Reddito o emigrazione

Dopo una campagna elettorale di feroce attacco al Reddito di Cittadinanza da parte di Giorgia Meloni e del suo partito, nella manovra di bilancio è stata stabilita l’abolizione del Reddito a partire da gennaio 2024. Nello specifico, a partire dal primo gennaio 2023 i disoccupati percettori del sussidio tra i 18 e i 59 anni che possono lavorare e non hanno a carico minori, disabili o anziani (i cosiddetti «occupabili»), continueranno a ricevere l’assegno mensile per un massimo di sette mesi, durante i quali dovranno seguire un corso di formazione. Chi si rifiuterà perderà il Reddito, così come chi non accetterà la prima offerta di lavoro (qualunque essa sia, nell’ultima bozza è saltato anche l’aggettivo «congrua»). Dal primo gennaio 2024, secondo le stime dell’Istat, il Reddito di Cittadinanza sarà tolto a tutti gli individui classificati come abili al lavoro, cioè circa 846 mila persone in tutta Italia, di cui 160 mila residenti nella sola Sicilia.

Piove sul bagnato

La scelta di tagliare sul Reddito di cittadinanza arriva in un momento di forte difficoltà economica. Pandemia e guerra hanno influenzato negativamente l’economia, producendo un aumento costante dei prezzi, soprattutto sul mercato energetico e su quello dei beni alimentari, che attestano la percentuale dell’inflazione nel mese di novembre all’11,8%.

Se a questi dati sui prezzi si incrociano i dati che provengono dalle statistiche sul mercato del lavoro, il quadro che si delinea è quello di una vera e propria bomba sociale, soprattutto al sud e nelle isole, dove il tasso di disoccupazione è il più alto d’Europa. Giusto per dare un’idea, la Sicilia è la quarta regione europea per tasso di disoccupazione giovanile: al primo posto troviamo Ceuta (Spagna, con un tasso del 56%), seguita da Tracia (45,1%), Macedonia occidentale (42,3 %) e poi Sicilia (40,1 %). Al dato generale si aggiunge anche una preoccupante specifica di genere: solo una donna su tre lavora in Sicilia. Parliamo del 29,3 % contro il 52,9 % dell’occupazione maschile.

La scelta di eliminare il Reddito di Cittadinanza è in linea con la volontà politica del Governo Meloni di sostenere scelte economiche ultraliberiste, che favoriscono le imprese a tutti i costi senza tener conto delle condizioni dei lavoratori e delle famiglie. Nella manovra, infatti, mancano interventi all’altezza di contrastare questa fase di crisi economica: oltre al Reddito di Cittadinanza, sono state eliminate misure come il contributo all’affitto e il fondo morosità incolpevole, che permettono a 600 mila famiglie di non vivere in mezzo a una strada.

Difendere il reddito per attaccare il mondo del lavoro

La definizione di «occupabili», cioè di persone che possono e devono lavorare piuttosto che poltrire sul divano, nasconde l’obiettivo di uccidere il potere contrattuale e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Perché quando un disoccupato siciliano si alza dal fantomatico divano per andare in cerca di un impiego, è costretto a confrontarsi con un mondo del lavoro fatto solo di sfruttamento, precarietà e condizioni disumane. Il lavoro nero è una costante, praticamente la regola nei settori della ristorazione, dell’agricoltura e del turismo che, guarda caso, sono quelli trainanti in Sicilia. Ciò comporta che quasi tutte le offerte di lavoro non prevedano alcun tipo di tutela: si sa a che ora si inizia a lavorare ma non quando si finisce, i contributi per la pensione sono un sogno, la sicurezza sul lavoro una richiesta fuori dal mondo.

C’è poi un problema di salari, la vera piaga del mondo del lavoro in Italia. Sono tante le persone che pur avendo un lavoro accedono al Reddito di Cittadinanza, perché rimangono comunque sotto la soglia di povertà. Dal 2008 al 2022 i salari in Italia sono diminuiti del 12% come riporta il Global Wage Report 2022-23. L’Ocse, riconosce il lavoratore italiano tra i più poveri nella scala mondiale dei salari.

Anche rispetto al panorama europeo il quadro è allarmante: dall’ultimo rapporto Inapp emerge che l’Italia è l’unico Stato dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito. Parliamo del -2,9%, mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%. Ancora dalle stime Istat, si osserva come nel solo 2020 il salario medio ha perso il 5% e il dato non è ancora stato aggiornato agli ultimi due anni, in cui la crisi economica e sociale ha sicuramente peggiorato la situazione.

Nemmeno quando la paga è sufficiente le prospettive sono rosee, perché la precarietà è sovrana nella giungla del mercato del lavoro. I contratti a tempo determinato negli anni hanno preso sempre più piede, superando quelli a tempo indeterminato in diversi settori, facendo così vivere milioni di persone nella costante paura di ritrovarsi senza un impiego da un giorno all’altro.

Un attacco al sud e alla Sicilia 

Eliminare il Reddito di Cittadinanza da qui a un anno, senza prima intervenire strutturalmente sul mondo del lavoro istituendo un salario minimo che permetta alle persone di vivere dignitosamente, rendendo funzionali i centri per l’impiego, contrastando gli imprenditori che approfittano del lavoro in nero, significa sottoporre milioni di lavoratori e lavoratrici a un ricatto. Se finora, infatti, grazie al Reddito di Cittadinanza – che comunque stanzia in media una miseria, meno di 600 euro al mese – i disoccupati si sono potuti «concedere il lusso» di rifiutare offerte di lavoro assimilabili allo schiavismo, l’abolizione del sussidio li obbligherebbe ad accettare qualunque condizione di lavoro, a sottostare a ogni sopruso, a lavorare anche 10, 12 ore al giorno per pochi spiccioli perché non avranno alternativa. «E allora come campavano sti disperati prima del Reddito di Cittadinanza?». Esattamente così: lavorando in nero, facendosi sfruttare e arrangiandosi come potevano. Perché dovrebbero accettare di tornare al passato?

Allo stato di cose presenti, l’abolizione del Reddito di Cittadinanza si configura come un attacco al sud e alla Sicilia e lo confermano persino i confronti politici che si stanno inscenando nei principali programmi televisivi, in cui i vari Belpietro, Cruciani, Feltri si lasciano giustamente andare a esternazioni razziste contro campani e siciliani. Lo schema è sempre lo stesso: l’imprenditore del Veneto cerca manodopera e non la trova; il palermitano che percepisce il reddito rifiuta il lavoro al nord in diretta Tv, confermando la tesi dei «nullafacenti parassiti». Ma perché un siciliano non dovrebbe pretendere il diritto a restare nella propria terra? Perché dovrebbe essere costretto a trasferirsi a centinaia di chilometri di distanza dalla sua casa, dalla sua famiglia, per farsi sfruttare in un bar della Pianura padana?

La gran parte dei disoccupati percettori di Reddito risiede proprio al sud e nelle isole: soltanto in Sicilia i beneficiari del sussidio sono quasi 700 mila per circa 270 mila nuclei familiari. Sempre in Sicilia si registra uno dei tassi di occupazione più bassi d’Italia, stagnante attorno al 42% da almeno un decennio, ben prima dell’introduzione del Reddito, a dimostrazione del fatto che la misura non ha spinto le persone a restare a casa sul divano: semplicemente il lavoro non c’era neanche prima.

E non lo dice chi percepisce il Reddito che il lavoro manca; lo dicono i principali istituti statistici italiani, lo causa la mancanza di piani di investimento e di azioni perequative da parte dei governi centrali volti a colmare il divario con il nord e a creare occupazione al sud e nelle isole, ne dà prova definitiva l’altissimo tasso di emigrazione che appartiene alla storia della Sicilia fin dall’unità d’Italia. I siciliani partono per cercare lavoro, perché nell’isola non ce n’è per tutti. Sembra che dipenda da loro se sono poveri, se non lavorano. Ma la realtà è che dipende dalle aziende, dal mercato del lavoro che c’è in Italia, dalle politiche dei governi nazionali. 

L’opposizione sociale

Non è un caso se la mobilitazione sociale dei disoccupati che percepiscono il Reddito contro la manovra del Governo Meloni sia partita proprio dalla Sicilia, da Palermo. Il 29 novembre sono scesi in piazza in più di 400, dopo settimane di volantinaggi e raccolta firme nei quartieri popolari della città, per rivendicare la necessità di ricevere un lavoro immediato o la garanzia del sussidio. Si tratta di percettori che avevano già trovato nell’associazione la forma organizzativa, nello svolgimento di attività di volontariato lo strumento di aggregazione e il ribaltamento della retorica dei fannulloni. Ex segretarie o badanti, muratori, animatori turistici, cameriere che hanno sempre lavorato in nero per pochi spiccioli e che hanno trovato nel Reddito di Cittadinanza la via di fuga da sfruttamento e precarietà. Mercoledì 21 dicembre sono tornati in piazza, perché non hanno nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Una grande consapevolezza che emerge da queste piazze è sicuramente il rifiuto dell’idea che il lavoro – indipendentemente dalle condizioni in cui si svolge e di quanto è pagato – dia di per sé dignità alla persona. Sì, un siciliano preferisce prendere 500 euro al mese e non fare nulla sul divano. Nessuno dovrebbe alzarsi dal divano per una paga così misera. Con 500 euro al mese non si vive. Il Reddito ha dato loro questa possibilità, affermare che per due spiccioli non si esce di casa, che non si può lavorare 10 ore al giorno per sopravvivere e dover comunque andare a cenare alla Caritas.

Essere costretti a difendere una misura da 570 euro al mese in media, dovendosi scontrare con pregiudizi, insulti e razzismo sfacciato è la miseria a cui ci hanno ridotti. Ma è anche la rivendicazione minima da cui partire per attaccare il mondo del lavoro, i rapporti di produzione e di potere vigenti dentro i posti di lavoro e fuori, nella società. Contro l’ideologia lavorista che ha storicamente influenzato anche gli ambiti di movimento, secondo cui è il lavoro a dare dignità all’uomo, i disoccupati palermitani rifiutano di mettere al servizio del mercato le proprie braccia. La ricchezza prodotta dallo sfruttamento del lavoro non è sottoposta ad alcuna redistribuzione e finisce interamente nelle tasche dei capi di azienda e dei ricchi. Perché contribuire a produrla allora?

Ludovica Di Prima, studia Scienze della Natura e dell’Ambiente presso l’Università degli studi di Palermo. Militante di Ecologia Politica e Trinacria. Tiziana Albanese, studentessa di Lettere moderne all’Università degli Studi di Palermo, è militante di Trinacria ed Ecologia Politica.

28/12/2022 https://jacobinitalia.it

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