SUD E NEOBORBONISMO

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Il Mezzogiorno, negli ultimi decenni ha visto crescere e diffondersi un fenomeno (a)culturale che, sta diventando rilevante: il neo borbonismo.
In questo nostro lavoro cercheremo di ripercorrere quel filo rosso che va dal legittimismo borbonico al diffondersi dei movimenti neoborbonici.
Partiamo, per chiarezza a chi ci legge, che ciò che nella storia convenzionale è chiamata unità d’ Italia per noi è mera conquista regia, una unità intesa come allargamento dello stato piemontese e del dominio della dinastia sabauda, repressiva e sanguinaria,(non possiamo qui non accennare alla persecuzione della popolazione valdese fino alle lettere patenti del 48) per annessione territoriale con la direzione intellettuale e morale del juste milieur cavouriano che sanciva la nascita dello stato liberare a scapito delle esperienze rivoluzionarie che si erano susseguite nei decenni dell’ottocento: dai moti degli anni venti e trenta e del’48, alla esperienza della Repubblica romana, alla spedizione dei trecento, moti e intellettualità archiviate dalla Realpolitik. Ricostruire la storia del l’ottocento anche per sommi capi, dunque non significa assumere una posizione a favore dell’una o l’altra monarchia, ma rimettere a centro i pensatori e le esperienze rivoluzionarie soffocate dalla storia dei vincitori, in quella che A. Gramsci definì rivoluzione passiva e le conseguenze che ne derivarono, ossia la Questione meridionale.

In questo articolo siamo chiamati, però, ad affrontare un punto: il diffondersi del neo borbonismo e dunque l’analisi e il diffondersi di una credenza sempre più popolare quale risposta insana di una identità smarrita nei meandri della storia.

Il legittimismo storiografico borbonico.

Il rifiuto del Risorgimento come rivoluzione tradita e la consapevolezza dell’unità d’Italia come bastarda ingiustizia e diseguaglianza dei territori, la rapina del Sud, attuata dalla connessione sistemica tra monarchia savoiarda (ignorante rozza e predatrice) e borghesia latifondista del Sud, portano alla nostalgia di un’età dell’oro inesistente. Vediamo, dunque, come l’esaltazione del sistema economico del Regno delle Due Sicilie, la narrazione di primati tecnologici, sociologici e scientifici dello Stato borbonico, l’idolatria dei monarchi di casa Borbone, la commemorazione di eventi storici quali l’eccidio di Bronte, i fatti di Pontelandolfo e Casalduni, l’assedio di Gaeta e, inoltre, le petizioni per espungere dalla toponomastica italiana i nomi dei Savoia sono solo alcune delle tipicità di questo caso che parrebbe un anacronismo della storia, ma che così non è. Siamo di fronte alla esaltazione di una monarchia a cospetto dell’altra, quindi all’esaltazione di uno Stato monarchico il cui popolo fu suddito.

Un fenomeno, questo, della nascita di movimenti neoborbonici, che non può esser minimizzato in alcun modo, perché porta in sé un impatto devastante sul piano storico e culturale, un fenomeno che cammina di pari passo con la diffusione di siti e di pubblicazioni, nella quotidianità, nei vari settori della politica, della cultura nei dibattiti storici e storiografici, accenniamo solo la vicenda del prof. A. Barbero querelato dai neoborbonici, per le affermazioni sulle vicende su forte delle Fenestrelle.
Ripercorrere, dunque, la nascita e gli sviluppi del mito borbonico sarà utile per capire cosa sta avvenendo nella nostra modernità.

Quando si parla di Mezzogiorno è inevitabile per noi non partire che dalla “questione meridionale”. Fin dal 1920 Gramsci tratta la Questione meridionale come specifica determinazione del capitalismo. Egli considera la necessità di «dare importanza specialmente alla quistione meridionale, di cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come un problema di rapporti di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale», cioè come uno degli aspetti della questione nazionale. Il tema che pone ripetutamente Gramsci è quello di andare oltre l’unità nazionale risorgimentale, ritenuta reazionaria perché basata sull’annessione delle regioni del Sud, per sviluppare un senso reale di nazione fondato «sull’alleanza politica tra operai del Nord e contadini del Sud, per rovesciare la borghesia dal potere di Stato». Una riflessione quella gramsciana che ci consegna i nodi veri della questione meridionale, che da oltre un secolo, è campo di riflessione nei luoghi della ricerca antropologica, per approfondimenti storici e filosofici; dalla critica alle culture dominanti alla complicità delle borghesie meridionali, dagli studi sui subalterni alla connessione dei sud del mondo nei filoni culturali del post colonialismo.
Tutti elementi ignoti ai neoborbonici che invece continuano la loro mission in difesa dei Borboni, attraversando la storia del Risorgimento, come un elefante in una cristalliera, nella ricostruzione revisionista del Risorgimento e nell’idolatria alla casa reale col chiaro obiettivo del legittimismo storiografico borbonico.

Il primo tentativo di legittimismo storiografico borbonico ripercorre fatti del Risorgimento antecedenti alla formazione del regno unito ponendosi come finalità la ricostruzione della storia del perduto regno borbonico. Le cause, le strategie e gli accordi delle monarchie europee a discapito del regno delle due Sicilie, i tumulti popolari e dalle opposizioni politiche e culturali sin dalla prima metà del XIX secolo, ne segnano le sorti delle monarchie borboniche: in pochi mesi tra il 1860 e l’anno successivo, il plurisecolare regno venne abbattuto da un migliaio di soldati irregolari e dalle più nutrite truppe di Vittorio Emanuele II, monarca del Regno di Savoia e protagonista del periodo risorgimentale assieme al fautore del sogno dell’unificazione italiana: il primo ministro savoiardo Camillo Benso conte di Cavour.

Nel 1861 l’esercito borbonico tentò di resistere militarmente all’avanzata nemica, ma il tradimento e la connivenza di cui alcuni nobili e di una buona parte della popolazione meridionale con le truppe del generale Garibaldi, condussero alla sconfitta militare l’esercito di Francesco II, sancita con l’assedio della cittadella di Gaeta, e la fuga dei monarchi Borbone. È da qui che inizia la seconda fase della resistenza, che sancisce la nascita del “borbonismo” o legittimismo borbonico.
Difatti, Francesco II, rifugiatosi nel territorio dello Stato Pontificio a Roma, percorse due diverse strade per tentare di riconquistare il Regno perduto. La prima fu quella diplomatica, allorquando tentò di creare una rete tra le ambasciate di Francia e Spagna per coordinare un’insurrezione popolare sfruttando il fenomeno del brigantaggio nel Mezzogiorno, iniziativa, che, ebbe poco successo data la truce repressione del brigantaggio con la “Legge Pica”. La seconda strada per Francesco II, dunque, fu quella di fomentare il popolo delle Due Sicilie attraverso una incisiva propaganda filoborbonica che, sorprendentemente, potrebbe essere quella arrivata sino ad oggi.

I protagonisti di quello che possiamo definire “legittimismo storiografico”, furono soprattutto gli ufficiali e i militari dell’esercito borbonico che combatterono le ultime battaglie prima dell’Unità d’Italia. Infatti, tra il 1861 e il 1870, numerose furono le pubblicazioni di ufficiali dell’esercito borbonico che si spesero propagandisticamente a favore della causa borbonica. I fedelissimi di “Franceschiello” contribuirono alla nascita del mito borbonico attraverso le pubblicazioni di resoconti di guerra e la stesura di memorie da toni trionfalistici nei confronti dei Borbone e del regno delle Due Sicilie, a cui sono seguiti espedienti ricorrenti delle memorie, come ad esempio la celebrazione della patria e della “nazione” napoletana che aveva difeso l’indipendenza delle Due Sicilie, momento costitutivo della rinnovata identità borbonica, incarnata innanzitutto dall’esercito, la difesa esasperata delle ultime roccaforti borboniche dallo straniero invasore.
Anche l’atteggiamento di devozione e lealtà alla famiglia Borbone veniva spesso evidenziato con l’utilizzo di espedienti retorici quali onore, gloria e giuramento e la fedeltà alla corona veniva espressa nelle memorie.

A partire dagli anni ’70 dell’Ottocento, vediamo come, il legittimismo borbonico si strinse attorno al cardinale napoletano Sforza che riuscì a coinvolgere un nutrito schieramento politico nella città di Napoli facendo sì che i cattolici filo-borbonici, ottenessero diversi successi nelle tornate elettorali della seconda metà dell’Ottocento nella città partenopea, ma successivamente con la morte di Francesco II e di molti dei protagonisti dell’assedio di Gaeta, ci si avvio alla fine delle pretese politiche da parte dei borbonici e dei legittimisti, mentre col primo il conflitto mondiale si completò la nazionalizzazione, archiviando la causa perduta borbonica, sull’asse ideologico dello stato liberale del regno.
Ma, ora arriviamo a periodi più recenti e alla nascita e al propagarsi del neo borbonismo.

La nascita del neo borbonismo

In questo Sud, in cui cela una “potenza sociale”, per usare una categoria marxiana. Disobbedienze, rivolte, ribellioni squarciano la rassegnazione, il disincanto, lo spaesamento sociale. Ma le ribellioni senza progetto sono spesso vandee, bacino delle destre e prende, così, piede anche un fenomeno, apparentemente strambo, ma comprensibile, che possiamo chiamare “neo borbonismo”. Il rifiuto del presente diventa apologia di un passato inesistente. Una sorta di sol dell’avvenire all’indietro.

Il neo borbonismo un fenomeno rozzo e incolto che attecchisce tra chi ha una conoscenza blanda, o che ignora totalmente la storia, una mera manifestazione di quel malcontento piagnone meridionale, che nulla ha a che fare con quel sud delle resistenze e dei movimenti antiliberisti, ma quale pulsione nostalgica scaturita dalla rabbia per le condizioni reali economiche, un appiglio storico a cui aggrapparsi in momenti di difficoltà. La causa borbonica dopo esser uscita di scena nel Ventennio del novecento riemerge dopo molti decenni dalla tradizione popolare napoletana, nella seconda metà del secolo scorso. Ricordiamo qui l’episodio in un pubblicista accusò di «vilipendio alla monarchia napoletana» e sfidò a duello il regista del film Francesco I° re di Napoli (1959) in cui una popolana schiaffeggiava il sovrano Borbone di Napoli.

E a riprova del fatto che esista un continuum tra il legittimismo borbonico e il neo-borbonismo degli anni Duemila, è sufficiente ricordare che i neoborbonici, riappaiono sulla scena pubblica dagli inizi degli anni 60, e con massima devozione e lealtà alla famiglia Borbone e fedeltà alla corona, durante la visita del principe Ranieri vantavano i primati del reame: la ferrovia Napoli-Portici, il varo della prima nave a vapore, lo sviluppo delle strade attorno alla città, il saldissimo regime finanziario, il regno più ricco d’Italia, il mite peso del fisco. Una tale narrazione la cui origine è riconducibile alla propaganda voluta da Francesco II subito dopo l’Unità d’Italia in cui eco arriva all’oggi.

A rigenerare lo spirito borbonico di una parte della popolazione meridionale furono, poi, lo scrittore C. Alianello, particolarmente, noto per i suoi romanzi storici ambientati in epoca risorgimentale, in cui i protagonisti sono i borbonici sconfitti, ed il giornalista A. Manna (non solo giornalista ma anche deputato della IX e X legislatura per il gruppo MSI – DN), e negli anni 90, per esattezza il 7 settembre del 1993 avviene la fondazione del Movimento Neoborbonico, con una manifestazione a cura dello scrittore Riccardo Pazzaglia e Gennaro De Crescenzo a Napoli, presso il Borgo Marinaro, il 7 settembre, per contro-celebrare la data dell’arrivo di Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860), la nascita del movimento è stata fucina di quella che potrebbe essere definita la golden generation del neo-borbonismo, per cogliere l’essenza movimento è possibile visitare il loro sito: www.neoborbonici.com

Le ragioni della crescita esponenziale di questo fenomeno pseudo-nazionalista sono diverse; dalle capacità comunicative e propagandistiche dei neoborbonici, alla rapidità di diffusione di informazioni sui social network, dalle politiche liberiste che hanno sempre più strangolato lo sviluppo del sud al mancato senso comune di una critica al paternalismo, alla jacquerie, al familismo amorale e le nefaste conseguenze, a questo, poi si aggiunge il successo letterario del libro Terroni di Pino Aprile; dal messaggio populista e scarsa metodologia storiografica.

Negli ultimi decenni, inoltre, le diverse attività sia dei simpatizzanti che dei soci del movimento neoborbonico hanno, verosimilmente, avvicinato gli italiani alle loro tematiche, con conferenze, convegni e presentazioni di volumi, a cui si aggiungono iniziative politiche: dalle commemorazioni di protagonisti del mondo borbonico, alla creazione del “Parlamento delle Due Sicilie” un organo costituito nel 2009 dagli attivisti del “Movimento neoborbonico, in cui vi sono dichiarati ministeri e incarichi interni e dove operano attivisti del mondo neoborbonico con una rete diplomatica in contatto con i “potenziali” eredi della famiglia Borbone, che spesso patrocinano i loro eventi con il logo della casa reale di Borbone.

Queste iniziative, probabilmente, hanno permesso ai neoborbonici di raggiungere risultati che travalicano la dimensione divulgativa, indubbiamente, il traguardo più evidente è stato raggiunto nel campo dell’toponomastica urbana, infatti negli ultimi anni, per iniziativa dei sindaci e consigli comunali, sono state diverse le vie dei centri comunali rinominate, su pressione dei neo borbonici, e non solo vie, caso emblematico è l’ istituto scolastico di Scafati denominato Istituto Ferdinando II di Borbone, pare chiaro, quindi, che i neoborbonici si stanno preoccupando di memoria storica collaborando con le amministrazioni locali.

Sulla vicenda della proposta di istituire un “Giorno della memoria per le vittime del Risorgimento, vediamo
come questa mozione è stata dapprima presentata ai consigli regionali di Campania, Puglia, Abruzzo e Molise da alcuni consiglieri del Movimento 5 Stelle, proposta arrivata, poi, nell’aula del Palazzo Madama, su iniziativa, il 28 febbraio del 2017, del parlamentare pentastellato Sergio Puglia, un risultato importante per i neoborbonici che, per la prima volta, hanno avuto una risonanza nel contesto nazionale.
A ogni modo, i vari movimenti sudisti hanno avuto corrispettivi partitici quali: Mo! – Unione Mediterranea, Movimento di Insorgenza Civile, Partito Separatista delle Due Sicilie, L’altro Sud ed altri, senza tralasciare, poi come Pino Aprile e altri esponenti del sudismo hanno creato un forte legame con il movimento 5 Stelle, ufficializzato dal pubblico appello al voto rivolto ai propri follower sui social network a favore del movimento pentastellato per le elezioni del 2018, tant’è che lo stesso Pino Aprile il giorno dopo le votazioni dichiarò che «il confine geografico del successo Cinque Stelle è esattamente lo stesso dell’ex Regno delle due Sicilie».

Accade poi, che nel variegato mondo neoborbonico nell’ agosto del 2019 nasce il “Movimento 24 agosto per l’Equità Territoriale” come forza politica meridionalista, fondato da P. Aprile e numerosi altri meridionalisti protagonisti del neo borbonismo dell’ultimo ventennio.

Ora, sulla base delle cose qui riportate, in conclusione, appare chiaro che vi è una attività politica che si muove nelle realtà meridionali, attraversando anche il mondo della cultura, della musica, nella quotidianità; in un vive senza alcuna sicurezza di reddito, lavoro, welfare, nelle continue rinunce e dei sacrifici, proprio in questa realtà avanzano le pulsioni populiste e dei luoghi comuni: si stava meglio quando si stava peggio.
E senza scomodare i massimi teorici del concetto di popolo, nazione e nazionalismo, dobbiamo tener presente, che in questa condizione, nodi come l’identità meridionale e il concomitante nazionalismo, cosi come forme di patriottismo come quello dell’indipendentismo sono nodi seri con cui fare i conti, soprattutto se sensibili a pulsioni riconducibili alla nozione di etnia, aprendo di fatto scenari secessionisti. Ed è qui che collochiamo il rischio del proliferarsi di organizzazioni sudiste e filo borboniche, la cui propaganda potrebbe ulteriormente sparigliare le carte, perché come la storia insegna tutto ciò ha già avuto di revisionismi storiografici, tenendo però in considerazione il fatto che ha origini profonde nella spaccatura prodotta dalla unificazione italiana a cui oggi fanno seguito politiche liberiste che rimarcano un meridionalismo di scarto, messo ulteriormente in luce dalle cosiddette “autonomie differenziate”.
Governo e sistema politico pretendono, con una operazione politica colossale e clandestina, di abbattere la Costituzione. Lo sviluppo duale e diseguale diventerebbe una voragine ed il Sud (venti milioni di persone) sarebbe colpito drasticamente.

Viene rimosso, nei fatti, l’art. 5 della Costituzione: “la Repubblica, una e individuale, riconosce e promuove le autonomie locali”, e quando, nel 2001 il centrosinistra, su pressione leghista varò (il gruppo di Rifondazione Comunista si oppose) una pessima controriforma del Titolo V della Costituzione che consente alle regioni a statuto ordinario  di chiedere al governo “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” per le materie fondamentali dello Stato sociale e dei diritti di cittadinanza, trattenendo per la gestione la gran parte delle imposte incamerate nel proprio territorio, da quel momento si è aperta la porta alla divisione della Repubblica in venti piccole Italie, ciascuna con diritti e normative diversificate. La “secessione dei ricchi”, come l’ha chiamata l’economista Viesti, il disegno della autonomia differenziata non è solo un fenomeno di architettura istituzionale ma sociale e strutturale, cioè di costruzione delle catene del valore del capitale, che nasce dall’assimilazione dei processi di accumulazione del modello produttivo  veneto, lombardo, emiliano (di gran parte del Nord Italia) dentro il sistema di ristrutturazione del capitale mitteleuropeo nell’attuale contesto di una globalizzazione liberista in crisi. L’autonomia differenziata è, quindi, complementare ai processi di accumulazione del capitale, funzionale ai processi di privatizzazioni e di esternalizzazioni dei servizi pubblici essenziali, una pessima interpretazione ultronea al principio di sussidiarietà orizzontale dell’art. 118 della Costituzione. Le regioni del Sud pagherebbero un prezzo ulteriore, perché il trattenimento del gettito fiscale e la mancata redistribuzione, finalizzata a sanare le diseguaglianze tra territorio e territorio, porterebbero ad un ulteriore crollo dei servizi, delle vite, dell’occupazione, e mafie, devastazioni ambientali, vite precarizzate costituirebbero gli unici paradigmi strutturali.

Il Mezzogiorno d’Italia necessita di un progetto globale di sviluppo, non di nostalgie di un passato inesistente né di spinte secessioniste, per il miglioramento della contrappassi violenti, in altri paesi. Il neo borbonismo, dunque, deve essere immerso nel variopinto panorama qualità della vita al fine di rendere meno gravoso lo sforzo di chi ha il coraggio di rimanere, senza essere relegati e marginali nel contesto italiano. Un Piano di Sviluppo che incarni la vocazione di una intera area, che veda nella riconversione e nell’innovazione ambientale, nell’agricoltura e nel turismo, settori di crescita ed occupazione, di sperimentazione per la valorizzazione delle risorse umane e materiali, capace di stabilire un nesso tra modernità e trasformazione, affinché il sud sia sempre più risorsa e non marginalizzato a solo mercato di sfruttamento e consumo.

Tuttavia, questo Sud, può rappresentare un terreno di sperimentazione politica straordinaria con la messa in discussione delle caratteristiche di fondo del capitalismo contemporaneo. Non si tratta più di ragionare del binomio, ormai anacronistico, arretratezza/sviluppo, non c’è un deficit di modernità al Sud; esso è segnato, invece, dalla modernità nel suo versante della svalorizzazione sociale della ricchezza, la qual cosa è appunto l’altra faccia della valorizzazione produttiva.

Oggi è necessario culturalmente e politicamente avanzare sulla cartografia della questione meridionale e rovesciare il senso comune della passività di cui il sud è oggetto. Elaborare l’altra narrazione, in connessione tra i Sud del mondo. Rompere la gabbia di un’eredità fatta di stereotipi e pensieri che negano i rapporti asimmetrici di poteri che hanno tradotto processi storici e politici in rapporti geografici, creando i Sud dei subalterni, inferiori al nord del pianeta. Un salto critico e culturale di saperi e comunità che impone la decostruzione di quel dispositivo nazionale che sostiene e richiede un sud come alterità subordinata alla modernità, da incorporare, nella complessità odierna del capitale e nella sua moltiplicazione dello sfruttamento.

Loredana Marino
resp. PRC Partito sociale

Giovanni Russo Spena
resp. PRC Democrazia, Diritti, Istituzioni

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