano numerose carenze di organico.

Ciò ha prodotto perfino straordinarie “esibizioni” da parte di imprenditori pronti a proporre “ponti d’oro” agli aspiranti lavoratori.
Al riguardo, resterà memorabile l’accorato appello televisivo della imprenditrice Santanchè che, al fine di soddisfare la richiesta di personale – per la sua attività stagionale nel settore turismo – dichiarava di garantire, a un qualsiasi “cameriere”, un minimo mensile di 2 mila euro. Una proposta in grado di allettare persino un insegnante di scuola media superiore con 30 anni di servizio!
Opportuno quindi – di fronte a quella che considero una reiterata (2) leggenda metropolitana, sistematicamente riproposta all’inizio di ciascuna stagione estiva – chiedersi il perché di decine di migliaia di posti di lavoro disponibili ma, incredibilmente, non “coperti”.

Secondo il parere delle Associazioni di categoria, di molti imprenditori – più noti presso le ribalte televisive che per particolari meriti professionali – politici, giornalisti, conduttori televisivi e, purtroppo, anche non pochi “impotenti” fruitori di un’informazione italiana ormai asservita al potere, la responsabilità sarebbe da addebitare a quel vero e proprio “strumento del diavolo”: il c.d. “Reddito di cittadinanza”.
Rdc colpevole, quindi, di invogliare i disoccupati e gli inoccupati a preferire il divano di casa a un’occupazione stagionale!

La realtà, però, è ben diversa da quella che vorrebbero far credere coloro che, qualcuno, ha ironicamente etichettato quali “Donatori di lavoro”!
Innanzi tutto, c’è da smentire e ridimensionare la fantomatica cifra dei 700 euro mensili del Rdc di cui tutti (s)parlano.
In questo senso, alla Santanchè, novella buona samaritana, a Guido Barilla (prototipo dei “bamboccioni”), che invita i giovani a “rinunciare ai sussidi” accettando “lavori anche poco remunerati”, allo “sceriffo” campano (che le spara sempre più grosse) e al rozzo Salvini, secondo il quale “non ci sono imprenditori sfruttatori” e considera normali 600 euro mensili per un lavoro da cameriere, andrebbe spiegato bene ciò che scrive “Il Sole 24 Ore”.
Infatti, il quotidiano di riferimento dell’imprenditoria italiana – non certo con simpatie bolsceviche – riporta che i beneficiari del Rdc sono rappresentati da circa 700 mila nuclei familiari. I percettori del sussidio hanno un’età media di 36 anni. Quelli con meno di 25 anni sono solo 26 mila, mentre sono 516 mila coloro che hanno dai 45 ai 67 anni. Le donne sono, complessivamente, 458 mila.
Dove sarebbero, quindi, le folle di potenziali bagnini, baristi, cuochi, camerieri di sala e ai piani, che preferirebbero poltrire e seguire gli Europei di calcio, piuttosto che lavorare?

Tra l’altro, come già illustrato in altra occasione (3), va precisato che il Rdc nasceva in virtù del concetto che nessun cittadino italiano potesse vivere con meno di 780 euro mensili. Ciò, però, non significa che si tratti dell’importo minimo. Quello che è certo, è che non può essere inferiore ai 480 euro annui (40 euro mensili).
Oggi, in media, l’importo del Rdc (corrisposto, si badi bene, al nucleo familiare) è pari a 577,00 euro.
Ben al di sotto, quindi, dei 700 euro mensili che, come un mantra, viene ripetuto dai suoi denigratori e che viene – erroneamente e strumentalmente – considerato a favore dei singoli, piuttosto che dei nuclei familiari ai fini Isee.
Ne consegue un’elementare presa d’atto: la Santanchè ed i suoi degni compari mentono ben sapendo di mentire oppure, nella più benevola delle ipotesi, non sanno di cosa parlano.
Infatti, per come è regolato il Rdc – erogato, ripeto, non al singolo ma a favore dell’intero nucleo familiare – un giovane maggiorenne, ancora convivente con i genitori, non percepisce personalmente il Rdc ma concorre a che venga riconosciuto al capo famiglia.
Tra l’altro, come a tutti noto, la legge istitutiva il Rdc prevede la perdita del diritto all’assegno mensile dopo aver rifiutato tre offerte di lavoro “congrue”.

Offerte di lavoro che, evidentemente, per coloro che ancora godono ancora del sussidio, o non erano congrue, oppure – come in realtà è avvenuto – non sono mai pervenute (4)!
Trattasi, a ben vedere, di un altro elemento che la Santanchè ed i suoi numerosissimi degni compari fanno strumentalmente finta di ignorare.
Eppure, la soluzione ai problemi di coloro che ricorrono anche alle platee televisive per amplificare la loro vana ricerca di disoccupati ed inoccupati disponibili a lavorare – al solo scopo di offrire una più vasta eco a un messaggio sostanzialmente truffaldino – sarebbe di una semplicità disarmante.

Tutti gli imprenditori alla disperata ricerca di personale provino a rivolgersi presso qualche Centro per l’Impiego per procedere al reperimento delle figure professionali loro occorrenti.
Perché non lo fanno?
Perché, evidentemente, dovrebbero dichiarare la tipologia contrattuale instaurata con i neo/assunti, il Ccnl di riferimento applicato, le ore di lavoro contrattualizzate e quant’altro necessario ai fini della costituzione di un rapporto di lavoro “regolare” e, quindi, registrato presso tutte le competenti sedi. Tra l’altro, ciò consentirebbe alla Santanchè di risparmiare qualcosa rispetto ai 2 mila euro graziosamente sbandierati in diretta televisiva.
Molto interessante, al riguardo riportare la testimonianza della Preside dell’Istituto alberghiero “A. Vespucci” di Roma: “Ci chiedono giovani formati, noi li segnaliamo e loro offrono 300 euro al mese. I nostri giovani se ne vanno all’estero e loro danno la colpa al reddito di cittadinanza”!
Si tratta, allora di rendersi pienamente conto che la realtà è un’altra cosa.
Questi imprenditori – come ampiamente documentato da servizi e filmati televisivi “indipendenti” – pretendono di retribuire un mese di lavoro, un non meglio precisato numero di ore, regolari e “teoricamente” straordinarie, senza sufficienti soste, riposi settimanali e quant’altro, con 700/800 euro e, al massimo, qualche piccolo “fuori busta”.
Senza dimenticare che, spesso, come nel caso degli aderenti a Confindustria, sono gli stessi che, contemporaneamente, chiedono la libertà di licenziare altri lavoratori.
Fino a quando saremo costretti ad assistere a quest’indegno spettacolo, avviato da sedicenti imprenditori, alimentato da politici della peggiore specie e da giornalisti “compiacenti”, appare condivisibile e, soprattutto, legittima, la posizione di chi nega la propria disponibilità a lavorare in condizioni indegne (5) di essere vissute.

Tornando alla pubblicazione della Fondazione Kuliscioff, confermo che il titolo e l’incipit dell’articolo (6) di Claudio Negro apparivano molto interessanti perché lasciavano intravedere la possibilità di meglio comprendere cosa si nasconda, in realtà, dietro la carenza di manodopera
Confesso, però, che, a lettura ultimata, ho avuto una sensazione diversa.
Riportando alcuni dati forniti dal Bollettino Excelsior Unioncamere, Negro – ricorrendo ancora un inutile anglicismo (7) – rileva la presenza in Italia di un vero e proprio ossimoro: “la contestuale presenza, sul mercato del lavoro, di un eccesso di offerta rispetto alla capacità di assorbimento della domanda, da un lato, e di un eccesso – potenziale – di questa rispetto ai livelli di offerta, dall’altro”.
Infatti, i dati indicherebbero l’intenzione, di parte datoriale, di assumere entro giugno 2021, addirittura, 560 mila lavoratori che però, nel 30 per cento dei casi sarebbero di difficile reperimento. In particolare nel 13% dei casi mancherebbero le competenze richieste e nel 15% non ci sarebbero candidati disponibili.
Ne consegue, secondo Negro, che il primo ostacolo all’incontro tra domanda e offerta – e il permanere, quindi, di un’alta percentuale di disoccupati ed inoccupati – è rappresentato dal fatto che le persone non rispondono alle ricerche di lavoro delle imprese. Il secondo rappresentato, invece, dalla inadeguatezza delle competenze professionali dei lavoratori.

Relativamente alle professionalità di – apparente – non difficile reperimento quali, ad esempio, impiegati, professioni commerciali, operai specializzati e conduttori di impianti, la carenza di adeguate competenze incide sul mancato incontro tra domanda e offerta per un valore che va dal 10 al 16 per cento. Nei settori del turismo, ristorazione, assistenza domiciliare ed operai manufatturieri, la mancanza di candidature (da parte di disoccupati ed inoccupati) incide sul mancato incontro per percentuali che arrivano a sfiorare il 40 per cento.
Tutto ciò, a parere di Negro, potrebbe essere effettivamente prodotto dall’indisponibilità dei lavoratori ad accettare quelle retribuzioni da fame cui si accennava nella prima parte di questa comunicazione. Condizioni che coinvolgerebbero, plausibilmente, lavoratori non qualificati e in settori merceologici con scarse tutele sindacali e contrattuali.

Già questo, in verità, appare una forzatura concettuale non condivisibile per almeno due motivi: il primo è rappresentato dal fatto che oggetto delle nostre considerazioni sono le migliaia di lavoratori “stagionali” che, nella loro stragrande maggioranza, hanno fatto di questa particolare tipologia contrattuale la loro normale formula lavorativa (8). La “stagione” estiva in Riviera o in Costiera e quella autunnale/invernale in montagna. Quindi, dotati, di norma, di adeguata preparazione professionale (9).

Il secondo motivo è rappresentato da un presupposto sostanzialmente infondato perché quello che caratterizza, in negativo, i settori interessati da questi fenomeni, non è tanto l’assenza di adeguate tutele sindacali, quanto la dilagante tendenza degli operatori a proporre rapporti di lavoro “fai da te”. Per cui: “O lavori alle mie condizioni o niente!”
Accantonato questo che Negro considera una piccola quota di mancato incontro tra domanda ed offerta per “mancanza di candidature” – un eufemismo per indicare coloro che rifiutano condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù – appare necessario chiarire qualche altra interessante considerazione contenuta nell’articolo in oggetto.

Un primo elemento è rappresentato dalle elevate percentuali di mancato incontro tra domanda ed offerta di lavoro anche in settori più “rispettabili” – per utilizzare la terminologia cui ricorre l’autore – quali: conduttori di impianti nell’industria tessile e dell’abbigliamento, tecnici informatici, operai metalmeccanici ed elettromeccanici.
Il secondo è relativo al contenutissimo numero di soggetti “presi in carico” dagli operatori pubblici e privati, in materia di collocabilità e collocamento, accreditati nell’intera Lombardia, negli ultimi 16 mesi di attività: appena 16.398 candidati (di cui ricollocati 6.054).
Numeri, evidentemente, incredibili in una regione con il mercato del lavoro più dinamico d’Italia e, soprattutto, in un periodo di grave crisi occupazionale.
Dal combinato disposto dei due elementi Claudio Negro ne ricava un solo interrogativo.
Perché la domanda di lavoro, che come abbiamo visto, è significativa, stenta ad incontrare chi ha bisogno di lavorare?”
Ebbene, anche questa volta, la conclusione dell’autorevole blogger è dello stesso tenore e torna il classico ritornello.

Accantonate, per un attimo, le responsabilità del Rdc, è il turno della Cassa integrazione e del lavoro “in nero”. Gli altri strumenti che, evidentemente, secondo Negro, concorrono a creare quelle “nicchie di assistenzialismo” grazie alle quali la gente non si candida neanche di fronte ad offerte di salari ed occupazioni “normali.
“To add insult to injuri”!
Quando la responsabilità ha, comunque e in ogni caso, un carattere unilaterale!
Sarebbe però sufficiente tentare di estendere il margine del proprio orizzonte per rendersi conto che la realtà è un poco più complessa e articolata.
Basti pensare che, contrariamente a quanto crede Claudio Negro, le “prese in carico” presso gli operatori pubblici e privati – di tutta Italia, non solo in Lombardia – così come le iscrizioni presso gli elenchi anagrafici dei tantissimi Centri per l’Impiego hanno, da sempre, dovuto fare i conti con la ritrosia della stragrande maggioranza delle persone in cerca di occupazione.

Infatti, non è un mistero per nessuno che, nonostante il fatto che – con l’avvento ed il capillare diffondersi delle tecniche informatiche – il reclutamento/ricerca del lavoro siano diventate pratiche estremamente facili da realizzare, gli anni passano, ma certe abitudini sono diventate prassi e non cambiano.
Ancora nel 2019, infatti, l’Istat certificava che, per la ricerca di un’occupazione nel Bel Paese, la stragrande maggioranza degli italiani continua a prediligere il ricorso ai canali informali della “conoscenza”: quindi, parenti, amici e conoscenti!
Seguono l’invio dei curricula, la ricerca tramite internet e, per finire, i famigerati Centri per l’Impiego e le Agenzie di somministrazione.
Ritenere, quindi, che alla mancata partecipazione “attiva” delle persone in cerca di occupazione – attraverso l’iscrizione presso i Centri o la presa in carico presso gli altri enti pubblici e privati preposti allo scopo – corrisponda, automaticamente, la volontà di non rispondere alle ricerche di lavoro delle imprese, ritengo sia, per lo meno, azzardato e frutto di grande approssimazione; se non, addirittura – escludendo l’ignoranza del fenomeno -manifesta malafede.

Così come è poco credibile ciò che, invece, Claudio Negro considera ovvio: che, relativamente alle offerte di lavoro, per quelle qualifiche da lui definite “rispettabili”, si possa dare per scontato di poter considerare quasi residuali quei comportamenti delinquenziali (di parte datoriale) così diffusi – e ben noti ai più, oltre che certificati da denunce dettagliatissime – nei settori Turismo, Ristorazione e, in genere, Servizi.
In effetti, nel Paese che detiene il non invidiabile primato europeo in tema di evasione fiscale e previdenziale, appare – francamente – un po’ troppo “ingenuo” e poco credibile parlare di comportamenti datoriali “rispettabili”!
Per concludere: chi abbia voglia di non lasciarsi abbindolare dalle chiacchiere, seppure basate su dati statistici ufficiali, ha sempre la possibilità di verificare che la realtà è spesso diversa.

NOTE

1- Fonte: “Non solo salari da fame. Cosa si nasconde davvero dietro la carenza di manodopera”, di Claudio Negro.
2- In effetti, è una storia che si ripete, uguale, già da molti anni. Il motivo in più, quest’anno, è rappresentato dall’esistenza del Rdc.
3- Fonte:” Non vogliono lavorare? Non vogliono sfruttamento”, pubblicato in data 2 luglio 2021 da www.eguaglianzaeliberta.it/web .
4- A causa dell’assoluta inefficienza delle strutture pubbliche preposte allo scopo.
5- Il vero (scandaloso) paradosso è rappresentato dalla possibilità che un noto ristoratore milanese, tale Nicola Ferrelli, consideri naturale e, soprattutto, lecito, considerare che un giovane, prima di accettare un lavoro, chieda quante ore dovrà lavorare e quale sarà il suo compenso.
6- “Non solo salari da fame. Cosa si nasconde davvero dietro la carenza di manodopera.
7- È la volta di “mismatch”.
8- A parte l’uso e gli “abusi” perpetrati ai danni di tantissimi (invisi) extracomunitari.
9- Si pensi a ciò che dichiara la Preside dell’Istituto alberghiero di Roma.

Renato Fioretti

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

8/7/2021

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