Tortura e migrazioni

cover

INTRODUZIONE del curatore Fabio Perocco

Nonostante le conquiste compiute dall’umanità nel corso del tempo, la tortura è ancora un fenomeno diffuso in tutto il mondo e un fatto di grande attualità. È, come il razzismo, più viva che mai, non è un ferrovecchio che riguarda il passato. È, come la violenza sulle donne, un fenomeno che interessa i quattro angoli del pianeta e non soltanto qualche Paese ‘sotto-sviluppato’. Gli eventi che negli anni scorsi hanno destato più scalpore e che sono finiti sotto i riflettori (Abu Ghraib, G8 di Genova, Guantanamo) sono solo la punta di un iceberg, ma soprattutto non sono casi eccezionali: la tortura è una pratica ordinaria, sistematica, quotidiana, non è il frutto di schegge impazzite, di mele marce, di malfunzionamenti accidentali degli apparati statali o del sistema. È parte integrante del sistema.

La tortura – che non è da considerare un evento insolito, un fatto anomalo, isolato, compiuto da mostri o pazzi criminali – va colta infatti nella logica della sua produzione sociale (Gjergji 2019) in quanto elemento strutturale del sistema sociale. Vanno colte le radici sociali sistemiche della tortura come rapporto sociale di sottomissione, la cui portata va al di là delle persone direttamente colpite. La società e le circostanze la producono e la normalizzano: essa non sussiste in maniera isolata e casuale, essa è presente all’interno di determinati contesti, di determinati rapporti sociali, di particolari narrazioni, così che in ciascun contesto storico-politico-sociale-culturale è presente uno specifico potenziale di tortura che fa diventare alcuni individui o gruppi ritenuti ostili, nemici, dei soggetti torturabili (Jubany, Pasqualetto, Rué in questo volume).

Rispetto al passato le pratiche di tortura sono mutate, ma i significati e gli obiettivi sono rimasti grossomodo gli stessi. In quanto «distruzione deliberata della personalità e della dignità della vittima attraverso l’inflizione di gravi sofferenze fisiche o psichiche» (Lalatta Costerbosa 2016, 9), la tortura annulla e disumanizza la persona, ne distrugge la dignità e l’identità, la riduce ad oggetto. A «bestia umana», a «sotto-uomo», (Sartre 1958, 17). Nel suo spettacolo teatrale Morti senza tomba del 1946, Sartre dipinge le vittime di tortura come dei morti senza tomba, che hanno perso l’uso della parola e che sono spezzati dentro: persone vive fisicamente ma morte dentro, perché con la tortura, dirà nel saggio introduttivo al volume La question di Henri Alleg, «si lascerà vivere il corpo ma si ucciderà lo spirito» (Sartre 1958, 19). Forma di violenza intenzionale estrema finalizzata alla sottomissione totale del soggetto, la tortura è inscritta in rapporti sociali di produzione, di classe, di razza, disuguali, è l’espressione di rapporti di potere diseguali che determinano l’umiliazione del soggetto, la sua demolizione fisica e psichica, per lasciarlo ammutolito e senza speranza nel presente e nel futuro.

La tortura, infatti, non termina con la fine dei supplizi: essa produce traumi profondissimi sulla mente, sul cervello, sul corpo, che sono continuamente rivissuti e riaperti dal ricordo insistente e invadente del trauma stesso (van der Kolk 2015). La questione non riguarda soltanto la tortura e il trauma avvenuti nel passato, ma anche e soprattutto il ricordo continuo delle torture subite e il ritorno ossessionante del trauma, l’incessante irruzione del passato traumatico nel presente che compromette e paralizza il futuro. Nell’annientare l’umanità del soggetto, la tortura distrugge i progetti e le speranze di autonomia, di libertà, di solidarietà, sia del torturato sia di chi gli sta intorno, tanto del soggetto singolo quanto del soggetto collettivo. Che si tratti di tortura giudiziaria (per castigare, per strappare informazioni) o che si tratti di tortura politica (per annichilire il nemico, l’oppositore politico, il ribelle), la tortura ha un’ampia portata … leggi il volume integrale

Fonte: Edizioni Ca’ Foscari

dicembre 2019 edizionicafoscari.unive.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *