Scuola a rischio

Parlare di “opportunità”,di “occasione” a proposito di una pandemia suona piuttosto indecente. Oltre 30.000 morti in Italia, una devastante crisi economica, il tracollo culturale e sociale di un paese in lockdown per due mesi, in continua oscillazione dal tragico al ridicolo, tra comportamenti individuali, posizioni politiche, interpretazione di norme, forme di delazione, deliri giornalistici ecc. Ecco, di fronte a tutto questo, all’ impegno e al sacrificio enorme delle lavoratrici e dei lavoratori, alla sofferenza degli ultimi, dei più bisognosi, dei senza casa, dei più deboli, dei bambini, delle donne, pare strano immaginare di considerare la pandemia come opportunità.
Purtroppo però, è così. Una crisi di dimensioni globali, quindi, che determinerà cambiamenti durevoli. In quale direzione ?

Oggi si discute molto di scuola. La riapertura , nella fase due dell’epidemia, è un’operazione delicatissima. La confusione è grande, le certezze sulla malattia sono molto scarse. Per la scuola, come per il lavoro, la tempesta perfetta. In nome della collaborazione, della solidarietà, del portare il paese fuori dal baratro, si condurrà , da parte della classe dominante, la definitiva “battaglia di inciviltà”. La normalità, il cui ritorno si invoca disperatamente, rischia di essere un boomerang.

La distruzione della scuola della Costituzione si prospetta minacciosa, e potrebbe anche essere resa appetibile al grande pubblico. Il popolo, non tutto per fortuna, ma in considerevole parte ,nutre un malcelato disprezzo per la categoria docente, e , da tempo, una infima considerazione per la scuola. Infatti, degli ultimi venti anni di riforme, tagli, incuria della principale istituzione di un paese, ci si è occupati, nel dibattito politico e culturale.,molto poco. Ma, mentre la cosiddetta società civile, quella in cui sono tutti specialisti di qualcosa, entrava nella scuola per difendere i figli dai professori cattivi, anche il mercato osservava questo interessante campo di attività.

Trasformare il più improduttivo dei settori, in una grande piazza- affari per fare profitto, sfruttando la metamorfosi iniziata con le riforme dell’autonomia, è una forte tentazione. La scuola -azienda può prevedere la gestione privata del personale, senza

impedimenti di contratti collettivi. In un regime di libera concorrenza, grazie all’autonomia scolastica, la gara diventa fornire servizi a domanda, in termini di orari, scelte didattiche, pacchetti formativi. A pagamento, chiaramente.

Una scuola su misura non tanto degli studenti, quanto delle specifiche necessità, per esempio, dei genitori. In un momento successivo, la stessa formazione può diventare funzionale alle esigenze dell’economia, delle imprese. La scuola può servire anche a “vendere “ prodotti informatici, servizi, consulenze. Questa scuola non è quella che serve al paese.

Quella che vogliamo è la scuola che promuove la cultura, opera per rimuovere le disuguaglianze, si fonda sulla libertà d’insegnamento, laica, pubblica, gratuita, obbligatoria, unitaria ed inclusiva. Non vogliamo la scuola del profitto delle agenzie formative, dell’alternanza scuola lavoro, delle competenze svuotate di contenuti, della confusione di figure e finalità.

Oggi più che mai serve un dibattito serio e profondo, che parta dalle esigenze e dalle idee di chi nella scuola lavora , cresce e vive, in un’ottica di dialogo costruttivo con la società e la politica che metta finalmente al centro le richieste finora inascoltate.
La scuola statale, di ogni ordine e grado, deve tornare al centro degli investimenti pubblici, in tutto il territorio nazionale

(ricordiamo che in molte zone d’Italia la scuola dell’infanzia statale non esiste o non è sufficiente, sostituita da scuole paritarie e private), deve tornare a mettere al centro l’istruzione, la conoscenza, le riflessioni sulla valutazione.

Oggi le voci, le opinioni, le valutazioni le proposte arrivano da ogni parte, ma sono ingerenze sterili, poco rispettose e nemmeno concrete. Nei fatti, nei decreti, nei piani economici del governo mancano le risorse, sia per l’emergenza che per la “normalità”.
La pandemia rappresenta per la scuola la classica ultima goccia. Ma il vaso era già colmo, e anche porre riparo all’ultima goccia, non risolverebbe le difficoltà che sono state ignorate e lasciate alla solita arte di arrangiarsi dei lavoratori.

Abitudine inveterata e diffusa , nel nostro paese , in molti settori, e che con lo stato di necessità provocato dalla pandemia è ancora più gravosa. Si gioca, in questo difficile momento storico, il disfacimento della scuola come luogo unificante di cultura , del diritto all’istruzione per tutti, in cui l’unico profitto deve essere l’ uguaglianza di opportunità per tutti, per il futuro di questo paese che ha di fronte a sé tempi molto duri.

Loretta Deluca

Insegnante. Torino

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di maggio del periodico www.lavoroesalute.org

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