Tra ostacoli e voglia di riscatto, storie di imprese recuperate dai lavoratori in Italia e nel mondo

Le storie delle imprese recuperate in forma cooperativa ci restituiscono esempi di resilienza, iniziativa e determinazione. Si tratta di esperienze di recupero che si concentrano nelle province italiane, dove è più difficile trovare un altro lavoro se la propria azienda chiude. Sono storie ancora troppo poco raccontate, vittime del fenomeno mediaticamente fagocitante delle cosiddette false cooperative, da qualche anno combattuto in maniera efficace in quanto oggetto del dovuto scrutinio. Storie da ascoltare con attenzione dunque, nel momento in cui viviamo gli effetti più nefasti e anonimizzanti della finanziarizzazione dell’economia reale con delocalizzazioni che portano a chiusure e licenziamenti, abbandonando le persone ad un senso generale di ineluttabilità e, quindi, di impotenza. 

Alcune di queste storie sono state raccolte nel volume, Le imprese recuperate in Italia (2022); il libro è l’esito del prezioso lavoro del Collettivo di Ricerca Sociale, un gruppo di insegnanti, operaiə, ricercatrici e altrə lavoratorə della conoscenza, che, a partire dal 2008, anno della recessione, ha cominciato a riflettere sulle “esperienze di riscatto sociale, economico, culturale e politico maturate sul territorio italiano”, e che nel dicembre 2017 si è costituito ufficialmente come associazione, la Rete Italiana delle Imprese Recuperate. 

Le storie sono “esperienze di riscatto sociale, economico, culturale e politico maturate sul territorio italiano”, che invitano a non lasciarsi risucchiare dal ‘realismo capitalista’ di cui parlava Mark Fisher, (ma nemmeno dal ‘pensiero unico neoliberista’ di David Harvey). Quel che ci dicono è che si può tentare un’altra via. 

Il fenomeno del recupero cooperativistico di aziende esiste nel nostro paese dal dopoguerra: secondo una mappatura (non ancora pubblicata) a cura di uno degli autori del libro, Leonard Mazzone, ricercatore in filosofia sociale e politica presso l’Università di Firenze, tra il 1952 e il 2022 sono state recuperate 494 imprese in forma cooperativa (dal progetto di ricerca “Mutualismi emergenti: Narrazioni e pratiche di reciprocità solidale ai tempi della sindemia”). Tra queste, 280 hanno ormai cessato la loro attività, mentre delle 214 cooperative ancora attive, 28 sono costituite da ex soci o dipendenti di cooperative preesistenti, 21 sono start-up cooperative, 165 sono nate da operazioni di workers buyout (vale a dire, le imprese rilevate dagli ex dipendenti), delle quali 143 restano attive e 22 hanno continuato la loro attività dopo aver cambiato forma sociale (si veda sotto la storia della TrafilCoop, ora Trafila s.r.l.).

Dal 1985, il recupero delle aziende in crisi è avvenuto grazie alla Legge Marcora, che ha reso in genere l’esperienza delle imprese recuperate in Italia meno “politica” e conflittuale rispetto a altri paesi, come l’Argentina, per esempio. Certo, esistono eccezioni come la Rimaflow di Trezzano sul Naviglio o le Officine Zero di Roma. La stessa ex Gkn, pur tra mille difficoltà, sta cercando di diventare un’impresa recuperata, dopo essersi dichiarata fabbrica pubblica e socialmente integrata lo scorso ottobre. Il 17 aprile scorso si sono chiuse le manifestazioni d’interesse per la nascitura cooperativa degli ex lavoratori Gkn, mentre l’8 maggio si è conclusa la prima fase del crowdfunding che ha raccolto oltre 170mila euro, più che raddoppiando il target. 

Le lavoratrici e i lavoratori ex Gkn, una parte delle RSU, ricercatori e ricercatrici solidali (incluso membrə del Collettivo di Ricerca Sociale) e personalità autorevoli del mondo della cultura e del sociale stanno dando vita al comitato promotore della cooperativa. La fabbrica di Campi Bisenzio si trova attualmente in liquidazione dopo che l’industriale che l’aveva rilevata nel dicembre 2021 e trasformata in Qf, Francesco Borgomeo, non è riuscito a portare avanti la reindustrializzazione del sito produttivo nei tempi stabiliti dagli accordi tra le parti.

LO STATO DELL’ARTE SUI PAGAMENTI AI LAVORATORI EX GKN

Nonostante fossero senza stipendio, i lavoratori ex Gkn hanno continuato la loro attività di scouting dal basso fino a intercettare la proposta di reindustrializzazione (attualmente al vaglio) di una startup italo-tedesca che prevede la fabbricazione di pannelli fotovoltaici e batterie senza l’utilizzo di materie rare e a smaltimento ordinario. Assieme alla produzione di cargo bike, a sostegno della mobilità sostenibile, anche il core business della riconversione industriale del sito di Campi si ispira dunque a principi di giustizia sociale e ambientale, e al contempo punta sul mutualismo per reinvestire le competenze di centinaia di lavoratori. 

Ad aprile 2023, soltanto in Toscana, erano ben 57 i dossier riguardanti tavoli di crisi in aziende più o meno grandi di vari settori—commercio, automotive, chimica, logistica, siderurgia—con 15.000 posti di lavoro a rischio, come riportato da Repubblica. Eppure la Toscana, e in particolare Firenze, è la culla delle imprese recuperate. L’istituzione della Cooperativa Lavoratori Officina e Fonderia delle Cure risale infatti al 1955: l’azienda metallurgica, entrata in crisi nel dopoguerra a causa della crescente competizione e diminuzione delle commesse,  venne requisita dal sindaco Giorgio la Pira e rilevata da una sessantina di dipendenti.

Intraprendere la via del recupero cooperativo è una scelta rischiosa e spesso le famiglie monoreddito, più diffuse al Sud, non sono disposte a rischiare. Nemmeno alla Coop-Bolfra Scrl, una falegnameria di Castelfiorentino (FI), leader a livello nazionale nel settore degli infissi in legno, c’era voglia di lanciarsi in un’impresa del genere. D’altra parte, trovare un’altra occupazione si era prospettato difficile e alcun3 dipendent3 dell’azienda hanno deciso alla fine di costituirsi in cooperativa, usufruendo della legge Marcora con l’intermediazione di LegaCoop Firenze. (Dal 2020, la cooperativa Bolfra ha cessato la sua attività, ma i soci si sono ricollocat3 tutt3 nel settore della falegnameria)

La storia della WBO ItalCables di Caivano (NA) testimonia come recuperare un’azienda sia un percorso a ostacoli che richiede caparbietà e cooperazione, e spesso un pizzico di fortuna, perché il tempo non è dalla parte di chi rileva una fabbrica, e la burocrazia è certamente un ostacolo. Diretta dall’ex responsabile tecnico e vicedirettore dell’azienda, l’ingegner Matteo Potenzieri, la WBO ItalCables si trova nel consorzio industriale di Pascarola a Caivano (Napoli) dove si producono fili, trecce e trefoli per cemento armato precompresso sin dagli anni Settanta—prima come Radaelli, dal 2008 come ItalCables. Quest’ultima, di proprietà della portoghese Companhia Previdente, possiede già i due stabilimenti di Brescia e Pescara, che però vengono chiusi a seguito della crisi finanziaria globale. La Companhia Previdente non riesce infatti a pagare i fornitori di materie prime: tra questi, innanzitutto le acciaierie di Piombino. Nel momento in cui la Lucchini viene commissariata (dicembre 2012), interrompe la fornitura e la ItalCables entra pure in una brutta crisi “non di prodotto ma dovuta al credito delle banche,” come riporta Potenzieri a Calcagno nel libro. A questo punto, i lavoratori occupano la fabbrica e si auto-organizzano per recuperare l’azienda: contrari allo smembramento, si oppongono alla fuoriuscita dei mezzi di produzione. La prospettiva di perdere il lavoro porta anche a gesti disperati, nel tentativo di attirare l’opinione pubblica: nel giugno del 2013, alcuni operai salgono sul tetto della fabbrica e ci rimangono per qualche giorno. “Uno di loro si sentì male e stava per cadere”, ricorda Potenzieri. “Furono momenti molto difficili”. Grazie anche all’intervento delle forze dell’ordine e della Prefettura, continua l’ingegnere, la situazione si calma. Ottengono dal commissario giudiziale una proroga sulla vendita a pezzi dello stabilimento, con l’obiettivo di riprendere la produzione.

Con l’aiuto di Legacoop Campania e di un commercialista solidale (divenuto poi consulente della cooperativa), viene presentato un business plan al MISE. Nell’aprile del 2015, si costituisce la cooperativa, a cui aderiscono 51 dei 67 lavoratori. Nonostante l’intervento di CFI e Coopfond di LegaCoop, viene chiesto loro di mettere 25.000 euro a testa (l’anticipo sulla mobilità a cui avevano diritto) per far ripartire la produzione. Sono concessi altri sei mesi di cassa integrazione, fondamentali affinché il piano sia rifinito nei dettagli e la mobilità non intaccata. É una corsa contro il tempo perché i vari uffici territoriali dell’INPS erogano con tempi diversi l’anticipo. C’è chi lascia perdere, chi prende credito tramite Banca Etica, unico istituto che finanzia anche la cooperativa e permette l’acquisto di una materia prima costosa come la vergella. Professionistə del consorzio industriale di Caivano offrono consulenza gratuita. Nel settembre 2015, arriva il primo camion con la vergella, “un momento molto emozionante”, ricorda Potenzieri, come quando viene prodotto il primo rotolo di corde di acciaio. Affittano, infine, un ramo d’azienda con promessa di acquisto (che avviene nel novembre 2018). 

Attualmente, la WTO ItalCables conta 61 dipendentə di cui 57 sociə. Nel caso della ItalCables, dirigenti e impiegatə–tutti uomini, tranne un’impiegata che di recente è entrata dopo che il padre è andato in pensione—“sono stati i primi a fare sacrifici,” dice il direttore. Nel 2022, l’azienda recuperata in forma di cooperativa è riuscita finalmente a pagare anche degli utili tramite ristorni ai soci lavoratori e lavoratrici. La più grande soddisfazione per Potenzieri è che si tratta di una sfida vinta, “una riconquista fatta al Sud”. Sfata lo stereotipo del meridione assistenzialista, anzi, continua l’ingegnere, “tante persone proprio perché siamo in un contesto difficile, lavorano pure di più!”.

Sono molte le varianti che intervengono in un processo di recupero aziendale. Il caso della SteelCoop, nata dalle ceneri della Bekaert e su iniziativa della Fiom, è esemplare. Nel giugno 2018, l’azienda leader nella produzione del cordino di acciaio per gli pneumatici decide di chiudere il sito di Figline Valdarno (un tempo ex Pirelli). La strenua resistenza degli operai e dell’intera comunità contro la chiusura della “fabbrica dei fili di ferro” porta alla restituzione della cassa integrazione per cessazione attività. Non aiuta il nascente progetto di autogestione la cosiddetta “lettera dei 100”, che nel maggio 2020 cento dipendenti (appunto), iscrittə per lo più alla Cisl, mandano alle istituzioni opponendosi alla neonata cooperativa, la SteelCoop. La Cisl è fortemente contraria alla cooperativa nel caso della Bekaert per la “particolarità e complessità del prodotto, l’altissimo costo della materia prima e il confronto con grandi multinazionali”, come si legge sul sito. L’esperienza della Bekaert, partita da un bisogno urgente — l’esigenza di avere un progetto di reindustrializzazione per prorogare l’ammortizzatore sociale — si scontra dunque contro una forza-lavoro non unita e la mancanza di volontà politica a sostegno del progetto SteelCoop.

Di cosa parliamo in questo articolo:

Lo spirito della Legge Marcora: la riappropriazione sociale dell’economia

Silvia Giagnoni

21/6/2023 https://www.valigiablu.it/

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