SERIAL KILLER

Dallo Stato di diritto allo Stato di polizia

Allora a che punto siamo nella comprensione dello stato di cose presenti che regolano, si fa per dire, il sistema politico che decide come dobbiamo vivere, e se dobbiamo vivere considerando, ad esempio, la media di tre morti al giorno sul lavoro. La comprensione del proprio stato di persona pensante dovrebbe partire da una base di partenza di screening dei passaggi che ci hanno visto partecipi, volenti o nolenti, perlomeno agli ultimi trent’anni delle scelte di consenso, con il voto in primo luogo, che è stato concesso dato a schieramenti politici proponenti soluzioni di governo lontane dai nostri bisogni elementari di lavoro e benessere sociale. Evidente il rischio di cadere in depressione se, con onestà intellettuale, ci accorgeremo di aver scelto i nostri carnefici, da quelli espliciti: Forza Italia e Lega, a quelli impliciti ma non meno violenti come quelli del PD e 5Stelle. Comunque, tutti serial killer delegati da milioni di voti.

Vogliamo parlarne, con noi stessi, del fatto che non abbiamo mai chiesto in milioni, con il voto, di farci governare principalmente dai comunisti che, per natura e per chiarezza d’intenti, avrebbero assunto le nostre difese su quanto di benessere e diritti si è conquistato nei 60 e 70 e avrebbero e, con nuove leggi di non farci pagare la crisi economica di questi ultimi dieci anni impostaci dai poteri industriali e finanziari per aumentare spudoratamente i loro profitti, e fare tabula rasa anche della nostra capacità di protestare con leggi di repressione degli spazi democratici che la nostra Costituzione ci assicura?

Abbiamo necessità vitale di pensare invece di essere indotti, costretti, ad assumere pensieri altrui.

Abbiamo bisogno di parole che trovino un passaggio mentale con conseguente autoinvito a un movimento perpetuo di agitazione intellettuale e mobilitazione concettuale, riscoprendo la priorità di una parola che ci possa allontanare da una condizione di zombi; una parola: lotta, che funzioni come il farmaco Narcan per chi s’intossica di oblio melmoso, la stessa droga che ci iniettano da oltre un ventennio.

Lottare è un concetto di base per alimentarci in modo sano e salutare perchè ci dà l’opportunità di cambiare stile di vita in un sistema politico che ci vuole spettatori acritici, consumatori disinformati e produttori senza diritti e reddito adeguato alle nostre esigenze di vita.

Per mantenerci in questo stato comatoso uno dei principali strumenti che usano, oltre la repressione diretta se trovano pochi che protestano, è la strategia della distrazione che ci conduce scientificamente lontani dalle questioni importanti che ci riguardano e ci inonda d’informazioni futili e insignificanti mediante i mezzi di comunicazione informativa e quelli d’intrattenimento.

L’altro metodo utilizzato è creare un problema e un allarme fittizio per indurci a reagire come fossimo delle marionette. Dalla crisi economica di questi anni al terrorismo islamico, fino alla favola dell’invasione degli immigrati, certifica questo manovrarci a loro piacimento offrendoci nel frattempo soluzioni che non curano nessun problema poiché è lo stesso problema che non esiste in realtà se non fosse creato ad arte per distrarci dalle loro manovre di accumulazione di potere e affari, con conseguente induzione a farci richiedere anche la diminuzione della nostra libertà personale e quindi degli spazi democratici. Così come la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici che nel frattempo, cioè da oltre trent’anni, hanno destrutturato dal punto di vista occupazionale e screditati come inefficienti, imponendoci così uno Stato ridotto al minimo come capacità di governo della società per offrici come regalo le privatizzazioni delle proprietà produttive pubbliche e a ruota quelle culturali e immobiliari, la precarietà come ordine di vita sociale e la flessibilità sul lavoro, la disoccupazione di massa, stipendi che non garantiscono più redditi di vita benestante ma, ben che vada, di sopravvivenza.

Allora siamo stati ridotti a spettatori considerati come ignari sudditi fino all’idiozia? Nulla di strano, perché?

Perché lo spettatore è incapace di pensiero e di azione: si limita al giudizio generico che conduce all’attesa passiva, quindi consapevolmente impotente, del cambiamento.

E questo stato attendista è facilitato dai social network attraverso i quali, se rappresenta il nostro unico spazio di partecipazione alla vita sociale, ci trasformiamo in opinionisti senza alcuna capacità di cambiare nulla, quindi inconsapevolmente aumentiamo la nostra depressione, e conseguente isterismo sui problemi – fino a ridurci a parlare con la pancia – di fronte ai pesi che aumentano nonostante crediamo di essere intervenuti per risolverli con la nostra azione opinionista.

Così ci mantengono inconsapevoli del ruolo assegnatoci, rendendoci incapaci di comprendere mentre noi siamo convinti di sapere tante cose facilitati dalla mole a getto continuo di notizie che ci regalano come farmaci senza “bugiardino”, ingolfandoci la mente e denutrendoci delle capacità di discernimento il vero dal falso (strategia delle falk news). Ora, considerati e trattati da idioti e schiavi produttivi delle loro merci avariate, quindi popolo inferiore perché incapace di parola appropriata e movimento adeguato alla ribellione. Per amalgamare definitivamente quest’opera di schiavizzazione moderna c’è bisogno di farci sentire in colpa, di essere noi stessi i responsabili del nostro stato d’inferiorità sociale e culturale. Privarci del sapere e quindi del diritto alla scuola prima e poi all’università rappresenta il primo delitto.

Come fuggire da questo lager invisibile come caseggiato di morte ma visibile come panzer velocissimo nel calpestarci?

Intanto entriamo nell’ordine d’idee che siamo capaci di pensare e di agire. E torniamo capaci di pensare, di volere e agire sulla materialità delle nostre condizioni, iniziando questa nostra riconversione di soggetti produttivi di azione concreta, e non solo di lamenti e indignazione, su fatti concreti come la nostra condizione lavorativa e pretendiamo da noi stessi, prima ancora che dai nostri rappresentati sindacali, una ricognizione nel nostro essere portatori di bene comune con la nostra professionalità e disponibilità a prenderci cura dei nostri simili. Questo ricostruirci come soggetti pensanti non deve essere monco ed egoistico, ma deve valere anche fuori dal mondo del lavoro quando relazioniamo con qualunque nostro simile, a prescindere dalla provenienza territoriale, dal colore e, per i credenti, dalla religione.

Entriamo in uno stato di agitazione positiva e propositiva verso gli altri nelle nostre condizioni di ultimi in questo stato di cose presenti. Uno stato di agitazione che metta in conto un fare, anche individuale, di lotta alle brutture di una società sempre più incivile, un fare individuale che parte dalla certezza che gli ultimi si salvano e si riabilitano solo se collettivamente, altrimenti si è comunque perdenti e sempre ultimi.

Ad esempio, pensiamo e agitiamoci di fronte alla farsa del “reddito di cittadinanza”, che invece di essere un dovuto reddito a chi è obbligato a non lavorare per fare da esercito di ricattati, è una vera presa in giro per molti e un invito alla guerra tra gli ultimi per pochi spiccioli, mentre loro sono obesi di ricchezza. Una mancia di sudditanza per imporre ai poveri riconoscenza servile ai potenti e al principio della corruzione. Disarmiamo in tempo questi killer al governo per vivere degnamente.

Franco Cilenti

Editoriale del numero di novembre del Periodico Lavoro e Salute

ALLEGATO

La “manovra del popolo”?

A pagare è sempre il popolo Chi ci guadagna? In questa legge di bilancio non c’è nulla per i lavoratori dipendenti vecchi e nuovi. Chi paga? La risposta più immediata è: nessuno direttamente, dato che le misure sono finanziate in deficit. Ma questo è solo un mascheramento. Se non ci sono fonti di entrate nuove, e se con la flat tax di categoria assistiamo persino a un taglio dell’imposizione su chi già concorreva in misura minima al bilancio nazionale, se ne deduce che a pagare oggi e domani saranno sempre i soliti. Parliamo ovviamente di lavoratori dipendenti in attività e a riposo, su cui grava il 95% dell’Irpef raccolta ogni anno in Italia, oltre che la maggior parte dell’Iva. Non pagano invece quelli che nella crisi si sono arricchiti, gli evasori fiscali di ieri e di oggi, premiati dall’ennesimo condono, chi vive di rendita grazie a patrimoni accumulati generazioni fa e liberi persino da una seria tassa di successione. Il grande trucco della “manovra del popolo” è proprio far intendere che finalmente in Italia si veda qualche briciola di giustizia sociale, quando siamo invece di fronte ad una partita di giro, in cui i lavoratori dipendenti pagano un sussidio a qualche disoccupato e persino sensibili sgravi fiscali alla minoranza più ricca dei lavoratori autonomi. Si deve inoltre sapere che alimentare la spesa a debito nei periodi di crescita è il modo migliore per garantire tagli pesanti a sanità, scuola e pensioni in quelli di crisi. Che fare? Partire dal presupposto che oggi la priorità è il lavoro, a partire dal settore pubblico, sottodimensionato di oltre 2 milioni di unità, nei comparti scuola, sanità e assistenza. Riproporre con urgenza la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e per il rilancio degli investimenti pubblici, vera emergenza di un Paese che cade letteralmente a pezzi.

NOTA – SULLA RIVISTA CARTACEA L’EDITORIALE E’ STATO PUBBLICATO IN UNA VERSIONE RIDOTTA CON IL TITOLO:

GOVERNO di CARNEFICI www.lavoroesalute.org

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