Sullo sciopero del 16 dicembre

A Febbraio sale al governo il regista delle controriforme degli ultimi dieci anni. Il Mario Draghi della famigerata lettera della BCE del 2011, quella che ha comandato la legge Fornero, il Jobs Act e un susseguirsi di tagli alla spesa pubblica.

L’afflusso di soldi provenienti dal PNRR doveva essere gestito da un uomo del sistema finanziario e imprenditoriale europeo, che “salvando l’euro” aveva già dimostrato di saper tenere insieme gli interessi confliggenti delle diverse borghesie nazionali in nome del loro interesse comune contro i lavoratori e le lavoratrici del continente.
Adesso era chiamato a fare lo stesso in Italia.

Confindustria applaude – è il loro uomo, non c’è da stupirsi.
Partiti che hanno ormai perso direzione e identità si stringono attorno al salvatore della patria – e anche lì non c’è da stupirsi.
I principali giornali del paese, in mano ai più grandi gruppi industriali, ne tessono in coro le lodi – e anche lì non c’è da stupirsi.

Al coro però si unisce il segretario generale del principale sindacato d’Italia, e qui un po’ di stupore è lecito.
Secondo la CGIL “Draghi è autorevole”. Non viene specificato per chi. Di certo non per le lavoratrici e i lavoratori italiani, i cui interessi il sindacato dovrebbe rappresentare. E questo lo si vede subito.

Lo si vede innanzitutto quando viene presentata la squadra governativa: il governo “dei migliori” è per la metà composto dai protagonisti della macelleria sociale degli ultimi dieci anni. Addirittura Brunetta al ministero della Pubblica amministrazione!
La Cgil borbotta e nulla più.

Lo si vede poi quando il governo inizia a lavorare. Viene subito annunciato lo sblocco dei licenziamenti, mentre si moltiplicano le voci contro il reddito di cittadinza. Vengono cioè attaccate le uniche, insufficienti, misure che avevano tamponato gli effetti sociali più aspri della crisi.
Dopo qualche rimostranza, il massimo che la CGIL riesce a ottenere è qualche proroga sullo sblocco dei licenziamenti, proroghe ormai scadute, e delle assicurazioni fumose sulla riforma degli ammortizzatori sociali, di cui si è perso traccia.

Lo si vede infine con la campagna vaccinale: l’obiettivo è far ripartire i profitti, non estirpare il Covid, come dimostrano i tragici numeri di questi giorni. Niente di reale su sanità, tracciamenti, scuola e trasporti pubblici. L’unica disposizione “innovativa”, il green pass, si dimostra ben poco efficacie a livello sanitario ma onerosa e vessatoria per lavoratori e lavoratrici e viene richiesta dalla stessa Confindustria che fino al giorno prima negava l’esistenza dei rischi nei posti di lavoro. Dopo alcuni rilievi critici la CGIL la accetta.

In tutto questo non è che il paese stia fermo.
Nelle imprese interessate dallo sblocco dei licenziamenti si levano subito le proteste dei lavoratori. Partono gli scioperi alla Giannetti e alla Whirlpool, mentre la lotta del collettivo di fabbrica della GKN di Campi Bisenzio si trasforma presto in un riferimento per tutto il paese, portando in piazza più di ventimila persone. Nel frattempo l’intero mondo del sindacati di base converge su una data di sciopero unitaria come non avveniva da anni.
La dirigenza CGIL tace.

Anche la destra, o forse soprattutto la destra, con quella estrema a rappresentare l’unica opposizione in parlamento, è però in grado di raccogliere i malumori del paese. Il tranello del governo di polarizzare l’intera discussione politica e sociale attorno al green pass funziona e i fascisti ne approfittano, riuscendo nella criminale impresa di trasformare la CGIL nel capro espitatorio della rabbia che hanno intercettato, mentre la polizia assiste inerme alle loro azioni.
Alla giusta reazione di orgoglio non seguono però indicazioni concrete di lotta e la dirigenza CGIL si accontenta della solidarietà a parole da parte delle stesse istituzioni che hanno permesso che tutto questo avvenisse.

Oggi però lo stesso governo tra le cui braccia ci si è fatti avvolgere getta definitivamente la maschera.
Innanzitutto con l’annunciato ritorno alla Fornero, che ha portato almeno alla convocazione degli scioperi regionali della FIOM.
Ma è con la manovra finanziaria ora in discussione che i nodi vengono definitivamente al pettine: pochi soldi, nella stragrande maggioranza indirizzati alle imprese nella forma di sussidi o di taglio dell’IRAP.

Di fronte a questo vero e proprio affronto la dirigenza CGIL si sarebbe accontentata di una maggiore attenzione ai redditi più bassi nel taglio dell’IRPEF. Ma non è arrivato neanche questo contentino: il governo “super-partes” si è rivelato ostaggio della destra più becera, che ha messo il veto sull’intoccabile portafoglio della schiera di professionisti e bottegai che rappresenta (altro che destra popolare!).

Adesso lo sciopero generale si fa davvero inevitabile. Si svela il fallimento della ricera dell’unità sindacale a tutti i costi con la CISL. Addirittura la UIL si dice pronta alla mobilitazione!

Ci si arriva però tardi e male, a finanziaria quasi approvata con poco tempo per costruirlo e ancora senza indicazioni su come e quando farlo. Con un rapporto di fiducia da ricostruire con i lavoratori e le lavoratrici, che non si possono accendere e spegnere come avessero un interruttore. L’attendismo che abbiamo dimostrato finora ha consolidato il loro scetticismo, quello a cui già da anni forniamo troppe ragioni. E sicuramente tanti di loro avranno capito quello che la nostra dirigenza sembra non voler vedere: questo governo non ci dà credibilità e non si farà impensierire da una mobilitazione episodica.

Se davvero vogliamo, e sicuramente dobbiamo, che sacrifichino un giorno di stipendio; se davvero vogliamo il loro impegno allora dobbiamo offrire una complessiva inversione di rotta.

Eliana Como

7/12/2021 https://sindacatounaltracosa.org

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