Ru486, cambiano le linee guida per l’aborto farmacologico

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha finalmente annunciato l’attesa modifica delle linee guida per la somministrazione della Ru486: si farà in day hospital in tutta Italia, non sarà più a discrezione delle diverse regioni, e potrà essere somministrata fino alla nona settimana, non più solo fino alla settima, termine adottato in Italia e non giustificato da alcun motivo medico-scientifico. Finalmente l’Italia si riallinea alla maggior parte dei paesi europei dove la Ru486 è in uso dalla fine degli anni Novanta e rappresenta da tempo il metodo abortivo più diffuso.

Nulla ormai giustificava il mantenimento di linee guida risalenti al 2009, anno in cui tardivamente anche l’Italia introdusse l’uso della Ru486, e già vecchie allora. Infatti proprio le pesanti limitazioni imposte hanno impedito di fatto che l’aborto farmacologico fosse una reale alternativa per le donne, in un paese in cui l’obiezione di coscienza al 70% rende l’aborto chirurgico una vera e propria corsa a ostacoli e consegna ai medici un potere enorme.

C’è voluta una pandemia. L’emergenza sanitaria che ne è conseguita, infatti, ha rischiato di mettere definitivamente in crisi l’accesso all’aborto in Italia. A denunciarlo e ad attivare strumenti di informazione e mutuo soccorso ci hanno pensato le donne. La campagna #SosAborto, lanciata da Non Una Di Meno, Obiezione Respinta e dalla pagina Ho abortito e sto benissimo, ha fatto da cornice all’attivazione sui territori di supporto e informazione e ha rilanciato la denuncia e la necessità immediata di estendere la Ru486 e garantire l’aborto anche in condizioni di stress per il sistema sanitario come durante il lockdown. La petizione lanciata dalla rete Pro-choice ha raccolto migliaia di firme, consegnate lo scorso 2 luglio durante un presidio sotto il ministero della Salute.

Il presidio del 2 luglio, foto di Ilaria Turini

Ma c’è voluto anche un atto senza senso come quello della presidente della regione Umbria Tesei che, in condizioni sanitarie eccezionali, decide di revocare il day hospital per l’aborto farmacologico negli ospedali della regione introdotto solo un paio di anni fa dalla giunta precedente. Questa decisione “intempestiva” – che ha scatenato una mobilitazione immediata – ha avuto paradossalmente il merito di imprimere una grande accelerazione alla campagna e di accendere i fari sulla follia dell’arbitrarietà regionale rispetto a una questione così sensibile e già problematica. Non era infatti solo la regione Umbria a stabilire l’obbligo del ricovero, ma il passo indietro imposto dalla presidente Tesei ha rivelato quanto ideologiche e per niente scientifiche fossero le linee guida, quanto inutile e ingiusto fosse l’obbligo di ricovero per l’aborto farmacologico quando per il chirurgico si procede ovunque da anni con il day hospital, quanto il termine delle sette settimane non abbia altro scopo che limitarne l’accesso.

In questo contesto le donne hanno saputo agire con intelligenza e costanza: «questa è una vittoria resa possibile dalla forte pressione dal basso e dalla mobilitazione permanente di Non una di Meno, delle associazioni pro-choice e delle ginecologhe non obiettrici, delle donne che sui territori si sono organizzate anche durante il lockdown per sostenere l’accesso all’aborto messo in discussione, non solo dall’obiezione di coscienza e dallo smantellamento dei reparti ivg, ma anche dall’emergenza sanitaria in corso – scrive Non Una Di Meno dalla sua pagina facebook – Abbiamo vinto ma non ci può bastare. Ora è il momento di estendere la somministrazione della RU486 nei consultori, presidi per la salute sessuale e riproduttiva e per l’autodeterminazione delle donne e delle soggettività libere. È il momento di potenziare e rifinanziare la rete consultoriale per riconsegnare alle donne la piena libertà di scelta e sottrarre ai medici obiettori il potere di decidere al posto loro. È il momento di introdurre nelle scuole l’educazione sessuale e all’affettività e la contraccezione gratuita».

E a Roma e nel Lazio è proprio sui consultori che si è concentrata l’attenzione del movimento transfemminista che con il Coordinamento delle assemblee delle donne e delle soggettività libere prosegue in un lavoro costante di monitoraggio e riappropriazione dei consultori, come terreno fondamentale per reinventare un welfare che tenga insieme autodeterminazione e salute sessuale e riproduttiva.

Mobilitazione alla regione Lazio per i consultori, foto di Gaia Di Gioacchino

Il tema dell’accesso all’aborto è fin dall’inizio il terreno di conflitto condiviso dal movimento femminista e transfemminista globale dell’ultima ondata. Le date di mobilitazione italiane per l’autodeterminazione e intorno alla battaglia per l’estensione della Ru486 e contro l’obiezione di coscienza si intrecciano con le lotte argentine, latino-americane e statunitensi, con quelle polacche e irlandesi. Sono passate per le strade di Verona contro i clerico-fascisti del congresso delle famiglie. A questo proposito, Non una di meno sottolinea una coincidenza suggestiva:

«l’8 agosto del 2018 eravamo in piazza per sostenere le sorelle argentine il giorno del voto in Senato della legge per l’aborto legale, la legge ancora non c’è ma l’aborto in sicurezza è garantito dalle reti femministe su tutto il territorio nazionale. Oggi in Italia finalmente si aggiornano le linee guida e l’aborto farmacologico dopo 10 anni diventa realtà, ma ancora vigono le sanzioni per le donne che si autoprocurano l’aborto. L’autodeterminazione è un conflitto mai chiuso, la nostra è una lotta costante!».

Il Piano femminista contro la violenza si conferma essere, ancora una volta, non semplicemente un insieme di obiettivi da raggiungere ma un processo di trasformazione che connette e intreccia le lotte, in Italia e nel mondo, e che riguarda la pratica quotidiana quanto il livello di rivendicazione politica.

8/8/2020 https://www.dinamopress.it

Foto di copertina di Ilaria Turini

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