Un altro pezzo del Sistema-Torino viene meno. Il Salone del Libro verso Milano
«Il salone del Libro si sposta a Milano»: così hanno titolato un paio di giorni fa i principali quotidiani nazionali. Nei fatti quello che è accaduto è che l’AIE (Associazione Italiana Editori) ha votato a favore di un’iniziativa per la promozione del libro a Milano, che prevede la collaborazione di AIE e Ente Fiera, e non il progetto di Torino, con numeri non esattamente schiaccianti (17 a 15, contando contrari e astenuti). Tra coloro che hanno sostenuto la scelta i colossi dell’editoria milanese, soprattutto Mondadori-Rizzoli. Dopo questo consiglio generale, molto teso e durato 3 ore, i cosiddetti editori indipendenti sono scesi in campo, a partire dalla casa editrice e/o che ha votato no e si è subito dimessa dall’AIE, seguita da altri come Iperborea e Lindau. Nel loro comunicato stampa questi editori sottolineano il comportamento sostanzialmente antidemocratico dei grandi gruppi che occupano i vertici dell’associazione, impostisi con la sola forza dei numeri, con toni definiti come “irricevibili e di una certa brutalità”. In realtà, la decisione di AIE non è affatto un fulmine a ciel sereno ma è maturata da tempo, per lo meno da un anno, da quando AIE, nella persona del suo presidente, Federico Motta, ha abbandonato il consiglio della Fondazione per il Libro, che amministra e controlla il Salone torinese, accusando la Fondazione di non ascoltare gli editori e di una gestione discutibile dell’evento torinese.
Quindi è tutto molto semplice? I grandi gruppi editoriali milanesi attuano una strategia che mira a favorire ulteriormente le loro già fortissime posizioni sul mercato e a mettere sempre più ai margini i piccoli editori indipendenti e le altre realtà editoriali italiane? In fondo non è trascorso molto tempo dall’acquisizione di Rizzoli da parte del colosso Mondadori e dalle prese di posizione anche forti di intellettuali e scrittori sul monopolio che si va creando in ambito editoriale in questo paese, visto che il gruppo a questo punto controlla quasi la metà del mercato editoriale italiano. Ma le cose sono forse molto meno lineari di quanto sembra.
Sicuramente i potentati dell’editoria italiana hanno sede a Milano e sicuramente la decisione di creare un nuovo evento in città, o meglio alla Fiera di Rho-Pero, pare più precisamente nelle aree dismesse dall’Expo, è loro e non è stata presa in accordo con le altre case editrici. Peraltro Milano è stata sede in primavera della seconda edizione del Bookpride, la fiera dell’editoria indipendente, il cui destino non potrebbe non essere toccato dallo sbarco a Milano del più grande evento nazionale nel campo editoriale. È anche vero però che il Salone del Libro di Torino è in crisi da alcuni anni e la sua gestione non ha certo brillato per limpidezza e correttezza. Sono note a tutti le vicende del 2015, con l’accusa di peculato e conseguenti dimissioni del Presidente Picchioni, la sua sostituzione con Giovanna Milella e il walzer di nomine e dimissioni che ne è seguito. In quei giorni si parlò anche di ingressi gonfiati per le edizioni del 2013-2015, fino 64.821 ingressi fantasma nel 2015 (fonte La Stampa 06/10/15). Sono, invece, cronaca recente gli arresti avvenuti a luglio. Regis Faure, direttore generale del Lingotto Fiere, Roberto Fantino, direttore marketing, Valentino Macri, segretario della Fondazione per il Libro, Antonio Bruzzone, dirigente di Bologna Fiere sono stati arrestati con l’accusa di aver rivelato informazioni riservate nel corso dell’ultima gara per la gestione del Salone per il triennio 2016-18, quella che ha assegnato a GL Events la gestione della fiera, che peraltro la società già gestiva senza aver mai vinto un bando, mentre l’ex assessore alla cultura di Torino, Maurizio Braccialarghe, risulta indagato. Al di là di queste inquietanti vicende giudiziarie e dei repentini cambiamenti delle persone ai vertici dell’organizzazione dell’evento torinese che ne sono conseguiti, l’AIE contesta agli altri organizzatori del Salone i costi elevati degli spazi (a Milano verrebbero ridotti ad un terzo di quelli torinesi, sostengono), la cattiva gestione, i bilanci in rosso e il calo costante di visitatori. Per farsi un’idea, basti penare che nel 2014 il bilancio del Salone è risultato in rosso per 489mila euro, perdita risanata da Regione Piemonte e Comune di Torino.
Ma non c’è solo questo per i sostenitori dell’evento milanese. C’è la necessità, dicono, di portare il Salone in Europa. Le due più importanti fiere del libro europee sono Londra e Francoforte, Milano appare una scelta che mira a trasportare la più grande fiera dell’editoria italiana all’interno di questo mercato internazionale, questione non da poco in un paese in cui si acquistano pochi libri, se vogliamo prender per buono quanto affermato ai microfoni di RadioPopolare, storica emittente meneghina, il 28 luglio, da Renata Gorgani, direttrice editoriale de Il Castoro, per cui quanto si pubblica in Italia in questo momento avrebbe un ottimo mercato all’estero. Il progetto milanese vorrebbe attirare addetti ai lavori da tutto il mondo, cosa che il Salone torinese non ha mai saputo fare. Nella stessa intervista la Gorgani ha rivendicato anche la volontà di creare un evento diffuso, coinvolgendo anche e soprattutto le periferie – tema scottante per la nuova amministrazione Sala – e non relegare il tutto in un solo luogo come a Torino. Certo, del coinvolgimento delle periferie nella vita culturale di Milano se ne parla da anni, ma la verità è che l’Expo non ha spinto affatto in tal senso e che ben poco di concreto per la loro riqualificazione è stato fatto negli anni dalla giunta Pisapia. I sostenitori dell’evento milanese parlano anche di allargare l’evento ad altre figure che non siano il solo pubblico privato e le case editrici. Ma lo stesso sostengono di voler fare e di aver fatto i sostenitori del Salone a Torino, come sostenuto sempre ai microfoni di RadioPopolare da Rocco Pinto, libraio torinese attivo nella vita culturale cittadina.
Come stanno le cose allora? La situazione, a volerla approfondire, appare complessa e intrecciata. Sicuramente l’interesse delle grandi case editrici milanesi è quello di avere una vetrina dove stringere accordi commerciali redditizi, che possa avere una risonanza europea ed internazionale a costi inferiori rispetto a quanto accaduto fino ad ora. In tal senso Milano appare la città più adatta, tanto più che alla neoeletta amministrazione Sala non par vero di veder utilizzati gli spazi di Expo su cui già così tante polemiche si sono scatenate e di poter contare sul sicuro ritorno in termini di indotto economico, che gli eventi culturali garantiscono. D’altra parte la gestione torinese degli “amici degli amici” delle amministrazioni PD non può certo rivendicare a sé purezza e vocazione sociale – cosa che invece tentano di fare in molti, a partire dal presidente della regione Chiamparino, che sembra soffrire di vuoti di memoria, viste le vicende giudiziarie anche recenti che hanno investito il Salone. Quel che è vero è che il Salone è stato importante per Torino ai tempi della crisi della FIAT e dell’industria cittadina, anni di crisi profonda, da cui in realtà non sembra che la città si sia mai completamente ripresa e che 30 anni di esperienza non andrebbero dismessi con tanto autoritarismo.
Inoltre, nessuno degli attori in gioco appare affidabile e reduce da grandi successi per quel che riguarda la promozione sociale del libro, basti ricordare i risultati assolutamente sottotono dell’iniziativa #ioleggoperchè, patrocinata dal Ministero dei Beni Culturali in collaborazione tra gli altri con AIE.. Infine ci sarebbe da chiedersi perché l’AIE abbia atteso l’elezione di Appendino a sindaco per consumare lo strappo con Torino. Loro dicono per rispetto della campagna elettorale, ma ci si chiede se per caso sia perché la nuova amministrazione ha meno “peso”; meno “amici” all’interno delle aziende e dei potentati italiani? O perché si pensa di poter fare migliori affari con la nuova amministrazione Sala, che con un’amministrazione pentestellata?
Non siamo in grado di avere le risposte, ma alcune osservazioni si possono fare: più internazionalizzazione, in questa Europa del capitale, sembra sempre e solo significare maggiore concentrazione di poteri e risorse, gestione ad opera di pochi dei flussi economici, ma anche culturali, con vantaggi solo per le città e le realtà “più importanti” ed impoverimento, quando non eliminazione, di quelle più piccole, oltreché assoluto disinteresse per i cittadini. Peraltro, una guerra del genere tra due città che stanno a 45 minuti di treno, nell’era del digitale, appare davvero un po’ ridicola e campanilistica. La gestione di quella che era stata spacciata come una grande occasione per Torino, da parte delle amministrazioni PD, è stata a dir poco scadente e mette in luce un intreccio di favori e illegalità che mostra con chiarezza come il PD sia il vero erede della DC e di quel sistema di intrecci tra illegalità, mafia e politica che tanto male ha fatto a questo paese. D’altra parte la scelta di una joint venture con Fiera Milano per l’organizzazione dell’evento milanese, non appare una soluzione che promette maggiore trasparenza, visti gli scandali che intorno a questa società si sono scatenati fin dall’organizzazione di Expo fino ad oggi, ricordiamo solo l’inchiesta Giotto e il ruolo in essa giocato da Fiera Nolostand, società controllata da Fiera Milano e infiltrata dalla mafia. Due cose sono certe: il campanilismo e la debolezza del mondo dell’editoria italiano, sia nei suoi attori pubblici che privati e che l’incremento della lettura, del numero dei lettori e della qualità di quanto si legge in questo paese sia l’ultima delle preoccupazioni di tutti gli attori in gioco e che ben poco contino città, cittadini e bisogni sociali in questo intricato e complesso scontro tra interessi strettamente economici.
Lucia Donat Cattin
1/8/2016 http://contropiano.org
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