SALARIO MINIMO LEGALE. QUANDO TAJANI NON SA DI COSA PARLA

Seguo sempre con grande interesse le tematiche relative al lavoro e, nelle ultime settimane, c’è una questione che è divenuta di grande attualità: l’eventuale istituzione, anche in Italia, di un salario minimo legale (SmL). Un tema rispetto al quale, a onore del vero, non tutti coloro che hanno ritenuto opportuno intervenire hanno sempre dimostrato di saperlo fare in maniera sufficientemente adeguata. A cominciare dall’ineffabile Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, capace di avventurarsi in un’elucubrazione senza nè capo nè coda, alla fine della quale – pur nell’assordante ed imbarazzato silenzio, da parte delle decine di pseudo giornalisti che lo accerchiavano – risultava essere il solo a non essersi reso conto di avere ripetuto una serie di vere e proprie <puttanate> (tanto per usare un eufemismo)! In più, nel corso di un’altra pietosa occasione, l’ex “delfino” di Berlusconi era arrivato al punto di sostenere che l’eventuale istituzione del Sml avrebbe addirittura penalizzato coloro che oggi guadagnano meno dei 9 euro lordi previsti e, non contento, aveva denunciato – tra gli entusiastici applausi della Coldiretti – di non essere disponibile a ricreare un sistema da ex Unione Sovietica. Come se fosse stato vero che nell’ex URSS tutti i lavoratori percepivano lo stesso stipendio ed equale cosa avrebbe prodotto il SmL in Italia. Più ignorante di lui, solo le talpe!

Meritevole di diversa considerazione, invece, un articolo, firmato Silvano Veronese, pubblicato sul sito della “Fondazione Anna Kuliscioff”. Nell’articolo della “News nr. 149” il Veronese sostiene, in sostanza, che la migliore soluzione sarebbe rappresentata, piuttosto che dall’istituzione del SmL, dalla piena applicazione dell’art. 39 della Costituzione; della sua seconda parte, in particolare. In effetti, attraverso la piena attuazione del suddetto articolo, i Ccnl acquisirebbero una valenza “erga omnes” (e non extra, come erroneamente riportato) e avrebbero efficacia per tutti i lavoratori appartenenti alla specifica categoria. Un fatto straordinario, capace di porre fine all’assurda proliferazione dei contratti collettivi (molti c. d. “pirata”, tra gli oltre 1.000) tutt’ora registrati al CNEL! Si tratterebbe, infatti, di una soluzione che potrebbe concorrere a risolvere il problema di tanti “minimi contrattuali” inferiori a qualsiasi logica e decenza! A questo, però, Veronese aggiunge alcune considerazioni che – in linea con le consolidate posizioni espresse, ad esempio, da Claudio Negro, attraverso le stesse news – sono molto meno condivisibili.

Per ragioni di spazio e per opportuna sintesi, mi limiterò ad evidenziarne qualcuna: 1) Veronese ritiene, ad esempio, che le statistiche Ocse ed Eurostat vengono male interpretate e, solo con “disprezzo della serietà e della verità” fanno dichiarare ad alcuni politici e sindacalisti che “le retribuzioni italiane sono le più basse dei Paesi Ocse ed europei“. A suo parere questa sarebbe “una sciocchezza enorme“, perché le nostre retribuzioni sarebbero, invece, “Appena al di sotto delle retribuzioni medie dell’area Euro“! A suo parere, quindi: “le retribuzioni italiane sembrano distanti da quelle dei Paesi più evoluti – Francia, Germania, Svizzera (!)” – ma solo ed esclusivamente per una sorta di effetto ottico, dovuto al fatto che “le retribuzioni italiane vanno aumentate della 13° e del Tfr“. Di conseguenza, secondo Veronese – che, però, esprime solo suoi (sconcertanti) pareri, senza documentare nulla di quello che dice – “Facendo bene i conti le differenze si accorciano sensibilmente o persino si annullano“! Ergo: va tutto bene: i lavoratori italiani sono già in Paradiso e solo oggi, grazie a Silvano Veronese, possono prenderne atto! Peccato, però, che i dati che contano, estratti cioè da quei documenti ufficiali che Veronese evidentemente tralascia di consultare, dicano altre cose e confermino situazioni di grande disagio dei lavoratori italiani rispetto a molti dei loro colleghi europei. Il Rapporto annuale Istat ci dice, ad esempio, che nel 2021, a parità di potere di acquisto, “la retribuzione media annua lorda italiana (pari a circa 27 mila euro) è stata inferiore del 12 per cento a quella media Ue e del 23 per cento a quella tedesca”. E non solo. Lo stesso Rapporto indica che: “tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12 per cento, circa la metà della media europea”! Negli stessi anni “Il potere di acquisto delle retribuzioni italiane è sceso del 2 per cento, mentre negli altri Paesi ha fatto registrare un + 2,5 per cento!
Altro che “effetto ottico
”.

Si tratta, in definitiva, di dati (certi) che denunciano una triste realtà; contestabili solo attraverso le classiche “chiacchiere da Bar dello Sport” o da “osteria salviniana”!
Chiacchiere che non amo in quanto fanno tornare alla memoria un modo di dire che non amo perché esprime la spesso ingiustificata ostentazione di chi pretende di essere detentore della verità: “Ne supra crepidam sutor iudicaret”!

Renato Fioretti

Esperto Diritti del Lavoro. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

30/7/2023

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