“Senza cittadinanza non si è mai sereni”

Ritorno a parlare di Ius Soli. Lo faccio dopo solo un mese, perché è doveroso e quantomeno necessario  portare l’Italia un gradino più su nella battaglia che veda garantito il diritto di poter diventare risorsa  del paese in cui si vive: risorsa e non ostacolo, risorsa e non fanalino di coda. Ho affrontato nel vivo l’argomento soffermandomi sugli aspetti legislativi e pratici con Lucia Ghebreghiorges.

In questo articolo la parola è andata invece a Paula Baudet Vivanco, giornalista e attivista, che nel 2016 ha fondato #ItalianiSenzaCittadinanza, movimento che continua a rappresentare, dal 2017, presso  l’Osservatorio del Ministero dell’Istruzione per l’intercultura e l’inserimento degli alunni di origine straniera.  

Per chi ancora non vi conoscesse, com’è nato il movimento #ItalianiSenzaCittadinanza e perché?  

Il movimento #ItalianiSenzaCittadinanza nasce nel 2016 come realtà autorganizzata, fondata da figlie e figli di immigrati cresciuti in Italia per sostenere una riforma della legge sulla cittadinanza italiana (l.  91/92). Nel 2015 modifiche a quella legge, erano state votate alla Camera dei deputati ma il testo era  rimasto poi bloccato in Commissione Affari costituzionali del Senato e, a parte proclami pro e contro,  nulla si era più mosso in Parlamento. Ragazzi e ragazze ventenni direttamente discriminati, insieme  ad alcune attiviste sempre di origini straniere che si battevano da anni per una legge più giusta, stufi  delle chiacchiere ai piani alti e dell’immobilismo, avevano allora deciso di organizzarsi  autonomamente e di scendere in piazza per non essere più invisibili nel Paese in cui erano cresciuti e  per narrare direttamente i propri vissuti di “senza diritti”, consapevoli anche che la Legislatura stava finendo e bisognava darsi una mossa.

È così che muove i primi passi l’organizzazione. La prima  iniziativa creativa è quella delle Cartoline cittadine da consegnare ai senatori: foto di classe degli anni della scuola dei rappresentanti del movimento e che il 12 ottobre 2016 vengono pubblicate sulla prima pagina del quotidiano La Repubblica grazie ai contatti che alcune delle attiviste e giornaliste  avevano già. Il giorno dopo ISC organizza le sue prime iniziative di piazza: i flashmob “Fantasmi per legge” in diverse città per ricordare il primo anniversario del voto della riforma alla Camera e chiedere  il voto in Senato di una legge che riguarda “il riconoscimento dei figli d’Italia dimenticati”.

Da lì  seguiranno molte iniziative di piazza, sit-in, flash mob, dal Cittadinanza Day a piazza Montecitorio  dell’ottobre 2017 ad una fiaccolata serale, queste realizzate anche insieme alle organizzazioni della  Campagna “L’Italia sono anch’io”, ad associazioni di genitori e alunni di alcune scuole e agli “Insegnanti  per la cittadinanza”. Un pressing di più realtà della società civile, che permette di portare finalmente  nell’Aula del Senato il testo di modifica, il 15 giugno del 2017, e quindi di trovare una maggioranza  intorno alla riforma che però non reggerà la prova finale, e che anzi una prova finale e fondamentale  non la farà mai. Perché alla fine del 2017 le modifiche alla legge sulla cittadinanza non verranno mai calendarizzate e quindi, purtroppo, mai votate. 

Iniziamo dai numeri, oltre un milione di bambini e di bambine, di ragazzi e di ragazze, cresciuti e  cresciute in Italia, in attesa dell’applicazione di un diritto: il diritto alla cittadinanza. Come  cambierebbero le loro vite se smettessero di essere cittadini di serie b?  

Innanzitutto, potrebbero finalmente respirare sereni nel Paese in cui sono cresciuti e spesso anche nati. Perché dipendere per anni dal permesso di soggiorno dei nostri genitori e poi dal nostro  permesso personale ci rende strutturalmente insicuri in questo nostro Paese dove le leggi discriminatorie peggiorano da anni per immigrati e figli, come abbiamo visto con il primo decreto  sicurezza a firma del leghista Matteo Salvini, che nel 2018 ha addirittura reso più restrittiva la cittadinanza.

Perché non è vero che siamo tutti sulla stessa barca, nemmeno in questa pandemia: 

alcuni e alcune di noi non ci sono mai neanche saliti su quella barca, siamo stati allontanati ripetute volte e addirittura fatti affondare, senza più respiro neanche per protestare. C’è un immenso abisso  tra il vivere in Italia, in Europa, con pieni diritti, a cominciare dal diritto a non essere espulso e non  dover più chiedere costantemente il permesso, non dover fare più una fila senza fine che abbiamo  ereditato dai nostri genitori. C’è una gran differenza dal sapere chiaramente che nessuno ti potrà  escludere da un concorso pubblico. C’è una grande differenza quando sai di poter fare un lavoro  anche precario senza dover dipendere dalla promozione o bocciatura della Questura. Puoi finalmente  permetterti il “lusso” di seguire percorsi lavorativi che non siano i soliti a cui sono stati costretti i nostri  genitori per tappare i buchi italiani ed essere spesso tra i più sfruttati, in agricoltura, nell’edilizia e  nella cura. C’è una grande differenza quando sai che puoi votare e decidere chi fa le leggi che poi  condizionano profondamente la tua vita. 

Cosa cambierebbe in positivo per l’Italia e per la società italiana?  

All’Italia non potrebbe fare che bene una legge giusta sulla Cittadinanza per nati o cresciuti qui.  Innanzitutto, è fondamentale una legge che sia attinente alla realtà e non basata su speculazioni  indotte da ambizioni elettorali di partiti, proiezioni di paure indotte spesso dall’alto oppure  rappresentazioni stereotipate. Ragionare sull’esistente e non sui fantasmi può solo tornare a favore di  chi anche in futuro vuol continuare a governare e amministrare un Paese in carne e ossa e quindi deve  misurarsi con persone che prima o poi diventeranno elettori, nonostante si cerchi in ogni modo di  allontanare gli Italiani non riconosciuti da quel momento. Inoltre, una legge più aperta, frutto della consapevolezza di essere un Paese dalle molte origini, ricco e complesso dal punto di vista culturale, porterebbe l’Italia a essere più vicina ad una parte d’Europa che ragiona sul suo essere interculturale, a Paesi che non possono più negare di quanto sia normale, ad esempio, l’esistenza di neri Italiani, e che si possa meglio proiettare su un futuro complesso e non nettamente diviso tra Europei “con e senza” cittadinanza.

Dove magari le migrazioni politiche, economiche, climatiche, non saranno  rappresentate più come una minaccia costante, ma come parte di un percorso che può riguardare  ogni famiglia e che anche per questo non vanno demonizzate. Inoltre, una legge che comprendesse  l’accesso a pieni diritti, compreso quello preziosissimo di non essere espulso insieme alla tua famiglia,  già da bambini o da neonati permetterebbe di rafforzare la fiducia in una Costituzione bellissima come  quella italiana e che però mostra oggi costantemente le sue carenze nella vita reale di più di un milione  di cittadini mancati. Così come permetterebbe soprattutto alle nuove generazioni di figlie di  immigrati/e di sottrarsi, attraverso il godimento dei pieni diritti fin da giovanissimi e la sicurezza che  questo comporta, a vincoli e dinamiche familiari e culturali che possono limitare le loro libertà di scelta  di vita in una società dove i sistemi patriarcali si compenetrano. Dando così la possibilità di un finale  diverso a giovani donne come Saman Abbas, nata e cresciuta in Italia, ma non ancora cittadina al  momento della sua scomparsa. 

“Io sono una priorità” è il nome di una delle vostre ultime campagne. L’impressione, tuttavia, è che  lo Ius Soli e altre modifiche alla legge sulla cittadinanza siano finite prigioniere nelle fila della litigiosità  tra partiti. È così?  

“Io sono una priorità” è la cornice fb che ha creato la nostra Fioralba Duma e che hanno diffuso  recentemente alcune delle nostre attiviste del movimento di fronte all’ennesima dichiarazione calata  dall’alto sulle loro teste, stufe di essere messe in mezzo da politici di professione e solo per tirarsi accuse l’uno l’altro e per posizionarsi pubblicamente sui giornali rispetto ad alcuni temi e di fronte ai loro elettori. Ci sembra di assistere ad un teatro ciclico delle parti “ius soli sì / ius soli no”, tra l’altro  spesso in scena tra forze che oggi sono pure al Governo insieme, e tutto questo senza che poi venga  ascoltata seriamente o riesca a irrompere la realtà dell’Italia di oggi, ossia di persone reali che vivono davvero l’impatto di una legge discriminatoria, senza pieni diritti, e che a volte persino si auto organizzano con gli strumenti della politica per cambiarla. Ecco, noi siamo convinti che le nostre vite  contino e che dovrebbero contare molto di più di quattro chiacchiere di fronte ai microfoni e che i  politici di professione debbano essere seri e avere un briciolo di coraggio nell’essere concreti nel  guardare al Paese di oggi.

Un po’ di quel coraggio che noi dobbiamo tirare fuori quotidianamente nel  vivere per la gran parte delle nostre esistenze col permesso di soggiorno in questo nostro Paese così  incerto, dalle leggi antiquate e dal sistema burocratico che esprime il “meglio” del suo sadismo nei  confronti nostri e dei nostri genitori. E che ci far urlare ogni giorno “Non possiamo più aspettare”! 

Spieghiamo perché e per chi è discriminante legare il riconoscimento dello status di cittadino  italiano al profitto scolastico.  

Come Italiani e Italiane senza cittadinanza cresciuti qui pensiamo di non dover dimostrare di essere  belli, bravi e buoni per avere accesso ai diritti che i nostri coetanei hanno già senza aver dovuto fare  assolutamente niente a parte venire al mondo come eredi di genitori italiani. Per noi i diritti pieni non  vanno quindi meritati con bei voti, mantenendo il faccino pulito oppure evitando a tutti i costi di  creare problemi o di esprimere pareri che non siano perfettamente in linea con quanto dicono gli  insegnanti. Quello che noi chiediamo come movimento è invece che per l’accesso alla cittadinanza  italiana si tenga conto dei nostri anni di residenza nelle città italiane dove siamo cresciuti dopo il  ricongiungimento familiare, dimostrabili anche con i certificati di frequenza scolastica o vaccinali in  caso di buchi di residenza anagrafica. Proprio come viene oggi assicurato ai nostri fratelli e sorelle  minori che in Italia ci nascono. 

La frase più lesiva che è stata detta per impedire la riforma?  

Una delle frasi che più hanno danneggiato il percorso della riforma della legge sulla cittadinanza è stata: “Con lo ius soli troppe donne verrebbero a partorire in Italia per la cittadinanza”. Innanzitutto,  perché non era assolutamente vera, visto che tutti i testi di modifica della legge 91/92 hanno  riguardato sempre esclusivamente i figli e figlie di immigrati già presenti regolarmente sul territorio.  Pessima dichiarazione perché spesso veniva da parlamentari che per lavoro avrebbero almeno dovuto  conoscere il contenuto dei testi di riforma che criticavano e proprio il loro ruolo portava le persone  che li ascoltavano, e che non avevano letto direttamente le leggi, a fidarsi di queste sparate, che tra  l’altro a volte sono venute non solo da Lega e Forza Italia, ma persino da esponenti del Centro sinistra  da cui ci saremmo aspettati più attenzione sul tema. A noi attivisti, che i testi li conoscevamo eccome  anche perché ci riguardavano in prima persona, sembrava assurda questa ignoranza palese e  comunicazione errata megafonata poi dai giornali che neanche si andavano a controllare i testi di  riforma e che si limitavano a riportare informazioni errate senza nessuna capacità o volontà di  metterle in dubbio. E va detto che tutta questa dinamica ci danneggiava anche perché tutto il dibattito  ai piani alti finiva per focalizzarsi su una rappresentazione falsata delle richieste di modifica che si  concentrava tra l’altro esclusivamente sui nati in Italia mentre lasciava fuori o bollava come non  importanti tutti noi cresciuti in Italia, arrivati qui con ricongiungimento familiare, che non abbiamo  nessun percorso specifico di accesso alla cittadinanza italiana e che diventavamo ancora più invisibili nel dibattito pubblico sullo “Ius soli”. 

ROMA 17/11/2017 Manifestazione dei studenti medi contro il caro libri, contro il lavoro presso strutture private che non li qualifica, contro le scuole fatiscenti. Per una scuola di qualita’ aperta a tutti.
Immagine di mediterraneodowntown.it

La frase o il pensiero più toccante che le è capitato di ascoltare da parte di chi si sente “sospeso”  

Tantissime sono le storie, frasi e pensieri toccanti ascoltati o vissuti in tutti questi anni. Anche perché  l’essere appesi al permesso di soggiorno, mai sereni fino in fondo, limitati costantemente nei nostri 

percorsi perché privi dei diritti che per i nostri coetanei figli di italiani sono scontati, arriva a  prolungarsi tantissimo soprattutto per chi non è nato ma cresciuto qui. Basti pensare che io ho  ottenuto la cittadinanza italiana, sono praticamente diventata maggiorenne, solo a 33 anni anche se  sono qui da quando avevo 7 anni e dopo una dolorosissima bocciatura della mia prima richiesta di  cittadinanza italiana. Immaginate gli abissi che si spalancano nel vivere esperienze così, in quello che  dovrebbe essere il tuo Paese! Allo stesso tempo va detto che più che frasi e pensieri di chi è in sospeso i macigni che più fanno male sono i gesti di chi si è arreso, schiacciato dal peso di una legge pessima  e di una condizione di “stranieri in casa propria” e dall’incubo del permesso di soggiorno: mi riferisco  alle amiche e amici, i fratelli e le sorelle che hanno rinunciato ad ottenere il pieno riconoscimento dei  propri diritti nei territori in cui sono cresciuti e se ne sono andati via dall’Italia, schifati o troppo scossi  dalle ingiustizie, per cercare di ricominciare altrove. Un passo che alcuni hanno fatto dopo il tramonto  della riforma della legge sulla cittadinanza, alla fine del 2017, di fronte alla vergogna di senatori e  senatrici che erano arrivati a nascondersi, a non presentarsi nemmeno in Aula, pur di non votare una  legge che riguardava innanzitutto bambini e adolescenti. 

Quali passi farete qualora questo conflitto tra la “missione” del giurista e il “peso” del consenso  popolare non si risolvesse?  

Noi pensiamo che i parlamentari debbano assumersi la responsabilità di ragionare sul presente e  futuro di un Paese i cui giovani hanno sempre più origini diverse ma senza gli stessi diritti e che non  debbano limitare la loro visione alle sole scadenze elettorali. Perché anno dopo anno continua a  crescere il numero degli Italiani non riconosciuti o che lo restano molto a lungo, 860mila oggi gli alunni  col permesso di soggiorno, così come aumenta la consapevolezza dell’ingiustizia in atto da parte dei coetanei che un passaporto italiano già ce l’hanno.

Ed è una realtà da riproporre in più forme agli  occhi dell’opinione pubblica, e la sfida è anche culturale, e di politici che hanno bisogno di raggiungere  un Paese che è già cambiato e di fare passi concreti perché le leggi innanzitutto siano adeguate. Nel  frattempo, però abbiamo deciso di concentrarci oltre che sul pressing per cambiamenti normativi  anche sul presente concreto che vivono oggi gli Italiani non riconosciuti, proprio perché le nostre vite  contano e intanto gli anni passano, continuando a scorrere in un pantano.

É vero che dal 2016 come  movimento lottiamo per la riforma manifestando nelle piazze, parlando ai Media e rivolgendoci direttamente ai parlamentari perché intervengano con le modifiche necessarie per assicurare un  percorso di accesso ai diritti chiaro, semplice e breve per chi nasce o cresce in Italia. Ma le tante  segnalazioni e i commenti che riceviamo quotidianamente sulla nostra pagina Fb  https://www.facebook.com/italianisenzacittadinanza e sul nostro Instagram  www.instagram.com/italianisenzacittadinanza_new/, così come i problemi che i nostri attivisti e  attiviste vivono in prima persona, ci dicono che è importante oggi fornire anche un supporto sempre  più concreto a chi ha fatto già domanda di Cittadinanza o vuole farla e che si trova a lottare in  solitudine contro una legge antiquata e piena di ostacoli, e contro una macchina burocratica che  sembra insormontabile.

Per questo insieme a Cittadinanzattiva abbiamo inaugurato dal 2 giugno l’iniziativa Obiettivo Cittadinanza. Uno sportello online www.facebook.com/ObiettivoCittadinanzaIta che vuole fornire informazioni utili e aggiornate a chi è nato o cresciuto qui per acquisire la  cittadinanza italiana mettendo a disposizione le competenze del servizio di ascolto e tutela di  Cittadinanzattiva e le nostre esperienze dirette messe in rete. Inoltre, su proposta degli esperti legali  della Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili) abbiamo lavorato insieme ad una Guida sull’accesso alla cittadinanza, sulle difficoltà del percorso di richiesta e forme di autodifesa, con risposte alle  domande più frequenti e complicate e che verrà pubblicata online già in questi giorni e disponibile  gratuitamente. Le nostre vite contano e per questo abbiamo bisogno di strumenti perché non  continuino ad affondare sempre più mentre lottiamo per una legge giusta.

Paula Baudet Vivanco, giornalista, ha lavorato per La Repubblica e collaborato con riviste  come Internazionale, D – La Repubblica delle donne e Jacobin e ha collaborato con IDOS, Dossier  annuale sull’Immigrazione in Italia, e con il Rapporto annuale Italiani nel mondo della fondazione  Migrantes. Ha partecipato all’elaborazione del Codice deontologico Carta di Roma sul linguaggio  giornalistico in tema di Immigrazione e Asilo e fondato l’omonima associazione su incarico di Ordine  e Sindacato dei giornalisti. Nel 2016 ha fondato il movimento #ItalianiSenzaCittadinanza che rappresenta, dal 2017, presso l’Osservatorio del ministero dell’Istruzione per l’Intercultura e  l’inserimento degli alunni di origine straniera.

24/6/2021 https://www.intersezionale.com

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