Scuola e famiglia: quale alleanza?

scuola diseg2 Vignetta di Mauro Biani

 

Il CCNL del comparto istruzione ( triennio 2016-2018 ) , all’art. 24 definisce la scuola “comunità educante “, richiamando finalità elevatissime, ambiziose : dialogo, ricerca, crescita globale , esperienze sociali. Dirigenti, amministrativi, docenti, operatori, e pure famiglie e studenti tutti insieme appassionatamente , dovrebbero contribuire allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, alla formazione di cittadini, all’abolizione delle diseguaglianze. Una bella favoletta. Peccato che, come può testimoniare chiunque abbia esperienza presente o recente di scuola italiana, la realtà sia molto diversa. Intanto, ognuno dei lavoratori individuati come parte della fantomatica comunità educante potrebbe raccontare di carichi di lavoro elevati, organici insufficienti, pastoie burocratiche , condizioni strutturali sfavorevoli, conflitti tra i ruoli, difficoltà comunicative.

Guerre intestine tra dirigenti dei servizi amministrativi impigliati in complicate procedure che necessariamente ostacolano iniziative didattiche dei docenti, dirigenti che perdono il sonno per le questioni legate alla sicurezza in edifici pericolosi, docenti alle prese con classi troppo numerose , impiegati e operatori insufficienti ai bisogni. Un quadro in cui la crescita personale e la formazione dell’uomo e del cittadino, purtroppo , non è in cima ai pensieri della comunità scolastica. Ma si sa, in Italia il senso della realtà non è sempre attivo. Il concetto di comunità educante si può, più realisticamente, restringere a docenti , studenti e famiglie. Il principio della partecipazione democratica alla vita della scuola , ( per studenti e genitori) venne introdotto dai decreti delegati del 1974 (D.P.R. n. 416 ) che istituirono gli organi collegiali (consigli di classe, di intersezione, di circolo, d’istituto ) presenti ancora oggi, forme organizzative che dovrebbero essere aggiornate e rinnovate nel quadro di un confronto interno alla scuola stessa, non certo con manovre dall’alto. I decreti del 1974, frutto del vento di rinnovamento sessantottino, segnarono la fine di una scuola chiusa, anche autoritaria, dove presidi ed insegnanti esercitavano potere indiscutibile e pressochè assoluto. Il diritto di essere rappresentati per gli studenti, il coinvolgimento delle famiglie furono conquiste di civiltà.

Oggi i sostenitori dell’autonomia differenziata in materia d’istruzione vorrebbero stravolgere completamente l’equilibrio della partecipazione delle varie componenti al governo della scuola, in un modo di cui si è già più volte denunciata la nocività. A costoro la scuola piacerebbe trasformata in campo aperto alle esigenze del mercato ( più di quanto già sia..).

Tornando al rapporto scuola -famiglia, è piuttosto burrascoso. Nella “ società liquida” tutto tende a confondersi, smarrirsi. Le criticità sono diverse nei vari ordini di scuola ma in generale i docenti soffrono per la tendenza al controllo e all’ingerenza dei genitori.
Alla scuola dell’infanzia, soprattutto sull’onda di fatti di  cronaca, immediatamente strumentalizzati dalla parte “vigilantes” del paese, partono periodicamente le richieste di videosorveglianza per proteggere i bambini dalle maestre-orchesse. Purtroppo non parte mai una seria analisi e riflessione sulle condizioni di lavoro, rapporto numerico adulto-bambini, età pensionabile. Senza voler giustificare nessun abuso e violenza, sarebbero interessanti, queste valutazioni. Per fortuna, nella maggioranza dei casi, le maestre sono magari un po’ stanche ma non pericolose.
Il segreto per una proficua collaborazione, sta nell’instaurare un rapporto di fiducia che salvaguardi le reciproche “ giurisdizioni “, individuare obiettivi comuni. Una volta abbandonata l’idea della scuola come un prolungamento della propria casa, perchè è una realtà distinta, con attori e regole diverse, tutti traggono il massimo profitto da azioni educative sinergiche e ben coordinate.

Le cose si complicano nella scuola primaria e secondaria, in cui la preoccupazione del genitore va ben oltre la sicurezza. In fondo, “all’asilo” basta che stia bene e giochi.
Nel momento in cui compaiono compiti, valutazioni, pagelle , i genitori più fragili o forse meno equilibrati si lasciano travolgere dall’ansia da prestazione. Si dividono tra fautori dello studio matto e disperatissimo ( pochi ) e nemici dello sforzo, non tanto in base a idee pedagogiche ma a personalissime dinamiche psicologiche , o al desiderio di non essere sopraffatti dai compiti. Già, perchè i compiti degli allievi, non solo nei primi anni, oggi ricadono sui genitori. Così partono confronti , tra bambini, tra classi parallele, ricerca di responsabilità, la maestra è incapace, troppi compiti, pochi compiti, ogni sorta di giustificazioni per eventuali scivoloni di Pierino, proteste, reclami.

La tecnologia fornisce strumenti di esaltazione delle forme paranoidi. Tutti sanno cosa può scatenarsi nell’immancabile chat di whatsapp.. L’altro strumento demoniaco, che tra l’altro aumenta notevolmente il carico di lavoro degli insegnanti , è il registro elettronico. In tempo reale, mamme casalinghe o in carriera seguono la giornata scolastica , immediatamente informate di note, giudizi , voti. Sarebbe interessante uno studio degli effetti, sull’evoluzione e la crescita psicologica, di una generazione di sorvegliati speciali. Povere creature ( magari già quasi maggiorenni ) a cui è preclusa la possibilità di nascondere qualche incidente, o di scegliere modo e tempo di comunicazione ai genitori. E dire che sarebbe un bel banco di prova del rapporto genitori figli, riuscire ad essere presenti ma non ossessivi.

D’altro canto, anche gli insegnanti sono monitorati strettamente: chiamati a giustificare giudizi negativi, a coordinarsi, per evitare di stancare le giovani menti concentrando troppe verifiche nella settimana. Le aggressioni fisiche ai docenti , le minacce, le contestazioni sono frequenti.
Clamoroso il caso di gennaio 2019 , nel trevigiano, dove un padre, ritenendo inaccettabile il 4 del figlioletto, piombò in classe mettendosi a interrogare i ragazzini, per provare l’ingiustizia perpetrata dal docente.

Nella società dell’uno vale uno , dei tuttologi laureati all’università della vita, non si riconosce più alcuna professionalità. Certo, ci sono insegnanti impreparati ( di questo passo saranno sempre più numerosi ) ed anche antipatie, ingiustizie, errori di valutazione in buona o cattiva fede. Ma questo è inevitabile, e comunque la cura, cioè questo “grande fratello” che opprime lavoratori e studenti è peggiore del male. Il risultato finale, tragico, è che la scuola, sommersa da miriadi di problemi, non ultimo quello della didattica delle competenze e delle valutazioni statistiche, perde sempre più la sua funzione primaria, quella di essere luogo di costruzione di conoscenze.

Loretta Deluca

Insegnante Torino
Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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