Silenzi e propaganda bellica

“Niente uccide un uomo come l’obbligo di rappresentare una nazione”

J.Vaché

A otto mesi dall’invasione russa in Ucraina è possibile fare delle osservazioni, mettendo in luce alcuni aspetti su cui l’informazione mainstream ha spesso taciuto. Guardando a quella italiana, alle tv e ai grandi giornali, possiamo notare come eventi di dimensione globale, la guerra appunto, e prima il Covid, abbiano “allineato” il pensiero dei comunicatori, dando luogo anche a una sorta di filtro (censura?) sul cosa sia più opportuno (e per chi) diffondere.

L’esercito russo ha attaccato il 24 febbraio, ma le notizie sulle tensioni più recenti – la guerra nel Donbass era in corso dal 2014 – risalivano già a settimane prima. Da noi l’argomento principe era il festival di San Remo, che per dieci giorni veniva anche prima delle notizie sul Covid. Poi, all’improvviso ci siamo ritrovati sotto i bombardamenti, purtroppo, non solo mediatici. È iniziata la narrazione unica della guerra con omissioni e clima da stadio. I mesi estivi con la campagna elettorale hanno nuovamente scalzato la guerra come prima notizia, ed ora siamo ritornati al solito refrain. Nessuno nega i crimini di Putin, un’informazione attenta però dovrebbe delineare un quadro complessivo, che tenga presente, se non gli aspetti storici, almeno i più importanti antefatti, i risvolti geopolitici e le eventuali ingerenze.

Il risentimento ucraino verso i russi nasce da quando, nel 1922, l’Ucraina entra a par parte dell’URSS. Da allora non è mai stata riconosciuta come entità dotata di una sua completa autonomia (ancora oggi Putin afferma che l’Ucraina è un’invenzione recente).

Un’avversione reciproca che chiama in causa molteplici fattori, e che ha rafforzato i nazionalismi dell’una e dell’altra parte, usati per suffragare le proprie tesi. Sono stati tirati in ballo: la carestia causata da Stalin negli anni ’30 che causò milioni morti, ma anche il collaborazionismo ucraino con i nazisti; la difficile coabitazione sotto l’URSS e l’occidentalizzazione dell’Est. Arriviamo cosi al progressivo allargamento della Nato, e al recepimento della dottrina liberale tanto nei paesi ex sovietici, quanto nella stessa Russia, almeno da Eltsin in poi. Ciò ha comportato una serie di misure economiche i cui costi sociali si sono riversati sulla popolazione. I famosi aggiustamenti strutturali: i finanziamenti dell’UE ed i prestiti del FMI in stile shock therapy, con la svendita del patrimonio pubblico, le privatizzazioni e l’accesso al capitale straniero.

L’entrata nella economia dei mercati ha prodotto diseguaglianze, con i vertici del potere (in Russia, Bielorussia, Uzbekistan…) e i loro amici oligarchi a gestire la vita dei paesi in maniera autoritaria e privilegiata, e le forze di polizia a reprimere con la forza il dissenso e la libera manifestazione del pensiero. In Ucraina le proteste, fomentate anche dalle promesse di entrata nell’UE, nascono a fine 2013 contro il governo filorusso di Janukovic. Seguono l’annessione russa della Crimea,  le violenze nel Donbass del 2014 e una rivalità via via crescente tra le popolazioni. Gli accordi di Minsk rappresentano una tregua, con l’elezione di Zelensky nel 2019 riprendono le velleità atlantiste ma anche le ostilità. A sua volta Putin inizia ad ammassare truppe sul confine ad aprile 2021.

In mezzo a questo caos, si inseriscono gli interessi economici della famiglia Biden, e naturalmente le mire espansionistiche degli statunitensi.Un ruolo non secondario lo hanno recitato anche le cosiddette rivoluzioni arancioni. In tutto ciò è da sottolineare il ruolo ambiguo dell’UE, con le sue promesse, i sostegni ecomomici ed ora le sanzioni. Tali sanzioni, più che indebolire il potere dell’autocrate, hanno finito per colpire indirettamente le popolazioni europee.

Affinità e divergenze di guerra

Questa guerra ha una caratteristica in comune con gli altri drammatici eventi bellici che hanno visto un coinvolgimento militare, politico, economico ed emotivo del mondo globale.

Nel Novecento, dopo la seconda guerra mondiale, vi sono stati diversi conflitti con la partecipazione di almeno una delle superpotenze, ma solo da quando la divisione del mondo in blocchi è crollata – la guerra fredda come deterrente – si è ripresentata la guerra contro il male assoluto, condotta sempre dagli USA-NATO e dai suoi vassalli occidentali.

D’altronde, gli statunitensi hanno sempre avuto il bisogno di individuare un nemico come minaccia al loro ordine democratico.E da allora, le due guerre del Golfo, la destabilizzazione dei Balcani, la guerra al terrorismo islamico.

La guerra è diventata qualcosa di necessario, con tutto il suo corollario: l’esportazione del terrore, l’importazione della paura. La guerra permanente come mezzo e fine della legittimazione dell’Occidente su scala globale. Con lo scopo di instaurare di volta in volta (di guerra, in guerra) un nuovo ordine mondiale, basato non sul reciproco riconoscimento – il multipolarismo quale accettazione delle culture altre: l’Asia, l’Africa, il Sud del Mondo e l’Est – e nemmeno su un bipolarismo di facciata – il capitalismo e l’economia pianificata –  ma fondato sulla supremazia della visione occidentalocentrica come esito finale delle guerre stesse.

Un’autorappresentazione degli eventi, che li costruisce, ne dà forma e vita, dando luogo ad una origine di senso, che una volta diffusasi, trasmette e fonda una nuova verità. Una verità che a sua volta, scavalcando i fatti, li crea, reinventa o modifica a proprio piacimento, trasformando la realtà, e diventando più reale della verità stessa.

“Il vero è un momento del falso” (Debord).

In questo perverso gioco comunicativo-rappresentativo è possibile evidenziare dei parallelismi, almeno su alcuni aspetti delle precedenti guerre tra invasori e liberatori.

Una sorta di corsi e ricorsi storici con le guerre del Golfo, per esempio.

Anche allora Saddam venne etichettato come “il nuovo Hitler”; e come, e forse più di allora, vengono chiamati in causa le risorse strategiche e gli equilibri geopolitici, tirando in ballo l’intera umanità.

Altra analogia è il contrasto tra culture: l’Occidente e l’Est; l’Occidente e l’Islam.

Paragone riguardante anche i cattivi Saddam e Putin. Il primo, passato da una versione laica e modernista dell’islam al servizio occidentale, a quella di unificatore dell’islam sunnita dopo la guerra infinita con l’Iran e l’inganno occidentale.

Putin invece che, dopo il tradimento delle promesse di collaborazione dell’Occidente, si erige a paladino di un’alterità culturale, fatta di tradizioni e veri valori, un misto di zarismo, nazionalismo e socialismo recuperato per magnificare la grandezza delle conquiste sovietiche. Un appeal sulle masse deluse che gli conferma un certo consenso da non sottovalutare.

Tali peculiarità, una volta trovato il collante comune – l’islam, il sovranismo – fanno riemergere antichi sentimenti di rivalsa.

Lo spettro di una guerra infinita, con il rischio del nucleare congelato per tanto tempo, che si riaffaccia mette a rischio popoli e territori.

Come diceva U. Beck (Conditio umana-Il rischio nell’età globale) è insito nel rischio operare delle scelte, la cui portata assimetrica fa sì che le conseguenze si scarichino sulla pelle di chi non partecipa liberamente alla scelta ma ne sopporta gli effetti.

Le decisioni del potere di fare la guerra, bombardare, sanzionare in maniera poco intelligente, perché in tal modo si creano nuove diseguaglianze, oltre a quelle già esistenti tra governanti e sudditi, non fanno altro che abbandonare al loro destino le vittime: i popoli ucraino, russo, europeo e le altre economie interconnesse.

Lo vediamo anche con il gas, l’aumento dei prezzi, il blocco dei rifornimenti.

E lo vedremo con le conseguenze della ricostruzione, i traumi, le migrazioni forzate e la penuria di risorse.

La guerra come strumento politico- economico

La guerra è anche lo strumento di cui si servono le forze politiche in crisi per riacquisire consenso e credibilità all’interno dei singoli paesi.

Si esporta la guerra con la scusa di esportare la democrazia. Contemporaneamente si importa il terrore. E si avvantaggiano le lobby delle armi e l’industria militare.

Che poi vi siano interessi strategici da tutelare, al fine di avere un ruolo di supremazia nei mercati mondiali, è un fatto che passa in secondo piano.

L’accaparramento delle risorse, il petrolio arabo prima, ed oggi i minerali in Ucraina, oppure il semplice porsi come fornitore esclusivo/alternativo, pensiamo al gas liquido nordamericano, porta ad un ridisegnamento degli equilibri economici.

La dipendenza dei paesi europei dal gas russo, e ora da quello degli Usa o algerino, non avverrà di certo a buon mercato. Un ruolo rilevante lo riveste anche la speculazione sul prezzo del gas nella borsa di Amsterdam.

Lo stesso potrebbe dirsi sulle importazioni del grano dall’Ucraina o dei fertilizzanti russi.

Questa impasse è il frutto di una serie di politiche comunitarie e nazionali sbagliate.

L’essere soggetti a forniture estere, l’abbiamo visto a causa della pandemia, ad esempio con i semiconduttori asiatici, ma anche la delocalizzazione delle produzioni, insieme alle politiche di liberalizzazioni sovvenziate dagli stati, sono ulteriori aspetti di questa “economia di guerra”.

Settori fondamentali nelle economie statali dovrebbero essere gestite dal pubblico.

Invece, l’acqua, le energie, i trasporti, la telefonia, le poste… deregolamentati e affidati al privato, in nome di una falsa concorrenza, che guarda ai profitti e al riparto dei dividendi tra agli azionisti, sono la conferma del primato degli interessi economici sul politico, come gestione della vita associata.

Aspetto non trascurabile è anche il ritardo nella conversione ecologica. L’aver rimandato gli investimenti nelle infrastrutture delle energie pulite, privilegiando ancora il fossile, oltre ai danni socio-ambientali e al mancato rispetto degli accordi di Parigi, è servito solo ad avvantaggiare le compagnie e gli investitori.

Le multinazionali estrattive gioiscono. Ad ogni crisi c’è qualche lobbista che festeggia.

Con il Covid sono le industrie del settore farmaceutico a fare profitti. Ma anche quelle dell’high-tech e del digitale.

Adesso è la volta delle varie ENI, BP, Exxon Mobil, Shell, Total.

E come visto con la web tax, anche nel caso della tassazione degli extra-profitti delle compagnie petrolifere, parliamo di misure minime.

Il Dio denaro non può vedere il dramma umano.

L’infodemia del terrore

È un dramma sociale, che riguarda le popolazioni coinvolte dalla guerra, direttamente e non.

In primis gli aggrediti, certo. Quegli ucraini costretti a migrare (e come è strana questa solidarietà tutta bianca fra gli europei) ma anche a nascondersi dall’aggressore. Poco si è detto invece della sorte dei disertori. A loro tocca il carcere e, in alcuni casi, visti come traditori, sono stati giustiziati dal famoso battaglione Azov. Da noi invece i media della Nato raccontano solo dei riservisti russi, o della repressione del regime di Putin. Dove sono stati in tutti questi anni? È che forse allora l’amico Putin interessava solo come contraente?

Le accuse ai russi sulle stragi, e quelle incrociate riguardanti l’uso di missili o bombe a grappolo a disposizione di entrambi i contingenti. Si tace invece sui report di Amnesty  International che accusano l’esercito ucraino di aver usato come basi ospedali e scuole, mettendo a rischio la vita dei civili. A fine settembre il danneggiamento dei gasdotti. Ancora una volta lo scambio di accuse. I russi per farne aumentare il prezzo; gli Usa per sostituirsi nelle forniture. Un dato certo è che l’esportazione del gas liquido Usa verso l’Europa è in continuo aumento dal 2019 ed è quasi raddoppiato nel 2022.

C’è poi la questione degli oligarchi. Con le sanzioni si è cercato di colpire gli amici del presidente russo, ma molti hanno spostato i loro affari in altri paesi o in zone offshore, cosi i danni ricadranno, semmai, sulla popolazione russa.

Soldi nei paradisi fiscali, come per l’attore comico con pose da novello Rambo, tale Zelensky sovvenzionato dall’oligarca Kolomoisky, a sua volta finanziatore del battaglione Azov (https://www.eastjournal.net/archives/97151). Leggendo la stampa mainstream dal 2014 sino allo scoppio della guerra, questi aspetti venivano evidenziati. Si parlava anche di un pericolo nazista e di un regime ucraino che metteva fuorilegge e in carcere gli oppositori politici. Evidentemente ora qualcosa è cambiato nella narrazione. I nazisti diventano resistenti-patrioti, e anche per wikipedia la strage di Odessa del 2014 diventa un incidente.

Una infodemia volta a creare confusione. Si condannano giustamente la propaganda e la censura russa, però, solo al fine di giustificare la condotta occidentale si dà luogo ad artifici indegni del mestiere di giornalista.

In Italia potremmo citare diversi esempi: le immagini da videogiochi prese dal tg2 per far vedere i bombardamenti o quelle prese da Formigli su La7 per indicare una struttura dei difensori ucraini, o ancora prese da diversi contesti (altre guerre o fiction) e postati in rete e sui giornali.

Il massimo si è raggiunto con la famosa lista di proscrizione, attraverso la quale il Corriere della Sera indicava come filoputiniani tutti coloro (Orsini, Bianchi, Dinucci, Di Cesare, Cardini…), che semplicemente criticavano la gestione della guerra e l’ipocrisia dei governi. O reclamavano la pace. Pace invocata a più riprese dal Papa, a sua volta in quei mesi relegato in qualche trafiletto a fondo pagina. E mentre il mondo pacifista è stato sbeffeggiato, il grosso della politica ha pensato bene di accodarsi agli interessi Nato, rifiutando ogni via diplomatica.

La comunicazione di massa non ammette distrazioni ma solo distruzione.

Giuseppe Giannini

14/10/2022 https://comune-info.net

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